Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6187 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. I, 05/03/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 05/03/2020), n.6187

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34344/2018 proposto da:

O.J., elettivamente domiciliato in Pescara, alla Piazza

Sant’Andrea n. 13, presso e nello studio dell’Avvocato Antonino

Ciafardini, che lo rappresenta e difende in forza di procura

speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, in persona

del Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA n. 11326/2018, depositato

il 13/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 4/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa Irene

Scordamaglia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Ancona, con decreto n. 11326/2018, ha respinto la richiesta di protezione internazionale o umanitaria avanzata da O.J., cittadino (OMISSIS) proveniente dall'(OMISSIS), a seguito del provvedimento di diniego della protezione della competente Commissione Territoriale, rilevando che, quand’anche riconosciute credibili le dichiarazioni rese dal richiedente, la vicenda narrata era priva dei requisiti necessari per consentirne la sussunzione nelle fattispecie di persecuzione o di esposizione a danno grave rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria. Non erano ravvisabili, peraltro, neppure i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

2. Avverso il suddetto decreto O.J. propone ricorso per cassazione, affidandolo a quattro motivi.

– Con il primo motivo denuncia la nullità della sentenza di appello ex art. 134 c.p.c., n. 2 per motivazione contraddittoria o apparente. Assume l’istante che la sentenza impugnata si sarebbe limitata ad un’alluvionale indicazione di formule stereotipate e ad una scoordinata elencazione di fonti di informazione, senza alcuna specifica indicazione delle ragioni della sua asserita non credibilità e dell’assenza, nella situazione allegata, di concreti indici sintomatici della persecuzione, del danno grave o della condizione di vulnerabilità accusata da esso deducente.

– Con il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 per non avere il Tribunale “applicato nella specie il principio dell’onere probatorio attenuato” e “per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”. Sostiene l’istante che dovevano ritenersi “validi” i motivi addotti dal ricorrente a fondamento della sua fuga dal paese di origine (alternativamente il timore di non riuscire a pagare i propri creditori; la persecuzione religiosa; le vendette private a base familiare; la situazione di assoluta insicurezza esistente in Nigeria per l’assenza di un sistema giudiziario in grado di assicurare effettiva tutela ai cittadini); rileva, inoltre, che il Tribunale avrebbe dovuto impiegare i propri poteri istruttori officiosi acquisendo “le informazioni necessarie a suffragare le dichiarazioni dell’interessato”.

– Con il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). per non avere il Tribunale riconosciuto la sussistenza in Nigeria di una minaccia grave alla vita di chiunque vi si trovi, derivante da una situazione di violenza indiscriminata. L’istante evoca, al riguardo, le tensioni a sfondo religioso causate da attacchi terroristici del gruppo (OMISSIS), che avrebbero interessato tutta la Nigeria e che dovevano considerarsi vieppù temibili nei confronti del richiedente in quanto (OMISSIS).

– Con il quarto motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. La censura investe la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso che ricorressero le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria ed è incentrata sul rilievo per cui nel paese di origine non sarebbero assicurate all’istante condizioni di vita accettabili: condizioni di contro esistenti in Italia, in cui lo stesso richiedente si sarebbe affrancato da una situazione di grave povertà, come dimostrato da documentazione ritenuta non soddisfacente dal giudice di prime cure.

3. L’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

1. Il primo motivo è generico.

Le censure che denunciano la motivazione apparente o radicalmente contraddittoria che correderebbe il decreto impugnato sono articolate senza enucleare gli specifici passaggi motivazionali, in tesi inficiati dal segnalato radicale vizio argomentativo, e senza riportare, in maniera puntuale, le osservazioni formulate avverso le conclusioni rassegnate dalla Commissione territoriale che aveva negato la protezione internazionale richiesta dal ricorrente.

Peraltro le censure medesime scontano un preliminare e decisivo profilo di inammissibilità, posto che dall’articolazione dello scritto difensivo non è dato comprendere quali siano i fatti di causa, mancando un’esposizione, ancorchè sommaria di essi, come stabilito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. Questa Corte si è, invero, più volte espressa nel senso di ritenere che, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa – norma questa che, alla stregua di quanto statuito dal diritto vivente risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770; Sez. U, n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770) -, il ricorso per cassazione deve contenere la chiara esposizione dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le posizioni processuali delle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati “causa petendi” e “petitum”, nonchè degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perchè tanto equivarrebbe a devolvere alla S.C. un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è riservata invece al ricorrente.

