Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6156 del 05/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 05/03/2021), n.6156

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9983/2015 R.G. proposto da:

G.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Luigi Vespoli, con

domicilio eletto in Roma, via Buccari, n. 3, presso lo studio

dell’Avv. Bruno Forti;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Napoli, in persona

del Direttore pro tempore;

Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 8533/23/14 depositata l’8 ottobre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 dicembre

2020 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

in seguito all’accesso, il (OMISSIS), nei locali destinati all’esercizio dell’attività commerciale, l’Agenzia delle entrate iniziò una verifica nei confronti di Guido Anna, titolare dell’omonima impresa individuale, che si concluse con la redazione del processo verbale del (OMISSIS), sottoscritto dalla contribuente;

da tale processo verbale – testualmente riportato nella sentenza impugnata – risulta che gli impiegati dell’Agenzia delle entrate: a) determinarono in Euro 108.776,00 il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla data del 16 luglio 2008 (nel seguente modo: effettuato l’inventario “analitico, per quantità e valori” di tali rimanenze, ne determinarono anzitutto, sulla base dei prezzi esposti al pubblico, al netto dell’IVA, il valore “a ricavo”, sempre al netto dell’IVA, in Euro 217.553,34; – calcolarono poi, sulla base dei prezzi di acquisto “della quasi totalità dei capi esposti” rilevato dalle fatture di acquisto degli anni 2007 e 2008 e del raffronto tra gli stessi prezzi di acquisto e i prezzi di vendita esposti al pubblico, le percentuali di ricarico per ogni articolo e la media aritmetica delle stesse, pari al 107 per cento; poichè, peraltro, la contribuente aveva dichiarato che il prezzo indicato sui cartellini, imposto dai fornitori, era il risultato di un ricarico del 100 per cento, decidevano per l’applicazione di quest’ultima percentuale, in quanto più favorevole alla contribuente, al menzionato valore “a ricavo” delle rimanenze alla data del 16 luglio 2008 di Euro 217.553,34, ottenendo così il valore al costo delle stesse rimanenze alla data del 16 luglio 2008 di Euro 108.776,00); b) determinarono in Euro 263.905,36 il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 (nel seguente modo: determinarono, anzitutto, in Euro 259.698,14 il costo del venduto nel periodo 1 gennaio/15 luglio 2008, ottenendolo, in particolare, sommando al costo del venduto al dettaglio di Euro 106.444,00 calcolato, a sua volta, sottraendo agli incassi di Euro 138.377,50 contabilizzati nel suddetto periodo la percentuale di margine lordo del 30 per cento, “confermata dalla parte” – il costo del venduto della vendita a stock indicata nella fattura n. (OMISSIS) del (OMISSIS), limitatamente alla merce consegnata con la bolla n. (OMISSIS) dell'(OMISSIS), di Euro 153.254,14; sommarono l’importo di Euro 360.200,00 delle esistenze iniziali al 1 gennaio 2008 indicato dalla contribuente all’importo di Euro 163.403,50 relativo agli acquisti di merce contabilizzati nel periodo 1 gennaio/15 luglio 2008; sottrassero dalla somma così ottenuta il suddetto costo del venduto nel periodo 1 gennaio/15 luglio 2008 di Euro 259.698,14, ottenendo, così, il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 di Euro 263.905,36); c) ritennero che la differenza tra quest’ultimo valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 di Euro 263.905,36 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data di Euro 108.776,00 – differenza pari a Euro 155.129,00 – “costituisce “vendite effettuate senza emissione di scontrino fiscale””; d) in considerazione della rilevanza di tale importo, ritennero che la corrispondente “omissione dei Ricavi (fosse) relativa non al solo anno 2008, ma (fosse), invece, spalmabile negli anni 2004 – 2005 – 2006 2007 e frazione di anno 2008, in proporzione ai Ricavi dichiarati dalla parte”; e) in base a tale proporzione, calcolarono che la merce venduta senza l’emissione dello scontrino fiscale era stata pari a Euro 25.968,60 nel 2004, a Euro 27.411,30 nel 2005, a Euro 45.654,46 nel 2006, a Euro 31.460,16 nel 2007 e a Euro 24.634,48 dal 1 gennaio al 15 luglio 2008; f) applicarono, infine, a tali importi le percentuali di ricarico lorde, rispettivamente, del 30,97 per cento, del 28,08 per cento, del 22,38 per cento e del 19,68 per cento dichiarate dalla contribuente nelle dichiarazioni modelli Unico per gli anni 2004, 2005, 2006 e 2007 e la percentuale di ricarico lorda del 30 per cento rilevata al momento dell’accesso per il periodo dal 1 gennaio al 15 luglio 2008; g) ottennero, così, ricavi non dichiarati di Euro 34.011,00 nell’anno 2004, di Euro 35.108,00 nell’anno 2005, di Euro 55.872,00 nell’anno 2006, di Euro 37.651,00 nell’anno 2007 e di Euro 32.025,00 nel periodo dal 1 gennaio al 15 luglio 2008 (per un importo complessivo di Euro 194.667,00);

