Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6190 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. I, 05/03/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 05/03/2020), n.6190

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. SCOTTI Giuseppe U.L.C. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36252/2018 proposto da:

E.N., elettivamente domiciliato in Roma, alla Piazza dei

Consoli n. 62, presso lo studio dell’avvocato Enrica Inghilleri, che

lo rappresenta e difende, unitamente all’Avvocato Lucia Paolinelli,

in forza di procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS)/COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, in persona

del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il Decreto n. 12013/2018 del 29 ottobre 2018 del Tribunale di

Ancona;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

4/12/2019 dal Consigliere Dottoressa Irene Scordamaglia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. E.N., cittadino nigeriano proveniente dall’Edo – State, ricorre avverso il decreto in data 29 ottobre 2018 n. 12013/2018, con il quale il Tribunale di Ancona ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale e (Ndr: testo originale non comprensibile) emesso alla locale Commissione territoriale.

1.1. Col primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione: dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5, e art. 14, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e 11, in riferimento ai capi 3, 4 e 5; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in riferimento al capo 6. E’ pure dedotto il vizio di motivazione. All’uopo si deduce che il Tribunale avrebbe omesso di valutare le dichiarazioni del richiedente secondo il protocollo procedimentale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 3; avrebbe sminuito i dati relativi alla situazione di instabilità politico, sociale e religiosa della Nigeria, riducendo il doveroso esame officioso a quanto ritraibile da poche fonti e concentrando il proprio interesse sulla situazione del Delta del Niger, senza considerare gli attacchi terroristici sferrati dai fondamentalisti islamici aderenti a Boko Aram nel nord-est della Nigeria; non avrebbe tenuto conto, ai fini della concessione della protezione umanitaria, della situazione di vulnerabilità del richiedente, provato dalla situazione traumatica vissuta, ancora giovanissimo, prima in Nigeria e poi in Libia.

1.2. Con il secondo motivo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, costituito dal grave pericolo cui il richiedente si era trovato esposto per non avere inteso rinunciare alle proprie convinzioni religiose cristiane per assumere la carica di sciamano animista in luogo del padre defunto, in una situazione, quale quella della Nigeria, caratterizzata da un grave conflitto etnico, politico e religioso.

2. L’Amministrazione intimata ha proposto controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

1. Il Tribunale censurato ha escluso che ricorressero nella vicenda narrata dall’ E. – il quale aveva allegato di essere fuggito dalla Nigeria, suo Paese di origine, per il timore di subire persecuzioni o, comunque, trattamenti inumani o degradanti da parte dei membri della comunità di appartenenza, per essersi egli, cristiano, rifiutato, alla morte del padre, di succedergli nella carica di sciamano animista e, poi, da parte delle forze dell’ordine, in ragione del sospetto nutrito dal proprio datore di lavoro che egli fosse tra coloro che gli avevano sottratto del denaro – i requisiti delle forme di protezione richieste, vuoi perchè i timori allegati erano meramente soggettivi, in quanto in nessun modo comprovati, vuoi perchè le situazioni denunciate o non erano riconducibili agli atti di persecuzione, tipizzati dal D.Lgs. n. 251 del 2008, artt. 7 e 8, ovvero perchè, quand’anche fossero stati sussumibili nella categoria degli atti di persecuzione o dei trattamenti inumani o degradanti (di cui al D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 14, lett. b)) provenienti da soggetti non statuali, rilevanti ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c), nulla aveva allegato, il richiedente, circa il fatto di essersi rivolto alle autorità statuali o sub-statuali o alle organizzazioni per riceverne protezione e che queste si fossero rifiutate di fornirgliela. Ha, parimenti, escluso sulla base della consultazione di affidabili fonti di informazione, delle quali ha dato puntualmente conto nel provvedimento impugnato, che nell’Edo-State, ragione di provenienza dell’ E., fosse riscontrabile una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” che consente il riconoscimento nei confronti dello straniero della forma di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 14, lett. c), posto che le azioni terroristiche di matrice religiosa o rivolte contro i detentori degli impianti petroliferi si erano registrate soltanto nel nord-est della Nigeria e nella regione del Delta del Niger. Quanto alla richiesta protezione umanitaria, ne ha fondato il diniego evidenziando come l’assenza di allegazioni da parte dello straniero, vuoi di peculiari situazioni soggettive attestanti condizioni di vulnerabilità, vuoi di un effettivo radicamento sul territorio dello Stato ospitante, determinato da ragioni familiari o di una concreta integrazione lavorativa, letta in connessione con il mancato riscontro di una situazione di grave vulnerazione dei diritti umani fondamentali nel Paese di origine, non consentisse di pervenire ad una prognosi positiva quanto all’esposizione del richiedente, in ipotesi di rimpatrio, ad una situazione di negazione della dignità personale.

