Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6184 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. III, 05/03/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 05/03/2020), n.6184

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32310/2018 proposto da:

D.B.D., domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato FRANCESCO FELACO;

– ricorrente –

contro

ANAS ENTE NAZIONALE PER LE STRADE SPA, in persona del legale

rappresentante, T. HOLDING SPA;

– intimati –

Nonchè da:

T. HOLDING SPA, in persona del legale rappresentante p.t.

T.P., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE BRUNO BUOZZI 99,

presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO CRISCUOLO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato AUGUSTO LA MORGIA;

– ricorrente incidentale –

contro

D.B.D., ANAS ENTE NAZIONALE PER LE STRADE SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 574/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 28/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/12/2019 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.B.D. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Chieti, sez. distaccata di Ortona, la T. Costruzioni Generali SpA (ora T. Holding SpA) e l’ANAS – Ente Nazionale per le Strade SpA, chiedendone la condanna al pagamento della somma di Lire 2.000.000.000 (pari ad Euro 1.032.913,79), a titolo di risarcimento per i danni subiti dal proprio immobile, denominato “(OMISSIS)” (in precedenza “(OMISSIS)”) sito in (OMISSIS), a causa dei lavori di costruzione della galleria di variante di (OMISSIS), eseguiti dalla T. Costruzioni Generali SpA (mandataria della ATI T. SpA – Tor Valle Costruzioni SpA – Sapaba SpA – Impresa L. e Figli SpA) su progetto esecutivo redatto dal Compartimento ANAS di (OMISSIS).

Si costituirono entrambe le società convenute contestando la fondatezza della domanda.

Nel corso del giudizio, che era stato preceduto da ATP, fu espletata CTU e prova orale.

Con sentenza 297/2010 del 30-12-2010 l’adito Tribunale condannò l’ANAS al pagamento, in favore dell’attore, della somma di Euro 40.590,05, oltre interessi e rivalutazione, e rigettò la domanda proposta nei confronti della T. SpA; in particolare il Tribunale, dissentendo dalla valutazione espressa dal consulente in esito all’ATP (che aveva escluso la sussistenza di danni riconducibili ai lavori di escavazione in questione) e conformandosi al giudizio espresso dal CTU nominato nella fase di merito, ha ritenuto sussistente un quadro fessurativo dovuto a detti lavori, con un conseguente danno (corrispondente al costo degli interventi necessari per la riparazione delle lesioni accertate) pari ad Euro 40.590,05; ha, poi, ritenuto unico responsabile di tali danni l’appaltante ANAS, in quanto l’appaltatrice T. SpA aveva agito nell’esecuzione dell’opera quale “nudus minister”, senza alcun margine di autonomia, essendo assoggettata non solo al progetto iniziale ma anche a direttive e controlli costanti di ANAS nel corso dei lavori di scavo; ha infine rigettato la domanda di risarcimento per lucro cessante, evidenziando che nel periodo la struttura non avrebbe comunque potuto operare, abbisognando di lavori di ristrutturazione ordinaria e straordinaria.

Con sentenza 574/2018 del 28-3-2018 la Corte d’Appello di L’Aquila, in parziale accoglimento dell’appello proposto da D.B.D., ha condannato anche la T. SpA, in solido con Anas, al pagamento, in favore del D.B., della somma già liquidata dalla decisione di primo grado, ed ha condannato Anas al pagamento delle spese relativa alla fase cautelare.

In particolare la Corte d’Appello, per quanto ancora rileva, ha innanzitutto premesso che ANAS non aveva proposto alcun gravame in ordine alla sua responsabilità e che nessuna delle parti aveva contestato il nesso causale tra costruzione della galleria ed accertati danni al sovrastante fabbricato di proprietà dell’attore, sicchè i relativi capi di sentenza dovevano ritenersi passati in giudicato.

In ordine al “quantum” la Corte ha poi condiviso (così come aveva fatto già il Giudice di prime cure) quanto affermato dal CTU dopo una completa disaminata della documentazione in atti e con l’ausilio di un geologo; nello specifico ha concordato con la valutazione del CTU, secondo cui il fabbricato in questione era stato interessato da un’azione perturbatrice, prodotta dai lavori in questione, da ritenersi “modesta” in relazione alla tipologia ed alla rilevanza delle lesioni e crepe determinatesi; in particolare i lavori di scavo avevano infatti provocato sull’immobile “effetti di modesta entità, costituiti da cedimenti differenziali dell’ordine di alcuni millimetri”, che avevano “agito in concomitanza ad una vulnerabilità strutturale propria dell’edificio, legata alla vetustà ed alle sue caratteristiche costruttive, che ne aveva amplificato gli effetti”; al riguardo ha soggiunto che le carenze strutturali del fabbricato erano state evidenziate già in una relazione tecnica redatta da società incaricata dallo stesso D.B. e che la CTU espletata nel corso della procedura esecutiva, conclusasi con l’aggiudicazione dell’immobile al D.B., aveva ritenuto il fabbricato abbisognevole di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria; ha quindi concluso che il complesso delle opere previste dal tecnico di parte dell’attore consentiva non solo la riparazione delle crepe e delle lesioni ma comportava un miglioramento sensibile dell’immobile, ben superiore ai lavori di mera riparazione dei danni riconducibili ai lavori di escavazione della galleria.

La Corte ha, inoltre, confermato il rigetto della domanda di risarcimento del “lucro cessante”, evidenziando, in primo luogo, che i lavori di escavazione avevano avuto inizio quando l’immobile non era ancora in condizione di assolvere alla sua specifica funzione (organizzazione di matrimoni e feste in genere), dovendo infatti essere prima sottoposto a consistenti interventi di manutenzione, e, in secondo luogo, che il D.B. non aveva comunque dimostrato l’utilizzabilità dei locali in quel periodo.