sulla base di queste risultanze del processo verbale del (OMISSIS), l’Agenzia delle entrate notificò un avviso di accertamento delle maggiori IRPEF, Addizionali regionale e comunale all’IRPEF, IRAP e IVA dovute per l’anno d’imposta 2004;

tale avviso di accertamento fu impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Napoli (hinc anche: “CTP”) che, con la sentenza n. 177/8/2012 depositata il 28 marzo 2012, accolse il ricorso della contribuente;

avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale della Campania (hinc anche: “CTR”), che lo accolse affermando che: a) dal riportato processo verbale del (OMISSIS), “appare evidente che l’affermazione contenuta nella motivazione della impugnata sentenza secondo cui i verbalizzanti avrebbero determinato i ricavi omessi negli anni 2004, 2005 e 2006 con metodo induttivo appare frutto di un evidente e clamoroso travisamento del fatto. In realtà, i funzionari dell’Agenzia delle entrate, avendo accertato all’atto della verifica ricavi non contabilizzati per Euro 194.667,00 (merce venduta senza scontrino, al costo, Euro 155.129,00, aumentata della percentuale di ricarico), anzichè ritenere che tutta la merce fosse stata ceduta in evasione negli anni 2007-2008, avevano ripartito l’intero importo dei ricavi non contabilizzati per gli anni precedenti (2004-primo semestre 2008) così determinando, per ciascun anno, l’importo di ricavi non contabilizzati e di imposte evase. In altre parole, in luogo di caricare l’intero importo dei ricavi non contabilizzati sull’anno 2008 (ovvero su quello immediatamente precedente) si era ritenuto di ripartire il medesimo importo su più annualità, con una determinazione che appare se non vantaggiosa, quanto meno certamente neutra per il contribuente”, sicchè “non vi è stato alcun accertamento induttivo basato su congetture o ipotesi, ma solamente lo spalmamento dell’importo della merce accertata venduta senza scontrino su un numero maggiore di anni, con un’operazione che non aveva comportato alcun maggiore aggravio per il contribuente”; b) “la doglianza di merito prospettata dalla contribuente nel ricorso introduttivo era, senz’altro, insensata e incomprensibile” in quanto “(n)on è affatto vero – come affermato nel motivo di doglianza – che con riferimento all’anno 2004, sulle vendite contabilizzate, l’ufficio aveva applicato una percentuale di ricarico (57,64%) quasi doppia rispetto a quella dichiarata dalla parte (30,97%). Piuttosto, come si evince dai prospetti riportati in precedenza, alle vendite contabilizzate era stata aggiunta una quota parte delle vendite effettuate senza scontrino, calcolando su questa la medesima percentuale di ricarico dichiarata dalla parte per quell’anno”; c) “appare sicuramente strumentale e fuor di luogo riferire al 2004 situazioni di crisi del settore dell’abbigliamento verificatesi solo in epoche di gran lunga successive”; d) “(i)n presenza di un motivo di ricorso di merito palesemente inconsistente, l’avviso di accertamento impugnato, fin dall’inizio, necessariamente, doveva essere confermato”; e) “(I)a sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli aveva rigettato siccome infondate tutte le doglianze di carattere formale”;

avverso tale sentenza della CTR – depositata l’8 ottobre 2014 e non notificata – ricorre per cassazione G.A., che affida il proprio ricorso, notificato il 7 e l’8 aprile 2015, a sette motivi;

l’Agenzia delle entrate, con sede in Roma, resiste con controricorso, notificato il 27 maggio 2015.