2. Alla stregua di quanto succintamente riportato della motivazione rassegnata dal giudice censurato, deve riconoscersi che il primo motivo è inammissibile.

2.1. Il Tribunale ha fondato il proprio giudizio su una lettura integrata, siccome stabilito dalla disposizione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), delle dichiarazioni rese dal E. e delle informazioni circa il suo Paese di origine, siccome ritraibili dalla consultazione di fonti qualificate ed aggiornate, e sulla base di ciò ha escluso che ricorressero sia le condizioni per il riconoscimento della protezione maggiore che di quella minore.

2.2. Con riguardo all’operata valutazione delle dichiarazioni del richiedente va rilevato che il Collegio decidente, dinanzi alle lacune probatorie in esse riscontrate, ha cercato di colmarle attingendo informazioni utili dalle fonti qualificate, evidenziando come il timore allegato dal richiedente, di incorrere in persecuzioni o danni gravi da parte dei membri della propria comunità per il rifiuto di succedere al padre nella carica di sciamano, fosse scarsamente credibile, desumendosi dalle stesse fonti che tale ruolo – cui si associano funzioni apicali in seno alle comunità tradizionali – è fonte di prestigio sociale e, come tale, è oggetto di una serrata concorrenza; ciò spiegando l’inverosimiglianza della tesi sostenuta dal ricorrente secondo cui il rifiuto di succedere al padre in una funzione tanto ambita sostanziasse le ragioni del timore di incorrere in atti suscettibili di mettere in serio pericolo i propri diritti umani fondamentali, in primis l’incolumità personale.

2.3. Con specifico riguardo alla forma di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Il Tribunale ha rilevato come l’Edo State non si segnali attualmente per alcun tipo di instabilità politica: il che all’evidenza esclude la fattispecie della “minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armalo interno o internazionale”. Del resto l’accertamento circa l’esistenza di tale minaccia costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito (Sez. 6 – 1, n. 32064 del 12/12/2018, Rv. 652087 – 01; Sez. 1 -, n. 30105 del 21/11/2018, Rv. 653226 – 02), salvo il rilievo che possano assumere i vizi motivazionali. Vizi che, nel provvedimento impugnato, non ricorrono, contenendo lo stesso una spiegazione esauriente delle ragioni atte a suffragare il rigetto delle domande proposte, sicchè non si ravvisano quei radicali vizi motivazionali che oggi assumono rilievo in sede di legittimità: “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 – 01; Sez. U, n. 8054 del 07/04/2014, Rv. 629833 – 01).

2.4. A fronte di tali approfonditi rilievi, che danno conto della correttezza dell’operazione di sussunzione dei fatti allegati alle norme di legge di cui il ricorrente ha chiesto l’applicazione, occorre riconoscere che le doglianze sviluppate in ricorso si caratterizzano per genericità e per astrattezza, in quanto risultano prive di qualsivoglia specifica correlazione con le specifiche rationes decidendi delle singole statuizioni negatorie.

2.5. Nessun decisivo rilievo assume, ai fini della corretta applicazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, l’allegata integrazione socio-lavorativa asseritamente raggiunta dal richiedente, posto che vige nella materia de qua il principio di diritto secondo il quale non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sez. 6 – 1, n. 17072 del 28/06/2018, Rv. 649648 – 01). Approdi interpretativi, quelli riportati, che, di recente, hanno ricevuto l’autorevole avallo del Supremo Consesso di legittimità, che, con la sentenza n. 29459 del 13 novembre 2019, hanno affermato il principio di diritto così enunciato:” In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”. Parimenti prive di dirimente rilievo risultano le allegate situazioni traumatiche vissute dal giovane ricorrente nel corso del viaggio migratorio, non essendo per nulla descrittive di una specifica situazione di vulnerabilità.

3. Inammissibile è anche il terzo motivo, posto che, alla stregua della costante linea interpretativa di questa Corte regolatrice, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Sez. 6 – 1, n. 22397 del 06/09/2019, Rv. 655413; Sez. 1 -, n. 26305 del 18/10/2018, Rv. 651305): ciò, perchè, siccome statuito dal diritto vivente: “E’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 – 01).

4. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente, siccome soccombente, al pagamento delle spese affrontate dalla controricorrente Amministrazione per il presente grado di giudizio, che devono essere liquidate in complessivi Euro 2.100,00 per compenso, oltre le spese prenotate a debito. Il doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dovrà essere corrisposto ove ne sussistano i presupposti, secondo quanto chiarito dalla sentenza Sez. 1 n. 9660/2019, cui si intende prestare adesione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate a debito. Il doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dovrà essere versato, ove ne sussistano i presupposti.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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