Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6182 del 05/03/2021

Cassazione civile sez. II, 05/03/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 05/03/2021), n.6182

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22857-2019 proposto da:

O.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. STOPPANI,

34, presso lo studio dell’avvocato LUCA SILVAGNI, rappresentato e

difeso dall’avvocato DANILO COLAVINCENZO, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOOGNA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 300/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 25/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/11/2020 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– la Corte d’appello di Bologna confermò la decisione del Tribunale della medesima città, con la quale era stata disattesa l’opposizione proposta dall’odierno ricorrente, in contraddittorio con il Ministero dell’Interno e la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, avverso il provvedimento di diniego in sede amministrativa della domanda di protezione internazionale dal predetto avanzata;

ritenuto che il richiedente ricorre sulla base di tre motivi avverso la statuizione e che il Ministero è rimasto intimato;

ritenuto che con il primo e il secondo motivo, tra loro correlati, il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 281 del 200, artt. 3, 5, 6, 7 e 8 e art. 14, lett. b) e c), del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 27, comma 1 bis e art. 35 bis, comma 13, così come novellato dal D.L. n. 13 del 2017, convertito con modificazioni nella L. n. 46 del 2017, nonchè “omesso e/o contraddittorio esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti”, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5), assumendo, in sintesi, che il Giudice del merito aveva ingiustamente valutato inattendibili le dichiarazioni rese del ricorrente (il richiedente aveva narrato di aver partecipato a un cruento rito d’iniziazione di una confraternita, a causa del quale era morta una persona e che i confratelli, accusandolo della morte dell’iniziando lo avevano minacciato e, per vendetta, ne avevano ucciso la madre), non aveva tenuto conto della situazione socio-politica della Nigeria, scossa dalle scorribande terroristiche del gruppo di (OMISSIS), della inadeguatezza del sistema di polizia e giudiziario, delle gravi lacune democratiche, appiattendosi acriticamente sulla motivazione di primo grado, senza i necessari approfondimenti istruttori (richiama gli avvertimenti del sito del Ministero degli esteri “Viaggiare Sicuri” del 2016 e il report di Amnesty International, 2015/2016) sulla situazione del Paese e in ordine alla narrazione personale, così venendo meno al dovere di cooperazione istruttoria e finendo per rendere una motivazione complessivamente “carente e illogica”;

considerato che il complesso censuratorio è inammissibile, valendo quanto segue:

a) la Corte locale, con valutazione di merito in questa sede incensurabile, ha escluso in radice l’attendibilità del narrato, privo di appigli di attendibilità e ciò solo fa escludere la ricorrenza di un dovere d’ulteriore approfondimento istruttorio sulla vicenda (senza contare che la narrazione, proprio a cagione della sua flagrante vacuità non avrebbe comunque permesso attingimento di conferme di sorta) e il ricorrente piuttosto che contrappore evidenze processuali tali da smentire le conclusioni della Corte d’appello si limita a riportare i principi della materia e a insistere nella propria versione;

b) piuttosto palesemente le critiche sono rivolte al controllo motivazionale, in spregio al contenuto del vigente n. 5 dell’art. 360, c.p.c., difatti, invece che porre in rilievo l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo o l’assenza di giustificazione argomentativa della decisione, con le stesse il ricorrente, contrappone al ragionato esame della Corte il proprio avverso convincimento;

c) sul piano della narrazione soggettiva, l’inattendibilità della stessa risulta sorretta da argomenti che non possono in alcun modo considerarsi mero simulacro; nè, si ripete, sulla base della scarna e approssimativa narrazione era ipotizzabile un qualunque approfondimento istruttorio;

d) quanto alla situazione di Edo State, la decisione ha preso in esame COI aggiornate, dalle quali è dato escludere la sussistenza di quella situazione di violenza diffusa e incontrollata evocata dal ricorrente; in definitiva risulta evidenziata una situazione di sottosviluppo e d’instabilità del Paese, diffusa, peraltro, purtroppo in molte regioni del mondo, ma non la situazione di particolare criticità dalla quale può conseguire il diritto alla protezione sussidiaria;

e) il Giudice del merito, quindi, ha deciso applicando il principio enunciato da questa Corte, la quale ha avuto modo di chiarire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6, n. 18306, 08/07/2019, Rv. 654719);

considerato che il terzo motivo, con il quale si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, per essere stato negato il diritto alla protezione umanitaria, con implicata “carente valutazione” dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, è inammissibile, essendo diretto a un improprio riesame di merito della decisione, la quale ha motivatamente escluso la sussistenza di una specifica condizione di soggettiva vulnerabilità, pur avendo tenuto conto delle esperienze di formazione, anche lavorative, in Italia e della non felice esperienza del transito in Libia;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che non vi è luogo a regolamento delle spese non avendo l’intimato Ministero svolto difese;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021

 

 

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