Diritto

CONSIDERATO

che:

preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, poichè privo di legittimazione passiva in quanto il procedimento è stato introdotto successivamente al 1 gennaio 2001, giorno in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle entrate, alla quale, per i procedimenti introdotti dopo detta data, spetta in via esclusiva la legittimazione ad causam e ad processum (per tutte, Cass., Sez. U, 14/02/2006, n. 3118);

con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità del procedimento di appello o della sentenza impugnata per l’inesistenza o la nullità della notificazione del ricorso in appello poichè, in violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 16 e 17, degli artt. “330, 160,291,137 e ss. c.p.c.”, la stessa era stata effettuata, a seguito di ordinanza della CTR, oltre che dopo il decorso del termine fissato da tale atto, presso il proprio difensore nel solo giudizio di primo grado in mancanza di elezione di domicilio presso di lui e dopo oltre due anni dal deposito dell’impugnata sentenza della CTP anzichè nella propria residenza, con la conseguente violazione anche del principio del contraddittorio, di cui agli artt. 101 e 327 c.p.c.;

con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), che quanto rilevato con riferimento al primo motivo comporta che la CTR ha altresì violato o falsamente applicato gli artt. “330, 170,291,137 e ss. c.p.c.”, il principio del contraddittorio, di cui agli artt. 101 e 327 c.p.c.;

con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che “((l)e considerazioni svolte integrano, altresì, anche la violazione (di tale) norma (…) sotto il profilo dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”, in quanto “(i)l corretto esame degli atti processuali avrebbe dovuto indurre la commissione (…) a dichiarare l’inammissibilità e/o l’improcedibilità del gravame”;

con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione del cit. codice, art. 115, e art. 167, comma 1, degli artt. 2697,2729 e 2217 c.c., e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2: a) per avere la CTR “nega(to) la natura induttiva della verifica eseguita, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, da parte dell’Ufficio” (come risulterebbe dalle affermazioni che: “(i)n realtà, i funzionari dell’Agenzia delle entrate, avendo accertato all’atto della verifica ricavi non contabilizzati per Euro 194.667,00 (merce venduta senza scontrino, al costo, Euro 155.129,00, aumentata della percentuale di ricarico), anzichè ritenere che tutta la merce fosse stata ceduta in evasione negli anni 2007-2008, avevano ripartito l’intero importo dei ricavi non contabilizzati per gli anni precedenti (2004-primo semestre 2008) così determinando, per ciascun anno, l’importo di ricavi non contabilizzati e di imposte evase. In altre parole, in luogo di caricare l’intero importo dei ricavi non contabilizzati sull’anno 2008 (ovvero su quello immediatamente precedente) si era ritenuto di ripartire il medesimo importo su più annualità, con una determinazione che appare se non vantaggiosa, quanto meno certamente neutra per il contribuente”, sicchè “non vi è stato alcun accertamento induttivo basato su congetture o ipotesi, ma solamente lo spalmamento dell’importo della merce accertata venduta senza scontrino su un numero maggiore di anni, con un’operazione che non aveva comportato alcun maggiore aggravio per il contribuente”); b) perchè, “ome(ttendo) di rilevare che oggetto del giudizio non era costituito dal processo verbale di constatazione (…) ma dall’avviso di accertamento”, “da(ndo) per presupposto che non vi sia stata alcuna verifica degli elementi contabili riguardo ai redditi per l’anno 2004”, non considerando che “il principio dello “spalmamento” di imposta non trova riscontro nè contabile nè normativo e viola i più elementari principi di diritto in materia di inventario non apparendo giustificabile neppure sotto il profilo logico induttivo” e spendendo “(a)podittiche (…) argomentazioni (che) censurano le doglianze di merito del contribuente sollevate in primo grado”, la stessa CTR ha violato o falsamente applicato: b.1) l’art. 167 c.p.c. (comma 1), e l’art. 115 c.p.c. (comma 1), in relazione al fatto che “(n)el caso di specie la controversia oggetto del giudizio andava ristretta all’accertamento fatto con metodo induttivo dei redditi per l’anno 2004”; b.2) gli artt. 2697 e 2729 c.c., “laddove dà per provati i fatti (nella specie relativi al sistema delle presunzioni con riferimento all’accertamento operato dall’Agenzia ed al PVC) in virtù di criteri e metodi (che) erano stati oggetto di espressa contestazione da parte del contribuente ed oggetto di motivato accoglimento in prima istanza”; b.3) l’art. 2217 c.c., (comma 1), che “rappresenta la natura di documento a formazione progressiva e stratificata (dell’inventario) quale storico dell’impresa”, il quale, quindi, “va letto in relazione all’intera evoluzione dell’arco produttivo dell’impresa e non può essere ridotto a mero simulacro rappresentativo di una annualità”;

con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, nonchè “avviso di accertamento – invalidità – vizio di motivazione – illogicità – art. 111 Cost. – violazione – sussistenza”, per avere la CTR ritenuto la validità dell’avviso di accertamento impugnato nonostante fosse motivato per relationem al processo verbale e nonostante quest’ultimo atto non desse “minimamente conto delle ragioni di fatto e di diritto che avrebbero determinato maggiori redditi per l’esercizio 2004” nonchè per avere omesso di annullare, per le dette ragioni, lo stesso avviso e, conseguentemente, di disconoscere l’obbligazione tributaria;

