Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6177 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. III, 05/03/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 05/03/2020), n.6177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25667-2018 proposto da:

(assuntore servizio gestione rifiuti) ATRADIUS CREDITO Y CAUCION SA

DE SEGUROS Y REASEGUROS in persona del Dirigente Procuratore Dott.

D.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA N

10, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO CASTAGNI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI MASSA CARRARA;

– intimata –

Nonchè da:

PROVINCIA DI MASSA CARRARA, in persona del Presidente e legale

rappresentante L.G., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GAETANO FILANGIERI 4, presso lo studio dell’avvocato MARINA

CASTRUCCI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente incidentale –

contro

ATI ADIUS CREDITO Y CAMION SA DE SEGUROS Y REASEGUROS;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1891/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Roma con sentenza in data 3.1.2011 ha rigettato, per decadenza ai sensi dell’art. 1957 c.c., la domanda della Provincia di Massa e Carrara avente ad oggetto la escussione della polizza cauzionale prestata da ATRADIUS Credit Insurance NV a garanzia dell’esatto adempimento delle obbligazioni assunte da (OMISSIS) s.r.l. – società successivamente dichiarata fallita – ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 27 e 28 in dipendenza dell’affidamento in concessione del servizio di gestione dell’impianto di recupero di rifiuti speciali.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza 24.3.2018 n. 1891, pronunciando sull’appello della Provincia, qualificava diversamente il rapporto contrattuale, ravvisando la prestazione di una garanzia autonoma volta ad assicurare all’ente creditore (la Provincia) l’indennizzo risarcitorio in caso di inadempimento del debitore garantito, con conseguente inapplicabilità della disciplina tipica del negozio fidejussorio: condannava, pertanto, ATRADIUS al pagamento dell’indennizzo, rigettando la eccezione di nullità del contratto di garanzia per contrasto con norma imperativa (L. n. 295 del 1978, art. 5), atteso che il ramo cauzioni costitutiva oggetto delle attività che le imprese di assicurazione erano espressamente autorizzate ad esercitare.

La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata per cassazione da ATRADIUS con ricorso affidato a cinque motivi.

Resiste con controricorso la Provincia di Massa e Carrara che ha proposto anche ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.

Le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Primo motivo: vizio di extrapetizione ex art. 99 c.p.c., ex art. 101 c.p.c., comma 2, ex artt. 112,183,324 e 329 c.p.c.; violazione artt. 1241 e 2909 c.c.

La ricorrente impugna la sentenza di appello nella parte in cui disattende la qualificazione giuridica del rapporto controverso operata dal Tribunale, sostituendo di ufficio, all’accertamento della solidarietà per accessorietà delle obbligazioni del garante e del debitore principale, la autonomia dei rapporti, e statuendo inoltre -senza provocare il contraddittorio sul punto – la nullità della clausola di cui all’art. 5 CGA, sebbene tale vizio di invalidità non fosse stato dedotto con specifica eccezione dalla Provincia, pertanto essendo incorso il Giudice di appello nel vizio di extrapetizione.

Il motivo deve ritenersi infondato, indipendentemente dal rilievo di inammissibilità per la lacunosa esposizione del fatto, violativa dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, non essendo stato neppure illustrato il contenuto della clausola prevista dall’art. 5 CGA, desumibile soltanto “aliunde”, dalla motivazione della sentenza impugnata, e non potendo ritenersi esaustiva la mera estrapolazione soltanto di alcune proposizioni dall’atto di appello della Provincia.

