Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6186 del 05/03/2021

Cassazione civile sez. II, 05/03/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 05/03/2021), n.6186

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21820/2019 proposto da:

E.O., rappresentato e difeso dall’avvocato FLAVIO GRANDE,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 2427/2019 del TRIBUNALE di

BOLOGNA, depositata il 28/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/11/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Bologna confermò la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, con la quale era stata disattesa la domanda di protezione internazionale avanzata da E.O.;

ritenuto che quest’ultimo ricorre sulla base di tre motivi avverso la statuizione di cui sopra e che il Ministero dell’Interno resiste con controricorso;

ritenuto che con le esposte censure, fra loro correlate, il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 117 Cost., comma 7, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e art. 6 e D.Lgs. n. 241 del 2007, art. 14, assumendo, in sintesi, che il Giudice non aveva applicato il principio dell’onere della prova attenuato, nè valutato correttamente le dichiarazioni del ricorrente, aveva erroneamente posto a carico del ricorrente l’onere di provare che non aveva potuto godere della protezione statuale a cagione dell’inidoneità della stessa, aveva, infine, negato, a dispetto di quel che era dato trarre da plurime fonti informative, la situazione di violenza diffusa e incontrollata in Nigeria, tale da esporre l’esponente al rischio di danno grave e irreparabile nel caso di rimpatrio;

considerato che il complesso censuratorio è inammissibile, valendo quanto segue:

a) il ricorrente ha raccontato di essere fuggito dal villaggio di provenienza, sita in (OMISSIS), a cagione della cruenta lotta per il possesso del trono, che vedeva contrapposti il re in carica e un suo fratello, pretendente al trono; lotta nella quale, a tutti i costi e con violenza, uno dei due contendenti voleva coinvolgere anche la sua famiglia, tanto che, al rifiuto del padre di pendervi parte, quest’ultimo era stato avvelenato;

b) il Tribunale, consultate fonti di conoscenza plurime, ha escluso, per una convergente pluralità di ragioni, l’attendibilità della narrazione: i fatti, peraltro svoltisi ben diversamente da quanto raccontato, erano accaduti tre anni prima rispetto all’epoca in cui l’istante era emigrato; contraddittorie e incompatibili le due versioni (quella resa davanti alla Commissione e quella davanti al Giudice) in ordine agli eventi successivi al suo trasferimento in altro villaggio e poi in Libia; la polizia locale era intervenuta a sedare la diatriba, procedendo anche ad arresti;

c) piuttosto palesemente le critiche sono rivolte al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360, c.p.c., vigente n. 5, difatti, invece che porre in rilievo l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo o l’assenza di giustificazione argomentativa della decisione, con le stesse il ricorrente, contrappone al ragionato esame della Corte il proprio avverso convincimento; ciò solo fa escludere la ricorrenza di un dovere d’ulteriore approfondimento istruttorio sulla vicenda (senza contare che la narrazione, proprio a cagione della sua flagrante inverosimiglianza e irrisolvibile contraddittorietà, non avrebbe comunque permesso attingimento di conferme di sorta) e il ricorrente, piuttosto che contrappore evidenze processuali tali da smentire le conclusioni del Tribunale, si limita a riportare i principi della materia e a insistere nella propria versione;

d) quanto alla situazione in Nigeria la decisione ha preso in esame COI aggiornate, dalle quali è dato escludere la sussistenza di quella situazione di violenza diffusa e incontrollata evocata dal ricorrente in Edo State; in definitiva risulta evidenziata una condizione di sottosviluppo e d’instabilità del Paese, diffusa, peraltro, purtroppo in molte regioni del mondo, ma non la situazione di particolare criticità dalla quale può conseguire il diritto alla protezione sussidiaria;

e) il Giudice del merito, quindi, ha deciso applicando il principio enunciato da questa Corte, la quale ha avuto modo di chiarire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6, n. 18306, 08/07/2019, Rv. 654719);

f) del pari inammissibile deve reputarsi la dedotta violazione della regola probatoria per avere il Tribunale fatto carico al richiedente di provare di non avere potuto avvalersi della protezione statuale, stante che, in concreto, deve constatarsi esattamente il contrario dell’assunto: il Tribunale, sulla base delle fonti consultate, ha potuto affermare che la lite insorta nel villaggio era stata sedata proprio con l’intervento delle forze di polizia, le quali avevano anche effettuato arresti e, di conseguenza, acquisita una tale prova, avrebbe dovuto essere il ricorrente a fornire gli elementi di smentita;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che la giurisprudenza della Corte è ormai costante nel ritenere che l’art. 366 c.p.c., n. 4,l si applichi, specularmente, anche al controricorso (Cass. n. 12171/09 ed ivi richiamo a Cass. n. 5400/06; cfr. anche Cass. nn. 6222/12 e 3421/97); ciò, tuttavia non significa affatto pretendere, al fine di valutarne l’ammissibilità, che il controricorso debba contenere dei propri “motivi” specifici e speculari rispetto a quelli del ricorso, nè tanto meno che contrattacchi la decisione con altre autonome argomentazioni, ma semplicemente esigere che esso contenga una sia pur minima confutazione del ricorso, in qualunque modo articolata, purchè la sua giustapposizione alla vicenda oggetto di ricorso non sia affidata alla sola deduzione logica della Corte sulla sola base dell’indicazione dei dati di riferimento della causa (numero d’iscrizione a ruolo, nomi delle parti, decisione impugnata);

che, pertanto, specificato in punto di diritto che: “ove il controricorso (…), a dispetto della indicazione della causa alla quale si riferisce, risulti privo di forza individualizzante, constando di uno schema avversativo “di genere, sprovvisto cioè di concreta attitudine di contrasto, attraverso l’esposizione di argomenti specificamente indirizzati a quella vicenda e a quella decisione e posti a confronto di quel ricorso, non assolve al suo scopo”, deve reputarsi che il controricorso qui al vaglio sia estraneo al genus, e per esso non può essere riconosciuto il diritto al rimborso delle spese;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021

 

 

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