La Corte, infine, ha precisato che l’atto di appello del D.B. concerneva anche il capo di sentenza con cui il Tribunale aveva escluso la responsabilità della T. SpA, atteso che l’appellante, sia pure nel corpo del motivo afferente le spese, aveva criticato l’assimilazione (compiuta dal primo Giudice) della T. SpA alla figura del “nudus minister”; ciò posto, ha ritenuto che, nella specie, la T. Spa non potesse essere considerata “nudus minister”, e cioè soggetto privo di apprezzabile discrezionalità ed autonomia operativa, atteso che detta società aveva incaricato altra società (Solisonda) per l’effettuazione di sondaggi del terreno, e che comunque dall’istruttoria orale non era emerso che le direttive impartite dall’appaltante ANAS fossero così continuative, rigide e stringenti da elidere, in capo all’appaltatrice T. SpA, qualunque discrezionalità ed autonomia operativa.

Avverso detta sentenza D.B.D. propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.

ANAS SpA resiste con controricorso.

T. Holding SpA resiste con controricorso, e propone, a sua volta, ricorso incidentale, affidato ad un motivo, cui ANAS SpA resiste con controricorso.

ANAS SpA ha presentato anche successiva memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo D.B.D. denuncia “omessa e/o insufficiente valutazione delle risultanze istruttorie su punti e fatti decisivi della controversia relativamente al “quantum” del risarcimento danni con violazione dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2″; in particolare si duole che la Corte territoriale, non tenendo conto di prove testimoniali e documentazione anche tecnica agli atti, abbia ritenuto di dare valenza esclusiva alle risultanze della CTU eseguita nel 2005, successivamente all’esecuzione, da parte del D.B., di lavori di straordinaria manutenzione sull’immobile in questione.

Con il secondo motivo D.B.D., denunciando “omessa e/o insufficiente valutazione delle risultanze istruttorie in relazione al lucro cessante”, si duole che la Corte territoriale non abbia valutato alcuni atti e documenti prodotti in giudizio e non oggetto di contestazione.

Detti motivi sono entrambi inammissibili.

Gli stessi, invero, sollecitano questa Corte ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie e, dunque, si risolvono, anche sub specie di violazione di legge, in una censura alla ricostruzione della “questio facti” al di fuori dei limiti indicati da Cass. S.U. 8053 e 8054/2014, secondo cui “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”; nel ricorso in esame non viene specificamente indicato alcun fatto storico (nel senso su precisato) non considerato dalla Corte territoriale.

In ogni modo, in particolare, non sussiste la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), che, come precisato da Cass. 11892 del 2016 e ribadito da Cass. S.U. 16598/2016, è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando (e non è il caso di specie) il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale T. Holding SpA, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 2909 c.c., artt. 342,329 e 327 c.p.c., si duole che la Corte territoriale, pur in mancanza di autonomo appello in ordine al rigetto della domanda risarcitoria nei confronti della T. SpA, abbia esteso a quest’ultima (non considerandola “nudus minister”) la responsabilità nella causazione del danno.

Il motivo è fondato.

Rileva, invero questa S.C., in seguito all’esame degli atti processuali (alla stessa consentito in virtù della natura di “error in procedendo” della formulata censura), che, come desumibile peraltro anche dalla stessa sentenza impugnata (ove viene espressamente evidenziato che la contestazione in ordine al ruolo di “nudus minister” di T. SpA è proposta solo nel corpo del motivo afferente le spese), nessun appello è stato proposto dal D.B. in ordine al rigetto (ad opera della sentenza di primo grado) della domanda risarcitoria dallo stesso proposta nei confronti della T. SpA; le considerazioni attinenti il ruolo di “nudus minister” di quest’ultimo sono svolte, invero, nel corpo del terzo motivo, attinente alla regolamentazione delle spese, e potevano pertanto comportare solo una diversa regolamentazione delle stesse, ma giammai, nel merito, la responsabilità anche di T. SpA, in aggiunta a quella di Anas SpA; siffatta questione della responsabilità anche di T. SpA, infatti, non è stata oggetto di specifico motivo di gravame, sicchè erroneamente la Corte territoriale, in violazione del principio del “tantum devolutum quantum appellatum” di cui all’art. 348 c.p.c., ha esaminato una questione non specificamente proposta nè in diretta connessione con altre questioni; di conseguenza, non essendo stato proposto appello sul punto, il giudizio al riguardo non poteva essere proseguito, sicchè la sentenza impugnata, nei rapporti tra il D.B. e T. Costruzioni, va cassata senza rinvio ex art. 382 c.p.c., comma 3 (conf. Cass. 19229/2015, secondo cui “in materia di appello, la sentenza resa, in violazione del principio “tantum devolutum quantum appellatum”, su un punto non compreso neppure implicitamente nel “thema decidendum”, come delimitato dai motivi di gravame, va cassata senza rinvio”).

In considerazione dell’addebitabilità dell’errore allo stesso Giudice d’Appello, si ritiene sussistano giuste, ragioni per compensare tra il D.B. e T. Costruzioni SpA le spese relative al giudizio di appello.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso principale è stato presentato successivamente al 30/1/2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale proposto da D.B.D.; accoglie il ricorso incidentale proposto da T. Costruzioni SpA e, per l’effetto, cassa senza rinvio, in ordine al rapporto tra il D.B. e T. Costruzioni SpA, la sentenza impugnata; dichiara compensate tra il D.B. e T. Costruzioni SpA (ora T. Holding SpA) le spese di lite relative al giudizio di appello; condanna il D.B. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore di Anas e T. Holdingi SpA” che si liquidano, per ciascuno, in Euro 10.000,00, oltre alle spese forfettari nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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