con il sesto motivo (contrassegnato con la lettera “C” ed esposto alle pagine da 42 a 45 del ricorso), la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, nonchè “avviso di accertamento – invalidità – vizio di motivazione illogicità – art. 111 Cost. – violazione – sussistenza”, per avere la CTR ritenuto la validità dell’avviso di accertamento impugnato nonostante fosse stato adottato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, invocato comma 2, senza che nella specie sussistesse alcuno dei casi che legittimano l’ufficio a ricorrere a tale metodo di accertamento induttivo cosiddetto puro;

con il settimo motivo (contrassegnato anch’esso con la lettera “C”, ma esposto alle pagine da 45 a 55 del ricorso), la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la “nullità della sentenza” e l'”erronea applicazione” dell’art. 2729 c.c., in quanto: a) la CTR “si è limitat(a) ad un acritico riferimento al contenuto del verbale degli agenti verificatori mentre avrebbe dovuto elaborare e ricostruire un proprio accertamento in via autonoma e indipendente”, atteso che “(p)er poter condividere le risultanze contenute nel verbale non è (…) sufficiente riferirsi pedissequamente alle risultanze dello stesso ma è necessario esporre in maniera compiuta i motivi che hanno portato il giudicante alle stesse conclusioni dell’organo accertatore”; b) premesso che “(l’)’utilizzo del metodo analitico induttivo puro richiede (…) che le prove logiche siano dotate dei requisiti di precisione, gravità e concordanza di cui all’art. 2729 c.c.”, la CTR ha applicato tale norma nonostante la mancanza, nella specie, dei suddetti requisiti, come comprovato, in particolare, dal fatto che l’ufficio ha applicato alla merce venduta nel 2004 la percentuale di ricarico del 57,64 per cento, superiore di quasi 27 punti percentuali a quella del 30,97 per cento effettivamente da lei applicata;

i primi tre motivi – in quanto concernenti tutti la questione della validità (o no) della notificazione del ricorso in appello dell’Agenzia delle entrate in relazione al luogo di esecuzione di essa – possono essere esaminati congiuntamente;

poichè i vizi denunciati attengono all’asserita inosservanza di norme processuali, questa Corte, essendo giudice anche del “fatto processuale”, ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti del processo indicati dalle parti;

dall’esame di tali atti risulta che: a) nel ricorso introduttivo del giudizio era indicato che esso era proposto “(n)ell’interesse di G.A. nata a (OMISSIS) il (OMISSIS), nella qualità di titolare della omonima ditta individuale, C.F. (OMISSIS) – P. IVA (OMISSIS), assistita e difesa dal Dott. M.D. – con studio in (OMISSIS) – iscritto all’Albo dei Dottori Commercialisti di Napoli – come da mandato in calce al presente ricorso”, il quale (mandato) aveva il seguente tenore: “Delego a rappresentarmi e difendermi ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, nel presente giudizio il Dott. M.D., iscritto all’Albo dei Dottori Commercialisti di Napoli, con ogni facoltà istruttoria, con facoltà di sostituire a sè altri professionisti abilitati e con espressa facoltà di definire la vertenza a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 48″; b) il (OMISSIS), l’Agenzia delle entrate depositò copia dell’avviso di ricevimento della raccomandata n. (OMISSIS), spedita il (OMISSIS) a ” G.A. via (OMISSIS)”, a mezzo della quale aveva provveduto a notificare alla stessa sig.ra G. il ricorso in appello, avviso che recava la dicitura “al mittente per compiuta giacenza”; c) sempre il (OMISSIS), l’Agenzia delle entrate depositò anche una memoria, con la quale, premesso di avere spedito il ricorso in appello sia al menzionato difensore Dott. M.G. “all’indirizzo indicato dalla parte nel proprio ricorso introduttivo, che coincide perfettamente con quanto risultante dall’Albo dell’Ordine”, “(OMISSIS)”, dove tale difensore, tuttavia, “non risulta(va) reperibile (…) perchè sconosciuto”, sia “al contribuente, ed in questo caso l’appello non è stato ritirato, per cui è ritornato al mittente per compiuta giacenza”, chiedeva alla CTR di “(d)ichiarare valida ed efficace la notifica dell’atto di appello per deposito presso la Segreteria della Commissione adita ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 3”; d) con l’ordinanza n. 671/23/14, emessa all’udienza del 15 aprile 2014, la CTR dispose: “(s)i rinvia a N.R. per difetto di notifica dell’appello. Si dà termine di 30 gg all’ufficio per la rinotifica rituale”; e) il (OMISSIS), l’Agenzia delle entrate, “(i)n risposta (a tale) ordinanza”, depositò copia dell’avviso di ricevimento della raccomandata n. (OMISSIS), spedita il (OMISSIS) al “nuovo indirizzo del difensore” (precisamente, in “(OMISSIS)”) e ricevuta il (OMISSIS) a mezzo della quale aveva provveduto a rinotificare il proprio ricorso in appello; f) G.A. non risulta costituita nel giudizio di appello;