Osserva infatti il Collegio che, se la questione di nullità della clausola non può ritenersi introdotta attraverso la estrema ratio difensiva cui si è affidata ATRADIUS nella comparsa di risposta in grado di appello (laddove nel rilevare che il Giudice deve interpretare e qualificare il contratto privilegiando la soluzione che consenta di salvaguardarne gli effetti giuridici piuttosto di quella che ne neghi la validità e la efficacia, ha sostenuto che la qualificazione come garanzia autonoma andrebbe incontro alla dichiarazione di nullità per contrarietà a norma imperativa ex art. 1418 c.c. dell’intera polizza, “trattandosi di operazioni che non possono essere contenute dall’oggetto sociale del impresa assicurativa”), mentre appare appena accennata ma non sviluppata nella argomentazione giuridica, nell’atto di appello della Provincia (essendo stata paventata una possibile nullità della clausola di cui all’art. 5 CGA in quanto prevede un “facere” a carico di soggetto diverso dal concessionario), tuttavia ogni contestazione sulla corretta sottoposizione al Giudice della questione della invalidità negoziale viene ad essere definitivamente tacitata dal potere riservato al Giudice – anche in grado di appello – di rilevare “ex officio” il vizio di nullità del contratto azionato in giudizio, con conseguente riflesso dell’accertamento della nullità della clausola sulla diversa soluzione della controversia, concernente la struttura solidale o meno da riconoscere alla obbligazione principale ed a quella di garanzia poste in capo al garante ed al debitore principale garantito.

Occorre infatti ribadire che la “rilevazione” “ex officio” delle nullità negoziali (sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte, ed altresì per le ipotesi di nullità speciali o “di protezione”) è sempre obbligatoria, purchè la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”, e va intesa come “indicazione” alle parti di tale vizio; la loro “dichiarazione”, invece, ove sia mancata un’espressa domanda della parte pure all’esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa (salvo per le nullità speciali, che presuppongono una manifestazione di interesse della parte) del medesimo vizio, previo suo accertamento, nella motivazione e/o nel dispositivo della pronuncia, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione. Nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014).

Deve aggiungersi che, nella specie, la Corte d’appello rilevando e dichiarando ex officio la nullità della clausola delle CGA non è incorsa – diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente – nella violazione dell’art. 101 c.p.c..

Con riferimento alle cause – come quella oggetto del presente giudizio di legittimità iniziate anteriormente alle modifiche introdotte all’art. 101 c.p.c., comma 2 dalla Legge di riforma n. 69 del 2009, questa Corte ha enunciato il principio di diritto secondo cui “Nel caso in cui il giudice esamini d’ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l’apertura della discussione (c.d. terza via), non sussiste la nullità della sentenza, in quanto (indiscussa la violazione deontologica da parte del giudicante) da tale omissione non deriva la consumazione di altro vizio processuale diverso dalrerror iuris in iudicando” ovvero dalrerror in iudicando de iure procedendi”, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato: qualora invece si tratti di questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione, sostenendo che la violazione di quel dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini, con la conseguenza che, ove si tratti di sentenza di primo grado appellabile, potrà proporsi specifico motivo di appello solo al fine di rimuovere alcune preclusioni (specie in materia di contro-eccezione o di prove non indispensabili), senza necessità di giungere alla più radicale soluzione della rimessione in primo grado, salva la prova, in casi ben specifici e determinati, che sia stato realmente ed irrimediabilmente vulnerato lo stesso valore del contraddittorio.” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 20935 del 30/09/2009; id. Sez. 1, Sentenza n. 2984 del 16/02/2016; id. Sez. 3, Sentenza n. 15019 del 21/07/2016; id. Sez. 1 -, Sentenza n. 16049 del 18/06/2018; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 17473 del 04/07/2018).

Orbene la questione della “nullità parziale” della clausola di cui all’art. 5 CGA, che prevedeva la facoltà alternativa, rimessa alla società assicurativa, di “adempiere la stessa obbligazione gravante sul debitore inadempiente” in luogo di corrispondere alla Provincia l’importo della indennità dovuta a titolo di cauzione (si veda la sentenza di appello, in motivazione pag. 3: la clausola delle CGA è riportata alla pag. 13 del controricorso “l’Assicuratore, invece di corrispondere l’indennizzo potrà a sua scelta sostituirsi al Contraente nella esecuzione delle obbligazioni garantite”), si palesava come mera “quaestio juris”, ed in quanto tale non richiedeva una previa instaurazione del contraddittorio, atteso che l’eventuale errata pronuncia di nullità della clausola, per contrasto con norma imperativa ex art. 1418 c.c., verrebbe a tradursi in un vizio di -error in judicando” che la parte bene può sempre denunciare, con specifico motivo di ricorso per cassazione.

