Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6167 del 10/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 10/03/2017, (ud. 10/11/2016, dep.10/03/2017),  n. 6167

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10997-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE REGINA

MARGHERITA 262-264, presso lo studio dell’avvocato CATALDO D’ANDRIA,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO ANGELINI

giusta delega a margine;

– controricorrente –

e contro

R.M.T., R.G., RI.AN., M.A.,

R.S., R.M., RI.MI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 64/2011 della COMM.TRIB.REG. del Lazio,

depositata il 22/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO;

udito per il ricorrente l’Avvocato PALATIELLO che si riporta al

ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato MASTROGREGORI per delega

dell’Avvocato D’ANDRIA che si riporta al controricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. R.G. e gli eredi di R.L., identificati in R.M.T., R.G., R.A., B.L., Ri.Ar. e RI.AN., con atto del 12.11.1983 vendevano a D’Ambrosio Filomena un terreno con soprastanti fabbricati in parte urbani e in parte rurali al prezzo di Lire 282.000.000, di cui Lire 70.000.000 per il fabbricato urbano e Lire 212.000.000 per i terreni e per i fabbricati rurali. L’ufficio notificava avviso di accertamento per il maggior valore che veniva impugnato con due distinti ricorsi, uno da parte degli eredi di R.L. e l’altro da parte di R.G.. Delle due sentenze, entrambe favorevoli ai contribuenti, quella pronunciata nei confronti di R.G. passava in giudicato per mancata impugnazione mentre la sentenza pronunciata nei confronti degli eredi di R.L. veniva impugnata dall’ufficio. La commissione tributaria regionale rigettava l’appello con sentenza che era confermata dalla commissione tributaria centrale. L’ufficio proponeva ricorso per cassazione e la Suprema Corte, con sentenza numero 30500 del 30 dicembre 2008, lo accoglieva dichiarando, per quanto qui ancora interessa, che la valutazione automatica di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52 non trovava applicazione in quanto tra gli immobili da registrare ve ne erano alcuni privi di rendita ed il loro valore era stato dichiarato cumulativamente. Per l’effetto cassava la sentenza impugnata e rinviava alla CTR del Lazio. Riassunto il giudizio da parte dell’agenzia delle entrate, la commissione tributaria regionale dichiarava la congruità dei valori esposti dai contraenti nell’atto di compravendita del 12 novembre 1983 ed annullava l’avviso di accertamento. Osservava la CTR che i criteri di valutazione seguiti dell’UTE e recepiti dall’ufficio non erano condivisibili in quanto la stima era stata eseguita in base a sopralluoghi effettuati due anni dopo l’atto di compravendita, quando erano in corso radicali opere migliorative intraprese dall’acquirente che avevano modificato lo stato dei luoghi. Inoltre l’UTE non aveva preso in considerazione il vincolo cimiteriale risultante dal rogito notarile e gravante per oltre due terzi sull’immobile ceduto. Conseguentemente era più aderente alla realtà il valore indicato dai contraenti poichè, quanto ai beni muniti di rendita catastale conosciuta, il valore di essi ammontava a Lire 145.339.000; se ne deduceva che il valore della parte residua dei beni privi di rendita ammontava a Lire 66.661.000, essendo tale somma pari alla differenza tra il valore complessivo di Lire 212.000.000 dichiarato dalle parti e quello dei beni muniti di rendita; il valore così ottenuto era quasi coincidente con quello accertato dall’ufficio in Lire 67.480.000.

2. Avverso la sentenza della CTR ricorre l’agenzia delle entrate svolgendo due motivi. Si è costituito con controricorso R.A. eccependo, tra l’altro, la sussistenza del giudicato esterno. Il controricorrente ha, altresì, depositato memoria illustrativa.

3. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4. Sostiene che la CTR ha ritenuto congrua la valutazione dei beni dotati di rendita in Lire 145.339.000 senza considerare che il valore catastale dei beni non costituisce un valido criterio per determinare il valore effettivo in quanto l’art. 52 citato pone solo ed esclusivamente un limite al potere di accertamento dell’ufficio ma non pone una regola in virtù della quale si debba ritenere che il valore effettivo di un immobile sia pari al valore catastale.

4. Con il secondo motivo deduce motivazione insufficiente su fatto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene che la CTR ha ritenuto non attendibile la stima effettuata dall’UTE perchè era stata effettuata dopo due anni dall’atto quando erano iniziati vasti lavori migliorativi. Tuttavia dalla perizia si evinceva che di tali lavori migliorativi era stato tenuto conto, come pure del vincolo cimiteriale. Inoltre la CTR ha affermato che il valore catastale del bene è espressivo del valore effettivo di questo senza tener conto del fatto che il valore tabellare è solitamente largamente inferiore a quello effettivo.