così ricostruito il “fatto processuale”, occorre rammentare che, con la sentenza 20/07/2016, n. 14916, le Sezioni unite di questa Corte, superando l’orientamento precedentemente espresso da Cass., Sez. U., 15/12/2008, n. 29290, hanno asserito che “non esistono ragioni normative che impongano di affermare che il (D.Lgs. n. 546 del 1992), art. 17, si riferisce esclusivamente alle notificazioni endoprocessuali” e che, anzi, sia la previsione dell’ultrattività dell’indicazione della residenza o della sede e dell’elezione del domicilio di cui allo stesso art. 17, comma 2, sia “esigenze di coerenza sistematica” inducono alla conclusione dell’applicabilità della disposizione di tale articolo, in quanto speciale rispetto all’art. 330 c.p.c., e, quindi, su di esso prevalente, anche alla notificazione del ricorso in appello (nello stesso senso, Cass., 17/02/2017, n. 4233, 06/06/2018, n. 14549, 11/06/2019, n. 15630);

posto tale principio – che il collegio condivide e al quale intende, perciò, dare continuità – il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, sotto la rubrica “Luogo delle comunicazioni e notificazioni”, stabilisce che “(l)e comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio. Le variazioni del domicilio o della residenza o della sede hanno effetto dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata notificata alla segreteria della commissione e alle parti costituite la denuncia di variazione (comma 1). L’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo (comma 2). Se mancano l’elezione di domicilio o la dichiarazione della residenza o della sede nel territorio dello Stato o se per la loro assoluta incertezza la notificazione o la comunicazione degli atti non è possibile, questi sono comunicati o notificati presso la segreteria della commissione (comma 3)”;

tanto premesso in punto di “fatto processuale” e di diritto, si deve altresì precisare che, nel valutare il “fatto processuale” ai fini del giudizio in ordine alla validità della notificazione del ricorso in appello sotto il profilo del luogo di effettuazione di essa, questa Corte ha il potere-dovere di (ri)esaminare lo stesso “fatto” nella sua interezza, avendo riguardo, cioè, a tutte le notificazioni effettuate dall’appellante, a prescindere dalla valutazione che di esse abbia dato il giudice del secondo grado;

tutto ciò premesso, tornando al caso di specie, dall’esame degli atti del giudizio di secondo grado risulta che, mancando, come si è visto, l’elezione di domicilio, il ricorso in appello fu notificato, a mezzo della raccomandata n. (OMISSIS), spedita il (OMISSIS), nella residenza della contribuente in (OMISSIS), e che, come emerge dal relativo avviso di ricevimento, il procedimento di notificazione si perfezionò “per compiuta giacenza” (a norma, quindi, della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, commi 2, 3 e 4, nel testo vigente ratione temporis);

pur in assenza, come pure si è visto, di dichiarazione della residenza, tale perfezionata notificazione del ricorso in appello deve ritenersi conforme alle disposizioni del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 – applicabile, come s’è detto, alla notificazione del ricorso in appello avverso le sentenze delle commissioni tributarie provinciali in quanto effettuata nel luogo, la residenza della parte, indicato nel detto art., commi 1 e 2, e, assicurando l’arrivo dell’atto nella sfera di conoscibilità del destinatario, certamente più garantista, per il contribuente, della notificazione presso la segreteria della commissione ai sensi dello stesso art. 17, comma 3;

da ciò l’infondatezza dei primi tre motivi;

in ordine di priorità logico-giuridica, va ora esaminato il quinto motivo;

tale motivo è inammissibile;