La rilevazione, da parte della Corte territoriale, della nullità della clausola per impossibilità dell’oggetto, deve ritenersi peraltro non dirimente alla risoluzione della controversia, atteso che la clausola delle CGA non consente una “diretta” sostituzione del garante nella esecuzione della prestazione inadempiuta, evidenziandosi a tal fine la necessità dell’intervento di un soggetto terzo dotato dei requisiti di capacità tecnica ed economica prescritti dalla legge (D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 29). La questione verrà sviluppata nell’esame del secondo e del terzo motivo di ricorso, dovendo anticiparsi la conformità a diritto della decisione del Giudice di appello, sia pure con motivazione corretta.

Secondo motivo: violazione degli artt. 1288,1346 e 1418 c.c..

Lamenta la società ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato a ritenere affetta da nullità la clausola delle CGA, in quanto la prevista possibilità per la società garante di sostituirsi nell’adempimento della obbligazione del debitore principale non escludeva che tale scelta potesse essere attuata attraverso il conferimento in appalto a terzi del servizio di smaltimento rifiuti.

La censura è infondata.

Se la garanzia personale è certamente funzionale a rafforzare l’adempimento della prestazione dovuta a favore del creditore, “aggiungendo” al debitore principale un coobbligato in solido tenuto alla esecuzione della medesima prestazione (art. 1936 c.c., comma 1, e art. 1944 c.c., comma 1), tuttavia l’elemento della “eadem res” viene meno le volte in cui la obbligazione garantita abbia ad oggetto una prestazione infungibile anche solo soggettivamente, venendo a qualificarsi, allora, la garanzia secondo lo schema della “fìdejussio indemnitatis”, atteso che, se l’interesse del creditore rimane insoddisfatto per l’inadempimento del debitore principale “infungibile”, il garante non può che essere tenuto alla prestazione per equivalente volta al ristoro del danno.

Nella specie la natura infungibile della prestazione del debitore principale è stata desunta dalla Corte territoriale dai requisiti tecnici ed economici e di affidabilità indispensabili per il rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative, avendo in conseguenza tale Giudice correttamente escluso la stessa astratta possibilità di adempiere la medesima prestazione da parte della società di assicurazione.

Tale “ratio decidendi” non viene inficiata dal rilievo per cui la prestazione avrebbe potuto essere eseguita da altro soggetto-terzo dotato dei requisiti di legge, al quale la società garante avrebbe potuto conferire incarico contrattuale ad hoc.

In tal caso, infatti, la prestazione alternativa posta in essere dal garante non è la esecuzione della “medesima prestazione” dovuta dal debitore principale, sibbene quella diversa di sopportare gli oneri economici correlati alla stipula di apposito contratto con un terzo -qualora dotato dei requisiti prescritti- chiamato ad eseguire la prestazione inadempiuta dal debitore principale: in ogni caso, quindi, l’oggetto della obbligazione alternativa che la società assicurativa è tenuta ad eseguire, non coincide con quello della obbligazione del debitore principale. La infungibilità della prestazione del debitore principale (concernente la gestione del servizio di smaltimento rifiuti speciali) rende oggettivamente diversa la prestazione dell’assicuratore in entrambe le sue componenti alternative (prestazione indennitaria ovvero stipula del contratto sostitutivo di appalto con il terzo ed assunzione dei relativi oneri economici), venendo quindi meno l’elemento costituivo della solidarietà delle obbligazioni del garante e del garantito individuato dalla “eadem res debita”.

