Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6178 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 24/02/2022, (ud. 26/01/2022, dep. 24/02/2022), n.6178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17873-2020 proposto da:

C.C., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dagli

avvocati SALVATORE CATANIA, NICOLA TODARO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE D.P. DI MESSINA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5677/2/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA SICILIA, depositata il 04/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 26/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. CAPRIOLI

MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. distaccata di Messina, veniva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate in riforma della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Messina n. 846/2012 la quale, a sua volta, aveva accolto il ricorso di Nicola Todaro, agente di commercio per prodotti alimentari avverso l’avviso di accertamento con cui era stato rideterminato il reddito in capo al contribuente.

La CTR confermava così l’impianto alla radice delle riprese, basate sull’applicazione di studi di settore D.L. n. 331 del 1993, ex art. 62-bis, rilevando che l’appellato aveva rappresentato in dichiarazione una situazione irragionevolmente antieconomica tale da giustificare una revisione in coerenza con lo studio di settore proprio dell’attività svolta.

Nicola Todaro propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Con il primo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la CTR mancato di considerare le circostanze più significative dedotte dal contribuente.

Con un secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito in L. n. 472 del 1993, della L. n. 212 del 2000, art. 7, degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver ritenuto fondata la pretesa impositiva basata unicamente sullo scostamento tra quanto dichiarato e quanto determinato con lo studio del settore.

Il primo motivo è inammissibile.

In primo luogo infatti non viene evidenziato uno specifico fatto decisivo e discusso, ma vengono dedotte argomentazioni giuridiche investente il complesso del quadro probatorio. In secondo luogo il presente atto impositivo non poggia solo sul dato emergente dagli studi di settore ma anche sulla antieconomicità dell’attività.

In particolare, in sentenza la CTR evidenzia gravi incongruenze nello svolgimento dell’attività rappresentata dalla produzione di redditi esegui che si è protratta per diversi anni nonché gravi anomalie negli indicatori economici tanto con riferimento al valore dei beni strumentali che con riferimento al valore aggiunto per l’addetto.

Il secondo motivo è infondato.

La determinazione del reddito mediante l’applicazione degli studi di settore, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idonea a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per il contribuente che vi è sottoposto, di fornire la prova contraria nella fase amministrativa e anche in sede contenziosa.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 23252 del 18/09/2019, Rv. 655077 – 01; dello stesso tenore, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 22347 del 13/09/2018, Rv. 650233 – 01).

Nondimeno, nel caso di specie, l’accertamento non è fondato, come si è su detto, solo sullo scostamento tra dichiarazione e studio di settore applicato, peraltro non di modesta entità, ed è idoneo comunque, per il principio giurisprudenziale sopra richiamato, a generare presunzioni gravi precise e concordanti, dal momento che i parametri applicati rappresentando la risultante dell’estrapolazione di una pluralità di dati, i quali rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d, (Cass. 20 febbraio 2015 n. 3415; Cass. 13 luglio 2016 n. 14288). Infatti, nella fattispecie non si verte su di un caso di accertamento da studio di settore “puro”, bensì “misto” ossia nel qual e lo scostamento dagli indici parametrici è soltanto uno degli elementi probatori che basano la pretesa creditoria fiscale, invero nemmeno il principale, essendolo piuttosto decisiva la palese “antieconomicità” della attività.

In particolare, in sentenza la CTR evidenzia gravi incongruenze nello svolgimento dell’attività rappresentata dalla produzione di redditi esegui che si è protratta per diversi anni nonché gravi anomalie negli indicatori economici tanto con riferimento al valore dei beni strumentali che con riferimento al valore aggiunto per l’addetto.

Tale accertamento in fatto del giudice del merito non è impugnato dal contribuente attraverso la deduzione di fatti decisivi e contrari ritualmente introdotti nel processo e non considerati dalla CTR, dal momento che il ricorso si limita a reiterare genericamente una propria diversa prospettazione dei medesimi fatti già valutati dal giudice d’appello.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso è infondato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri normativi vigenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 4.100,00 oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

 

 

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