l’inammissibilità discende dal fatto che, premesso che la questione del difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato (in quanto motivato per relationem al processo verbale e in quanto quest’ultimo atto non darebbe comunque conto dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che avevano determinato la ripresa a tassazione) e dei conseguenti omessi annullamento dello stesso avviso e disconoscimento dell’obbligazione tributaria è estranea alla sentenza impugnata – sicchè, ove mai fosse stata ritualmente introdotta nel giudizio di merito, la ricorrente avrebbe dovuto denunciare, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) (e non n. 3), la violazione del cit. codice, art. 112, – il motivo è, in ogni caso, privo di autosufficienza, giacchè, ai fini del rispetto di tale principio, la stessa ricorrente avrebbe dovuto almeno indicare in quali atti del giudizio di merito (e in quale punto degli stessi) avesse prospettato la predetta questione (a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e allegare gli stessi atti al ricorso (a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) nonchè allegare al ricorso (sempre a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) l’avviso di accertamento, oneri che non sono stati adempiuti;

passando all’esame del quarto motivo, il primo profilo, indicato sub a), non è fondato;

dalla lettura delle riportate contestate affermazioni risulta infatti evidente che, con l’asserire, sulla premessa della prima di esse, che “non vi è stato alcun accertamento induttivo basato su congetture o ipotesi, ma solamente lo spalmamento dell’importo della merce accertata venduta senza scontrino su un numero maggiore di anni,

con un’operazione che non aveva comportato alcun maggiore aggravio per il contribuente”, la CTR – contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – non ha negato che l’atto impugnato fosse un accertamento induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, ma soltanto che tale accertamento fosse “basato su congetture o ipotesi” mere, confermando, in particolare, la legittimità della ripartizione su più anni (dal 2004 al 2008) della vendita in evasione d’imposta di merce per un valore pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data;

il secondo profilo, indicato sub b.1), non è fondato;

contrariamente a quanto mostra di ritenere la ricorrente, l’oggetto della causa decisa dalla CTR è stato costituito dall’avviso di accertamento delle maggiori IRPEF, Addizionali regionale e comunale all’IRPEF, IRAP e IVA dovute per l’anno d’imposta 2004 (come risulta, in modo irrefutabile, dalle affermazioni della CTR che: ” G.A. (…) aveva proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento (OMISSIS) (…) avente per oggetto IRPEF, addizionale regionale e comunale, contributi previdenziali, IRAP e IVA per l’anno 2004″; “(n)on è affatto vero (…) che con riferimento all’anno 2004, sulle vendite contabilizzate, l’ufficio aveva applicato una percentuale di ricarico (57,64%) quasi doppia rispetto a quella dichiarata dalla parte (30,97%). Piuttosto, (..)”; c) “appare sicuramente strumentale e fuor di luogo riferire al 2004 situazioni di crisi del settore dell’abbigliamento verificatesi solo in epoche di gran lunga successive”);

i riferimenti operati dalla CTR alle risultanze del processo verbale del 24 luglio 2008 relativamente alla determinazione del valore, al costo, delle rimanenze effettive alla data del 16 luglio 2008 e al valore delle rimanenze contabili alla stessa data sono giustificati dal fatto che, poichè l’amministrazione finanziaria aveva ritenuto che le vendite senza emissione di scontrino, per un importo pari alla differenza tra detti due valori, per il loro rilevante ammontare, dovessero essere ripartite su più anni, a partire dal 2004, l’impugnato avviso di accertamento per tale anno trovava il proprio presupposto nelle suddette risultanze;

per ragioni di connessione, il terzo profilo del motivo, indicato sub b.2), verrà esaminato congiuntamente al settimo motivo;

il quarto profilo, indicato sub b.3), non è fondato;

con tale profilo, la ricorrente denuncia che la ripartizione (o “spalmamento”) su più anni (dal 2004 al 2008) dei ricavi non dichiarati derivanti dalla vendita in evasione d’imposta di merce per un valore pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data violerebbe l’art. 2217 c.c.,(comma 1), in materia di redazione dell’inventario e, come si evince dalla lettura del complesso del motivo, “non (sarebbe) giustificabile neppure sotto il profilo logico induttivo”;

anzitutto, non sussiste la denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 2217 c.c., (comma 1);

infatti, posto che tale comma (secondo cui “(l)’inventario deve redigersi all’inizio dell’esercizio dell’impresa e successivamente ogni anno, e deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività relative all’impresa, nonchè delle attività e delle passività dell’imprenditore estranee alla medesima”) stabilisce, da un lato, l’obbligo di redazione dell’inventario all’inizio dell’esercizio dell’impresa e, successivamente, con cadenza annuale e, dall’altro lato, il contenuto di tale scrittura contabile – che deve indicare le attività e le passività dell’impresa, con le relative valutazioni, e, (per l’imprenditore individuale), le attività e le passività estranee alla stessa – la sentenza impugnata non contiene alcuna affermazione, neppure implicita, che neghi il predetto obbligo o che ne affermi una diversa cadenza temporale o un diverso contenuto rispetto a quelli previsti dal l’invocata disposizione codicistica;

