Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 619 del 15/01/2020

Cassazione civile sez. I, 15/01/2020, (ud. 25/10/2019, dep. 15/01/2020), n.619

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26865/2018 proposto da:

S.M., domiciliato in Roma presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. Carmela Grillo

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro-tempore;

Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale di

Firenze, Sezione di Perugia;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 592 del 2018 del Tribunale di Perugia;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25.10.2019 dal Consigliere Dott.ssa PAOLA GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Perugia rigettava la proposta la domanda proposta da S.M., proveniente dalla (OMISSIS), volta ad ottenere in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.; in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il Tribunale riteneva in primo luogo che il ricorrente non avesse offerto nessuna prova costituita o costituenda per consentire di poter riscontrare la credibilità del suo racconto, che riguardava l’aver lasciato il proprio paese per paura degli uomini che facevano parte della banda dello zio, trafficante che organizza rapine del quale faceva inizialmente la guardia del corpo. Riteneva che in particolare non vi fosse prova del decesso dei familiari del ricorrente secondo le modalità riferite, nè del fatto che egli avesse un figlio, nè degli episodi legati alla banda comandata dallo zio: escludeva pertanto che il richiedente avesse compiuto ogni ragionevole sforzo al fine di circostanziare la domanda. In ordine alla situazione del paese di provenienza, riferiva che dalle fonti internazionali più accreditate risultava che la (OMISSIS) fosse un paese in crescita economica e, pur riscontrandosi fenomeni di criminalità minorile e di gang giovanili, non sussistessero le condizioni per ricondurre all’interno di detti fenomeni di criminalità la vicenda personale riferita dal ricorrente. Escludeva poi la sussistenza in (OMISSIS) del rischio di essere coinvolto nella violenza di un conflitto armato generalizzato. Inoltre, non appariva credibile l’impossibilità di ottenere protezione da parte della polizia a fronte delle minacce provenienti dallo zio, e neppure poteva ritenersi integrata una condizione tale da determinare una situazione di specifica vulnerabilità. Il giudizio di comparazione al fine dell’ottenimento della protezione umanitaria non risultava quindi favorevole al ricorrente, pur a fronte del buon livello di integrazione del territorio nazionale, con partecipazione alle attività di volontariato ed ai progetti promossi dalla Caritas di (OMISSIS).

3. Per la cassazione della sentenza S.M. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi; il Ministero dell’Interno e la Commissione territoriale non hanno opposto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Come primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 737 c.p.c. e lamenta che il procedimento innanzi al Tribunale si sia concluso con l’emissione di un’ordinanza anzichè con decreto motivato.

5. Il motivo non è fondato.

L’ordinanza (così qualificata dal giudice di merito) qui gravata è stata resa all’esito del procedimento disciplinato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 35 e 35 bis. L’adozione del provvedimento conclusivo in una forma diversa da quella prevista potrebbe rilevare soltanto se ed in quanto esso fosse privo dei contenuti essenziali richiesti dalla legge, o ove avesse determinato un concreto pregiudizio processuale, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte (analogamente a quanto è stato affermato da questa Corte con riguardo all’adozione di un rito diverso da quello previsto per la trattazione della lite, v. Cass. n. 1448 del 27/01/2015, Cass. n. 19942 del 18/07/2008), ciò che non è stato in alcun modo allegato nel caso in esame, nè risulta astrattamente ipotizzabile.

6. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 comma 5; lamenta che il giudice non abbia effettuato l’audizione del ricorrente pur in assenza della videoregistrazione dell’audizione della commissione.

7. Il motivo è infondato.

Questa Corte ha chiarito che ove non sia disponibile la videoregistrazione con mezzi audiovisivi dell’audizione del richiedente la protezione dinanzi alla Commissione territoriale, il giudice di merito, chiamato a decidere del ricorso avverso la decisione adottata dalla Commissione, è tenuto a fissare l’udienza di comparizione delle parti a pena di nullità del suo provvedimento decisorio, salvo il caso in cui il richiedente abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio (Cass. n. 17076 del 26/06/2019, Cass. n. 32029 del 11/12/2018, Cass. 5/7/2018 n. 17717; Cass. 26/10/2018 n. 27182).

8. L’obbligo non riguarda tuttavia anche il rinnovo dell’audizione, che grava esclusivamente sull’autorità amministrativa incaricata di procedere all’esame del richiedente: ne consegue che il giudice può decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso il verbale o la trascrizione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione (Cass. 31/01/2019, n. 2817, v. anche Corte di giustizia UE, sentenza 26 luglio 2017 in causa C-348/16).

9. La rinnovazione dell’audizione personale dell’interessato costituisce quindi una scelta discrezionale, che compete al giudice di merito operare in base alle concrete circostanze di causa e alla necessità di vagliarle anche alla luce delle dichiarazioni rese di fronte alla Commissione.

10. Nel caso, il Tribunale ha argomentato che il rinnovo dell’audizione richiesto con il ricorso non si rendeva necessario, in quanto il racconto appariva completo e dettagliato e nulla nelle difese svolte in ricorso consentivano di ipotizzare che procedere all’audizione avrebbe consentito di acquisire elementi ulteriori ai fini della decisione.

11. La motivazione resa dal Tribunale in merito al rinnovo dell’audizione neppure viene in questa sede adeguatamente censurata, limitandosi il richiedente a sostenere un diverso esito del procedimento valutativo che compete al giudice di merito.

12. Come terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8; lamenta il mancato riconoscimento dello status di rifugiato malgrado le dichiarazioni del richiedente fossero coerenti e plausibili in relazione al contesto di provenienza.

13. Come quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e lamenta che i fatti narrati dal richiedente in ordine alla sua personale diretta esposizione al rischio non siano stati ritenuti meritevoli di protezione sussidiaria.

14. I due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto in entrambi si censura la valutazione di non credibilità del racconto del richiedente compiuta dal Tribunale.

15. Essi sono entrambi inammissibili.

Occorre qui ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018).

16. Il richiedente è dunque tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (Cass. n. 15794 del 12/06/2019). Qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ed in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, l’accertamento di fatto così compiuto dal giudice di merito integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. (v. ex multis Cass., 21/11/2018, n. 30105, Cass. 12/11/2019, n. 29279).

17. Nel caso, il Tribunale ha compiuto il dovuto vaglio delle dichiarazioni del richiedente, vagliandole alla luce delle informazioni relative al paese di provenienza, ritenendole non credibili e comunque inidonee ad integrare i presupposti per la protezione richiesta, sicchè i motivi integrano una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure idoneamente censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

18. Come quinto motivo il ricorrente deduce l’omesso esame circa la domanda di protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e lamenta che sia stata omessa un’indagine sul’esistenza di una situazione di vulnerabilità idonea ad integrare i presupposti per il permesso umanitario.

19. Il motivo non è fondato.

Questa Corte ha chiarito (v. Cass.23/02/2018, n. 4455 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019) che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

20. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale.

21. Il Tribunale perugino ha compiuto tale valutazione comparativa, ritenendo che non fossero ipotizzabili specifiche condizioni di vulnerabilità, alla luce della non credibilità del racconto del richiedente e della situazione generale del paese di provenienza. A fronte quindi della situazione riferita al paese di origine, già ritenuta inidonea a configurare una compressione dei diritti umani, non risultava quindi decisivo il percorso di integrazione positivamente intrapreso in Italia. Non sussiste quindi l’omesso esame di fatti decisivi denunciato con il motivo in rassegna.

22. Segue coerente il rigetto del ricorso.

23. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo svolto gli intimati attività difensiva.

24. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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