Occorre tuttavia aggiungere che la stessa tesi difensiva svolta da ATRADIUS è giuridicamente insostenibile, venendo qui in rilievo la nullità per contrarietà a norma imperativa della clausola di cui all’art. 5 delle CGA, atteso che alle società di assicurazione, incluse a quelle del ramo cauzioni, è precluso l’esercizio di qualsiasi attività diversa da quelle elencate nella L. 10 giugno 1978, n. 295, art. 5 applicabile “ratione temporis”, e dunque esulando dall’oggetto sociale non soltanto l’assunzione in concessione del servizio di gestione dello smaltimento di rifiuti speciali, ma anche la stipula di contratti di appalto per conto terzi.

Terzo motivo: violazione degli artt. 1322,1362,1363,1368,1936 c.c..

Sostiene la società assicurativa che la Corte territoriale non avrebbe indagato la effettiva volontà comune delle parti, da cui emergeva che le stesse avevano volto collegare le due obbligazioni principale e di garanzia da un nesso di dipendenza-accessorietà tale per cui la apposizione della clausola delle CGA in questione, in quanto usualmente ricorrente nella prassi degli operatori economici e nel testo delle polizze fidejussorie, non si poneva come elemento di incompatibilità rispetto allo schema tipico della fidejussione, ed avrebbe quindi dovuto essere apprezzata sotto il profilo della meritevolezza degli interessi perseguiti dai privati, piuttosto che essere riguardata sotto quella della invalidità.

Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha, infatti, ritenuto che, esclusa la coincidenza tra le prestazioni oggetto delle obbligazioni del garante e del debitore garantito, la polizza fidejussoria si caratterizzava per la “funzione indennitaria” prevalente, essendo volta – secondo le indicazioni fornite da questa Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 3947 del 18/02/2010 – ad assicurare al creditore la somma destinata ad indennizzare il pregiudizio derivato dall’inadempimento della obbligazione principale, ed ha richiamato al proposito i principi enunciati dalle Sezioni Unite secondo cui “la polizza fideiussoria stipulata a garanzia delle obbligazioni assunte da un appaltatore costituisce una garanzia atipica, in quanto, ferma restando l’invalidità della polizza stessa se intervenuta successivamente rispetto all’inadempimento delle obbligazioni garantite, l’insostituibilità di queste ultime comporta che il creditore può pretendere dal garante solo il risarcimento del danno dovuto per l’inadempimento dell’obbligato principale, prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto, venendo così vulnerato il meccanismo della solidarietà che, nella fideiussione, attribuisce al creditore la “libera electio”, cioè la possibilità di chiedere l’adempimento così al debitore come al fideiussore, a partire dal momento in cui il credito è esigibile”; con la conseguenza che “in difetto di diversa previsione da parte dei contraenti, non si applica la norma dell’art. 1957 c.c., sull’onere del creditore garantito di far valere tempestivamente le sue ragioni nei confronti del debitore principale, poichè tale disposizione, collegata al carattere accessorio dell’obbligazione fideiussoria, instaura un collegamento necessario e ineludibile tra la scadenza dell’obbligazione di garanzia e quella dell’obbligazione principale, e come tale rientra tra quelle su cui si fonda l’accessorietà del vincolo fideiussorio, per ciò solo inapplicabile ad un’obbligazione di garanzia autonoma”.

Orbene le critiche che vengono mosse all’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale non vengono scalfite dalla censura svolta con il motivo in esame, che si palesa, peraltro, inammissibile in relazione tanto al requisito della specificità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), non potendo limitarsi la parte ricorrente a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 22889 del 25/10/2006; id. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013).

quanto al requisito della completa esposizione del fatto ed individuazione dei documenti e delle parti di essi sui quali il motivo si fonda (art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6), avendo del tutto omesso la ricorrente di trascrivere il contenuto della polizza fidejussoria, impedendo in tal modo ogni possibile verifica delle disposizioni negoziali che, a suo dire, in positivo (previsione del nesso di accessorietà) od in negativo (assenza di clausole volte a rendere autonoma la garanzia), consentivano di apprezzare la scelta delle parti di assoggettare il rapporto di garanzia alla disciplina dello schema tipico della garanzia personale: emergendo peraltro dal controricorso elementi negoziali che appaiono in netta contraddizione con la tesi difensiva della ricorrente, avendo le parti convenuto che eventuali inadempienze del debitore principale fossero tempestivamente portate a conoscenza dell’assicuratore, restando tuttavia quest’ultimo “per patto espresso estraneo alle controversie giudiziarie aventi ad oggetto i fatti riguardanti la garanzia” (clausola di cui all’art. 2 CGA riportata solo parzialmente a pag. 9 ricorso e per la parte omessa a pag. 18 controricorso).