6. Si osserva preliminarmente che l’eccezione di giudicato esterno proposta dal controricorrente è inammissibile. Ciò in quanto la rilevabilità del giudicato, interno ed esterno, in ogni stato e grado del processo deve essere coordinata con i principi che disciplinano quel giudizio, e, segnatamente, con la prospettata efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio, che riguarda non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d’ufficio nel procedimento di legittimità, ma anche quelle che costituiscono il necessario presupposto della sentenza stessa, ancorchè ivi non dedotte o rilevate, sicchè non può essere presa in esame la questione concernente un giudicato qualora l’esistenza di quest’ultimo, pur potendo essere allegata o rilevata, risulti tuttavia esclusa, quantomeno implicitamente, dalla statuizione di cassazione con rinvio (Cass. n. 2411 del 08/02/2016).

Parimenti inammissibile per manifesta infondatezza è l’eccezione – svolta con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. ma attinente a questione astrattamente rilevabile d’ufficio – relativa alla tardività del ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata all’esito del giudizio di rinvio. Assume, invero, il controricorrente che all’impugnazione di che trattasi è applicabile il termine di decadenza semestrale previsto dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17, che ha modificato l’art. 327 cod. proc. civ. e richiama giurisprudenza della corte di legittimità secondo cui la natura c.d. “chiusa” del giudizio di rinvio – il quale integra una nuova ed autonoma fase processuale di natura rescissoria – non comporta alcuna deroga al generale principio di diritto processuale “tempus regit actum”, in virtù del quale l’atto processuale è soggetto alla disciplina vigente al momento in cui viene compiuto, sebbene successiva all’introduzione del giudizio (cfr. Sez. 6 2, Ordinanza n. 7781 del 05/04/2011). Sennonchè mette conto considerare che la L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, prevede che le disposizioni della legge medesima che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore. L’espressa previsione di legge rende, dunque, inapplicabile al giudizio de quo il principio generale del “tempus regit actum”.

6. In ordine al primo motivo di ricorso, si osserva che esso è inammissibile. Invero la CTR ha preso in considerazione il valore catastale di alcuni beni solo quale criterio per accertare il valore dei beni non censiti con attribuzione di rendita e non ha, con ciò, affermato il principio secondo cui il valore catastale è pari al valore effettivo. Il riferimento al valore catastale si configura, dunque, come criterio di valutazione il cui uso può essere censurato solo sotto il profilo del vizio di motivazione, qualora se ne ravvisi l’illogicità, e non già per violazione di legge.

7. Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile. Invero con esso si fa valere vizio di motivazione sotto forma della sua insufficienza in quanto la CTR, in relazione al fatto controverso e decisivo del giudizio costituito dalla stima dei beni effettuata dall’Agenzia, ha ritenuto congruo il valore indicato in atto senza tuttavia esplicitare le ragioni della maggior persuasività degli elementi addotti dall’Agenzia delle entrate. Ora, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della corte di legittimità, il vizio di motivazione che giustifica la cassazione della sentenza sussiste solo qualora il tessuto argomentativo presenti lacune, incoerenze e incongruenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione impugnata, restando escluso che la parte possa far valere il contrasto della ricostruzione con quella operata dal giudice di merito e l’attribuzione agli elementi valutati di un valore e di un significato difformi rispetto alle aspettative e deduzioni delle parti (Cass. n. 3198/2015; Cass. N. 11511/14; Cass. n. 19814/13; Cass. n. 1754/07). Il riesame degli elementi oggetto di valutazione, laddove non siano evidenziati vizi logici, costituisce accertamento di merito che esula dai limiti del controllo di logicità della motivazione affidato alla corte di legittimità. Nella specie non sussiste alcuna lacuna nel ragionamento decisorio seguito dalla CTR, tenuto conto che le doglianze della ricorrente si sostanziano nel fatto che le circostanze di causa sono state lette in modo non corrispondente alle proprie aspettative. Ne deriva che non sussiste il dedotto vizio motivazionale per non aver la CTR considerato preponderante la valenza persuasiva di quanto affermato dall’Agenzia delle entrate ed aver ritenuto, per contro, che il riferimento al valore catastale di alcuni beni valesse quale indice attendibile del loro valore effettivo e di quello degli altri beni, seppure calcolato per differenza.

I motivi di ricorso vanno, dunque, dichiarati inammissibili e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La corte dichiara inammissibili i motivi di ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al contribuente R.A. le spese processuali che liquida in Euro 5000,00, oltre alle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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