Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6188 del 05/03/2021

Cassazione civile sez. II, 05/03/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 05/03/2021), n.6188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22078/2019 proposto da:

J.M.L., rappresentato e difeso dall’avvocato DONATA DE

NITTIS, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA SEZIONE

FORLI’ – CESENA;

– intimati –

avverso il decreto DI RIGETTO CRONOL. N. 2587/2019 del TRIBUNALE di

BOLOGNA, depositato il 05/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/11/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Bologna confermò la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, con la quale era stata disattesa la domanda di protezione internazionale avanzata da J.M.L.;

– il richiedente aveva narrato di essere stato costretto a fuggire per sottrarsi alle minacce della matrigna, la quale lo aveva anche fatto arrestare, perchè lui, rimasto orfano di entrambi i genitori, voleva vendere, contro la di lei opinione, un immobile di proprietà del defunto padre;

– il Tribunale aveva negato attendibilità alla narrazione, caratterizzata da numerose e gravi incongruenze e illogicità ed escluso, sulla base delle COI aggiornate consultate una situazione di violenza diffusa e incontrollabile in Gambia;

– il Tribunale aveva, infine, escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria;

ritenuto che il richiedente ricorre sulla base di cinque motivi, ulteriormente illustrati da memoria, avverso la statuizione del Tribunale e che il Ministero dell’Interno non ha svolto difese;

ritenuto che con le predette censure, fra loro correlate, il ricorrente lamenta “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione”, “violazione di legge in relazione all’onere di collaborazione del giudice”, “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in relazione al fatto accaduto e alla ricostruzione delle condizioni esistenti in Gambia al momento dell’espatrio”, “omessa, insufficiente motivazione in merito al riconoscimento della protezione sussidiaria, violazione D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14 (rectius: 2007)”, “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione dell’ordinanza impugnata sulla fondatezza della richiesta di protezione umanitaria”, assumendo, in sintesi, che:

– senza spiegarne la ragione il Tribunale aveva giudicato generico e non credibile il racconto, nel mentre la Commissione lo aveva reputato credibile e coerente;

– non si era proceduto al vaglio d’attendibilità tenendo conto delle linee guida dettate dall’UNHCR, secondo le quali difficoltà di ricostruzione mnemonica sono compatibili con il vissuto particolarmente frustrante e doloroso del migrante;

– non era corretto attribuire peso decisivo alla mancata produzione dei documenti attestanti il patito arresto arbitrario e il racconto avrebbe dovuto essere giudicato genuino e credibile, considerando che il richiedente si era trovato in una situazione di totale isolamento familiare, dopo la perdita di entrambi i genitori e in presenza del comportamento aggressivo della matrigna, senza contare che la pratica degli arresti arbitrari era diffusa nel Paese, di talchè avrebbe dovuto affermarsi che il ricorrente aveva compiuto ogni sforzo per provare il proprio asserto;

– il Tribunale aveva sottovalutato i rischi in caso di rimpatrio, in ragione “della mentalità della popolazione” e dell’isolamento nel quale il richiedente si sarebbe venuto a trovare e non considerato la mancanza di tutela dei diritti fondamentali in Gambia;

– il ricorrente, che pur aveva intrapreso un corso per l’apprendimento dell’italiano e aveva avuto esperienze lavorative, s’era visto negare il diritto alla protezione umanitaria, giustificata dal riferimento al contesto familiare in Patria, che, invece, lo aveva costretto a fuggire;

considerato che l’osmotico complesso censuratorio, sopra ripreso, unitariamente esaminato, non supera il vaglio d’ammissibilità per il concorrere delle ragioni di cui appresso:

a) il Tribunale, con valutazione di merito in questa sede incensurabile, ha negato in radice l’attendibilità del narrato (plurime le contraddizioni evidenziate in ordine al tipo d’immobile – casa o terreno – alla finalità della vendita – per aiutare la madre malata e i fratelli a istruirsi, o per permettere all’esponente di studiare – e sulla complessiva narrazione – egli sarebbe tornato tranquillamente presso l’abitazione dopo essere stato in carcere a causa delle accuse calunniose della matrigna -); ciò solo fa escludere la ricorrenza di un dovere d’ulteriore approfondimento istruttorio sulla vicenda (senza contare che la narrazione, proprio a cagione della sua flagrante vacuità e irrisolvibile inverosimiglianza non avrebbe comunque permesso attingimento di conferme di sorta) e il ricorrente, piuttosto che contrappore evidenze processuali tali da smentire le conclusioni del Tribunale, si limita a riportare i principi della materia e a insistere nella propria versione;

b) piuttosto palesemente le critiche sono rivolte al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5, difatti, invece che porre in rilievo l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo o l’assenza di giustificazione argomentativa della decisione, con le stesse la ricorrente, contrappone al ragionato esame della Corte il proprio avverso convincimento;

c) quanto alla situazione del Gambia, la decisione ha preso in esame COI aggiornate, dalle quali è dato escludere la sussistenza di quella situazione di violenza diffusa e incontrollata evocata dalla ricorrente; in definitiva risulta evidenziata una condizione di sottosviluppo e d’instabilità del Paese, diffusa, peraltro, purtroppo in molte regioni del mondo, ma non la situazione di particolare criticità dalla quale può conseguire il diritto alla protezione sussidiaria;

d) il Giudice del merito, quindi, ha deciso applicando il principio enunciato da questa Corte, la quale ha avuto modo di chiarire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6, n. 18306, 08/07/2019, Rv. 654719);

e) il Tribunale ha motivatamente escluso la vantata situazione di vulnerabilità soggettiva, presupposta dal diritto alla protezione umanitaria, mancando una diretta riferibilità di sistematiche violazioni dei diritti umani nel Paese di origine, poste in relazione alla condizione e alla vicenda personale, una effettiva integrazione in Italia, non apparendo sufficiente a tal fine lo svolgimento di un’attività lavorativa di quattro mesi e lo studio della lingua italiana e non essendo stata addotta specifico nocumento derivante dal tempo trascorso in Libia (Paese di transito) e il ricorrente, invoca, inammissibilmente, una nuova e diversa valutazione di merito sulla base di evidenze fattuali smentite dalla decisione impugnata;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che non occorre far luogo a regolamento delle spese, essendo il Ministero rimasto intimato;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021

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