l’argomentazione della ricorrente secondo cui lo stesso comma “rappresenta la natura di documento a formazione progressiva e stratificata (dell’inventario) quale storico dell’impresa”, il quale, quindi, “va letto in relazione all’intera evoluzione dell’arco produttivo dell’impresa e non può essere ridotto a mero simulacro rappresentativo di una annualità”, lungi dall’essere idonea a contrastarla, è, in realtà, coerente con la ripartizione su più anni della vendita in evasione d’imposta di merce per un valore pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data;

tale ripartizione non è censurabile neppure “sotto il profilo logico induttivo” atteso che non può reputarsi contrario a logica che, dalla considerazione del relativo rilevante ammontare (Euro 155.129,00) delle accertate vendite di merce in evasione d’imposta per un valore pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data, si pervenga a ritenere che le stesse vendite (e, conseguentemente, i ricavi di esse) non siano avvenute tutte nel periodo 1 gennaio/15 luglio 2008 ma, ragionevolmente, anche negli anni precedenti, in proporzione ai ricavi per essi dichiarati;

a tale conclusione non si oppongono i principi della giurisprudenza di questa Corte secondo cui, “(i)n tema di accertamento induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, l’irrilevanza della fonte di acquisizione e notizie non consente all’Ufficio di prescindere dall’inerenza di questi ad un determinato specifico periodo d’imposta, attesa l’autonomia di ciascun periodo d’imposta, con la conseguente illegittimità della presunzione della costanza di reddito in anni diversi da quello per il quale è stata accertata la produzione di un determinato reddito” (Cass., 21/12/2007, n. 27008, 21/11/2019, n. 30378) e secondo cui, “(i)n tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’adozione del criterio induttivo di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, impone all’Ufficio l’utilizzazione di dati e notizie inerenti al medesimo periodo d’imposta al quale l’accertamento si riferisce: non è pertanto censurabile l’affermazione del giudice tributario, il quale abbia annullato l’accertamento, escludendo la possibilità di desumere il reddito relativo ad un’annualità d’imposta da quello conseguito in anni precedenti, in quanto incombe all’Ufficio l’onere di fornire elementi in senso contrario, risultando insufficiente a tal fine la mera affermazione secondo cui l’accertamento è sorretto da “criteri ragionevoli”” (Cass., 12/03/2008, n. 6579, 02/12/2016, n. 24709), atteso che tali principi escludono che l’amministrazione finanziaria, utilizzando dati e notizie relativi ad anni d’imposta diversi da quello al quale si riferisce l’avviso di accertamento, possa “presu(mere) la costanza di reddito in anni diversi da quello per il quale è stata accertata la produzione di un determinato reddito” (Cass., n. 27008 del 2007 e n. 30378 del 2019) o “desumere il reddito relativo ad un’annualità d’imposta da quello conseguito in anni precedenti” (Cass., n. 6579 del 2008 e n. 24709 del 2016), ma non che la stessa amministrazione possa ritenere – come nella specie – che vendite di merce che si sia accertato essere avvenute in evasione d’imposta per un valore pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili a una determinata data e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data non siano avvenute tutte nell’anno in cui tale differenza è stata verificata ma anche negli anni precedenti;

l’avere l’ufficio operato la contestata ripartizione, in luogo di ascrivere tutte le accertate vendite di merce in evasione d’imposta (e i relativi ricavi) al solo periodo 1 gennaio/15 luglio 2008, non ha peraltro comportato – come osservato dalla CTR – un aggravio per il contribuente e, anzi, deve ritenersi essersi tradotto in un esito per lui più favorevole;

pertanto, il quarto motivo non è fondato nel suo primo, secondo e quarto profilo (indicati, rispettivamente, sub a, b.1 e b.3);

il sesto motivo è inammissibile;

l’inammissibilità discende dal fatto che, premesso che la questione se, nella specie, sussistesse o no uno dei casi che legittimano l’ufficio a ricorrere all’accertamento induttivo cosiddetto puro, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, è estranea alla sentenza impugnata – sicchè, ove mai fosse stata ritualmente introdotta nel giudizio di merito, la ricorrente avrebbe dovuto denunciare, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) (e non n. 3), la violazione del cit. codice, art. 112, – il motivo è, in ogni caso, privo di autosufficienza, giacchè, ai fini del rispetto di tale principio, la stessa ricorrente avrebbe dovuto almeno indicare in quali atti del giudizio di merito (e in quale punto degli stessi) avesse prospettato la predetta questione (a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) nonchè allegare gli stessi atti al ricorso (a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), oneri che non sono stati adempiuti;

infine, si deve passare all’esame del settimo motivo, il quale, come si è anticipato, viene scrutinato congiuntamente al terzo profilo del quarto motivo;