Quarto motivo: violazione degli artt. 1936 c.c. e ss, artt. 1322,1945,1955 e 1956 c.c..

La ricorrente censura l’affermazione della Corte territoriale che avrebbe desunto la natura autonoma della garanzia, con esclusione della disciplina tipica di cui agli artt. 1936 c.c. e ss, dal mero oggetto della obbligazione di garanzia individuato nella prestazione indennitaria, non avvedendosi che tale elemento non si poneva in obiettiva incompatibilità con un diverso assetto negoziale riconducibile allo schema della garanzia personale.

Il motivo è inammissibile, sia in quanto difetta ancora dell’indicato requisito della chiara esposizione del fatto, omettendo qualsiasi riferimento al contenuto della polizza fidejussoria; sia in quanto viene a sottoporre a critica una mera proposizione estrapolata dal contesto motivazionale, laddove alla esclusione della applicazione della disciplina tipica della fidejussione la Corte territoriale è pervenuta, invece, dopo avere sviluppato le argomentazioni critiche poste a base della riforma della sentenza di prime cure, con riferimento alla funzione assolta dalla polizza fidejussoria in relazione alla peculiare garanzia espressamente richiesta a favore dell’ente pubblico dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 28, comma 1, lett. h), per il ripristino delle condizioni di sicurezza e di tutela igienico-ambientale disattese dal debitore principale.

Quinto motivo: omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. in ordine alle eccezioni rimaste assorbite nella pronuncia in primo grado e riproposte ex art. 346 c.p.c. con la comparsa di costituzione in grado di appello.

La ricorrente principale denuncia la omessa pronuncia da parte del Giudice di appello sulle eccezioni riproposte con la comparsa di risposta in secondo grado.

Il motivo è inammissibile per difetto dei requisiti prescritti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, per difetto di compiuta descrizione del fatto processuale (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012).

Occorre premettere che, in tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345 c.p.c., comma 2, (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2), nè sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest’ultimo l’esercizio ex art. 345 c.p.c., comma 2, (cfr. Corte cass. Sez. -, Sentenza n. 11799 del 12/05/2017).

Tanto premesso per l’accesso della censura del vizio di omessa pronuncia al sindacato di legittimità si rendeva allora necessaria: a) la compiuta descrizione delle eccezioni originariamente proposte da ATRADIUS con la comparsa di risposta in primo grado, onde andare esente dalla preclusione della novità delle stesse; b) la indicazione delle ragioni che avevano portato alla pronuncia di primo grado (trascritta soltanto in parte alla pag. 25 del controricorso, atto inidoneo a surrogare la carenza del requisito di ammissibilità del ricorso) onde escludere la preclusione determinata dal giudicato interno, per mancata proposizione di appello incidentale, su quelle eccezioni in ipotesi esplicitamente od implicitamente decise dal primo Giudice e verificare la ritualità della mera riproposizione ex art. 346 c.p.c..

Il mancato assolvimento degli oneri indicati rende inemendabile il motivo di ricorso che va dichiarato, pertanto, inammissibile.

L’esame del ricorso incidentale condizionato proposto dalla Provincia, con il quale è stato dedotto il vizio di “violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 99,112,324 e 329 c.p.c.” (primo motivo) ed il vizio di “violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1368, 1369, 1370, 1371, 1957, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5” (secondo motivo), rimane assorbito dalla pronuncia di rigetto del ricorso principale.

In conclusione il ricorso principale deve essere rigettato; il ricorso incidentale deve dichiararsi assorbito.

La ricorrente principale va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Condanna la ricorrente principale al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 18.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il versamento, se e nella misura dovuto, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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