Il requisito non è adempiuto, pertanto, laddove i motivi di censura si articolino in un’inestricabile commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, riproduzione di atti e documenti incorporati nel ricorso, argomentazioni delle parti e frammenti di motivazione della sentenza di primo grado” (Sez. 6 – 3, n. 13312 del 28/05/2018, Rv. 648924; Sez. 6 – 3, n. 1926 del 03/02/2015, Rv. 634266).

2. Il secondo motivo è parimenti aspecifico.

2.1. La valutazione della credibilità delle dichiarazioni del richiedente, cui, secondo il ricorrente non si sarebbe ottemperato da parte del Tribunale secondo il protocollo procedimentale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non costituisce la ratio decidendi del diniego del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 14, lett. a) e b) lo stesso essendo stato fondato sull’assenza di elementi atti a riportare la vicenda narrata, evidenziante i tratti di “una questione privata e di giustizia comune”, nella categoria degli atti di persecuzione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 o dei trattamenti inumani o degradanti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) ancorchè posti in essere da aggregazioni sub-statuali, dalle quali non risultava che il ricorrente avesse chiesto protezione alle istituzioni statuali, così come previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 5, lett. c).

2.2. Peraltro, le proposte censure sul punto scontano un ulteriore profilo di genericità, laddove riferiscono, promiscuamente, del timore del richiedente di non riuscire a pagare i propri creditori, della persecuzione religiosa subita, di vendette private a base familiare, della situazione di assoluta insicurezza esistente in Nigeria per l’assenza di un sistema giudiziario in grado di assicurare effettiva tutela ai cittadini, come situazioni di fatto allegate a giustificazione della protezione internazionale richiesta. Si tratta, infatti, di rilievi che, per come sono stati formulati, impediscono a questa Corte di compiere il controllo richiesto sull’operazione di sussunzione del fatto alla norma, denunciata come effettuata in maniera scorretta dal giudice di merito.

4. Anche il terzo motivo è inammissibile.

Quanto al diniego della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), deve riconoscersi che il Tribunale ha preso posizione sull’azione terroristica di (OMISSIS) in (OMISSIS), escludendo, tuttavia, sulla base di una ampia esposizione del contenuto di affidabili fonti informative sulla situazione interna della (OMISSIS), che tale azione interessasse la regione di provenienza del ricorrente (l'(OMISSIS)); e tale giudizio, inerendo a una questione di fatto, si sottrae, come è evidente, al sindacato di legittimità.

4. E’, infine, inammissibile il quarto motivo.

Prive di concludenza risultano le deduzioni sviluppate sul punto della protezione umanitaria.

4.1. Come questa Corte ha avuto modo di precisare, la protezione umanitaria impone di verificare che “ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili”. La violazione di tali diritti nel paese di provenienza “deve inoltre necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ” (Sez. 1 -, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01; in termini Sez. 6 – 1, n. 9304 del 03/04/2019, Rv. 653700 – 01).

4.2. Nel caso in esame il Tribunale ha motivatamente escluso di poter ravvisare specifiche condizioni di vulnerabilità in capo al richiedente e il ricorso si attesta su di una presa d’atto del generale livello delle condizioni socio-economiche e sanitarie del paese di origine, finendo così per conferire rilievo a profili che non sono individualizzati e che, per quanto detto, risultano privi di decisività.

4.3. Il rilievo che si riferisce alla svalutazione del contenuto della documentazione allegata, la quale sarebbe stata tale da dimostrare la raggiunta integrazione sociale del ricorrente, avrebbe dovuto far valere l’errore di apprezzamento compiuto dal giudice di merito eventualmente deducendo il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Peraltro, quand’anche lo si volesse prendere in considerazione sotto il profilo della violazione di legge, esso è formulato in maniera assolutamente generica e risulta, comunque, in contrasto con il principio di diritto di recente affermato dal più autorevole Consesso nomofilattico, secondo cui:” In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato”(Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02).

5. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Nulla deve disporsi in punto di spese processuali, la controparte essendo rimasta intimata. Il doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dovrà essere corrisposto ove ne sussistano i presupposti, secondo quanto chiarito dalla sentenza Sez. 1 n. 9660/2019, cui si intende prestare adesione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla è dovuto a titolo di spese. Il doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dovrà essere versato, ove ne sussistano i presupposti.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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