è infondato il secondo profilo del settimo motivo (indicato sub b);

l’avviso di accertamento impugnato è stato adottato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, invocato comma 2, il quale – come si è visto – dà all’ufficio la facoltà di “avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui al precedente comma, lett. d)”, cioè dei requisiti di gravità, precisione e concordanza;

da ciò l’infondatezza del profilo, atteso che, con lo stesso, la ricorrente ha lamentato la mancanza dei suddetti requisiti in relazione a una fattispecie per la quale essi non sono richiesti;

per la stessa ragione, è infondato anche il terzo profilo del quarto motivo, nella parte in cui fa riferimento alla violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c.;

non ha pregio la doglianza della ricorrente secondo cui l’ufficio avrebbe applicato alla merce venduta nel 2004 la percentuale di ricarico del 57,64 per cento (superiore di quasi 27 punti percentuali a quella del 30,97 per cento effettivamente da lei applicata), atteso che, dalla lettura del processo verbale, riportato nella sentenza impugnata – e come da questa correttamente affermato – risulta che l’ufficio calcolò nel 30,97 per cento la percentuale di ricarico applicata dalla contribuente (rapportando il costo del venduto di Euro 127.532,00 alle vendite contabilizzate di Euro 167.032,00) e applicò poi tale percentuale del 30,97 per cento anche alle vendite ritenute effettuate senza l’emissione dello scontrino;

il primo profilo del settimo motivo e il terzo profilo del quarto motivo, nella parte in cui fa riferimento alla violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., sono fondati;

a proposito dell’effettuazione di vendite senza emissione di scontrino per l’importo, al costo, di Euro 155.129,00 (pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008, determinato in Euro 263.905,36, e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data, calcolato in Euro 108.776,00) – vero punto focale della ripresa a tassazione, dal quale è poi scaturito il recupero a tassazione di maggiori ricavi non dichiarati per complessivi Euro 194.667,00 (di cui Euro 34.011,00 imputati all’anno 2004) – la sentenza impugnata afferma (solo) che “i funzionari dell’Agenzia delle entrate, ave(vano) accertato all’atto della verifica ricavi non contabilizzati per C 194.667,00 (merce venduta senza scontrino, al costo, Euro 155.129,00, aumentata della percentuale di ricarico)”;

con tale affermazione, la CTR, proprio, come si è detto, con riguardo al punto focale della ripresa a tassazione: a) da un lato, si è limitata ad aderire alla tesi dell’ufficio (neppure compiutamente esposta), senza fornire, neanche sinteticamente, le ragioni di tale condivisione nè del superamento delle contrapposte tesi della contribuente; b) dall’altro lato, ha dato per assunto il fondamento della pretesa tributaria, che l’amministrazione finanziaria aveva invece l’onere di provare (Cass., 24/07/2002, n. 10802, 09/02/2004, n. 2433, 13/02/2006, n. 3106, 11/06/2009, n. 13509);

per questo, la sentenza impugnata, rispettivamente: a) risulta corredata di una motivazione solo apparente, in quanto non idonea a evidenziare gli elementi che hanno giustificato il convincimento del giudice, con la conseguente sussistenza della denunciata nullità di essa (non assumendo rilievo, a fronte dell’esplicito riferimento a tale vizio, l’inesatta indicazione, nella rubrica del settimo motivo, dell’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, al n. 3, anzichè di quella di cui al n. 4); b) finisce con negare, ancorchè implicitamente, l’onere dell’amministrazione finanziaria di provare il fondamento della pretesa tributaria, incorrendo, perciò, nella violazione dell’art. 2697 c.c., comma 1, denunciata con il terzo profilo del quarto motivo;

in conclusione, il quarto e il settimo motivo devono essere parzialmente accolti, in relazione, rispettivamente, al loro terzo e primo profilo, gli ulteriori profili di tali motivi e il primo, il secondo e il terzo motivo devono essere rigettati e il quinto e il sesto motivo devono essere dichiarati inammissibili, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione agli accolti terzo profilo del quarto motivo e primo profilo del settimo motivo e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che dovrà anche provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze; con riguardo al ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate: accoglie parzialmente il quarto e il settimo motivo, nei limiti e nei termini di cui in motivazione; rigetta, nel resto, il ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021

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