Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6152 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 24/02/2022, (ud. 11/11/2021, dep. 24/02/2022), n.6152

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2455-2016 proposto da:

A.S.RE.M. – AZIENDA SANITARIA REGIONALE MOLISE, in persona del

Direttore generale pro tempore, domiciliata ope legis in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO CARUSO;

– ricorrente principale –

contro

C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIMA, 20,

presso lo studio dell’avvocato VINCENZO IACOVINO, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 108/2015 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 16/06/2015 R.G.N. 17/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera consiglio del

11/11/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Campobasso, adita dal dirigente medico C.E., ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso proposto nei confronti dell’A.S.RE.M. – Azienda Sanitaria Regionale del Molise – e, accertato il diritto dell’appellante a svolgere attività libero professionale di equipe presso l’ospedale (OMISSIS) nel periodo gennaio 2007/dicembre 2010, ha condannato l’azienda al risarcimento del danno, equitativamente liquidato in complessivi Euro 24.000,00;

2. la Corte territoriale ha premesso che il C. era stato autorizzato nel giugno 2006 ad esercitare attività libero professionale in regime di intramoenia sicché non aveva rilievo nella fattispecie la questione inerente la natura della posizione giuridica soggettiva che il dirigente medico vanta rispetto all’autorizzazione, posto che quest’ultima era stata concessa e l’Azienda, che formalmente non l’aveva mai revocata, aveva impedito di fatto l’esercizio dell’attività, disponendone sine die la sospensione, cessata solo dopo il pensionamento del C.;

3. il giudice d’appello ha aggiunto che il datore di lavoro non era stato in grado di giustificare le ragioni della propria condotta, non aveva dato riscontro alle legittime richieste del dirigente medico di riattivazione dell’attività, aveva riservato un diverso trattamento ai dirigenti che operavano in analoghi reparti di altri presidi ospedalieri;

4. quanto al risarcimento la Corte territoriale ha ritenuto che il danno patrimoniale potesse essere quantificato in via equitativa assumendo a parametro di riferimento le somme percepite dal C. nel periodo in cui l’attività era stata resa, ridotte al 30% in ragione della “notoria, progressiva contrazione del ricorso alla effettuazione di analisi di laboratorio presso il servizio sanitario pubblico” e considerando, altresì, il mancato impegno lavorativo;

per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’A.S.RE.M. sulla base di tre motivi, ai quali ha replicato C.E., che ha notificato controricorso con ricorso incidentale affidato ad un’unica censura.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo del ricorso principale, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 414 c.p.c., e della L. n. 241 del 1990, art. 21 quinquies, e addebita alla Corte territoriale di non avere considerato che l’autorizzazione era stata concessa solo in via provvisoria ed era stata poi sospesa in quanto nel primo periodo erano emerse delle criticità, tali da giustificare la sospensione ed anche la diversità di trattamento rispetto ad altri presidi ospedalieri nei quali l’attività intramuraria non aveva in alcun modo pregiudicato quella ordinaria;

1. la ricorrente principale richiama i documenti asseritamente non valutati dal Giudice d’appello al quale addebita, da un lato, di non aver tenuto conto della natura ampiamente discrezionale degli atti che incidono sull’organizzazione dell’ente, dall’altro di avere valorizzato documenti tardivamente prodotti dal C.;

2. la violazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 414 e 419 c.p.c., è denunciata dall’Azienda con la seconda censura del ricorso principale che addebita alla Corte territoriale di avere fondato la pronuncia su “contestazioni e documentazioni processualmente tardive e per l’effetto inammissibili”;

3. infine con il terzo motivo, formulato sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.C.M. 27 marzo 2000, del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 quinquies, del c.c.n.l. 8 giugno 2000, art. 54, per la dirigenza medica e veterinaria, della L. n. 120 del 2007, art. 4, e sostiene che l’esercizio dell’attività professionale intramuraria non deve essere in contrasto con le finalità e le attività istituzionali dell’azienda, sicché va organizzata con modalità tali che salvaguardino qualità e quantità delle prestazioni ordinarie;

3.1. nella fattispecie la revoca dell’autorizzazione provvisoria era stata fondata su ragioni oggettive, esplicitate nel provvedimento di revoca che perseguiva doverosamente l’obiettivo di garantire il necessario equilibrio fra le esigenze sopra indicate;

4. con l’unico motivo di ricorso incidentale, formulato ai sensi dei nn. 3 e 5 c.p.c., è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., nonché “motivazione incoerente sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta”;

4.1. il ricorrente incidentale sostiene che il danno patrimoniale doveva essere liquidato in misura pari ai guadagni realizzati nei mesi in cui l’attività intramuraria era stata espletata e ciò perché, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, nel prosieguo del tempo si sarebbe verificato un incremento, non già una diminuzione, del fatturato realizzato nella fase di avvio dell’attività;

4.2. aggiunge che il giudice d’appello non si è pronunciato sulle altre voci di danno a:.egate nel ricorso introduttivo con il quale era stato domandato il risarcimento del danno alla professionalità e da perdita di chance;

5. è infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa del controricorrente in relazione alla tardiva formazione e produzione della delibera del Direttore Generale di conferimento dell’incarico al difensore e di autorizzazione alla proposizione del gravame;

5.1. questa Corte, nel respingere analoghe eccezioni, ha già affermato che “in assenza di specifiche e contrarie disposizioni, il direttore generale non ha necessità di una preventiva deliberazione autorizzativa per la proposizione di azioni giudiziarie o per la resistenza in giudizio, dovendosi escludere che un organo rappresentativo monocratico debba stare in giudizio con l’autorizzazione di sé stesso ” (Cass. n. 14951/2014 che richiama Cass. n. 7941/2013 e Cass. nn. 8225/2001 e 6343/2004 sul potere di costituzione in giudizio dei commissari straordinari delle aziende sanitarie);

5.2. il controricorrente non prospetta argomenti che possano indurre a rimeditare l’orientamento già espresso, al quale va data continuità perché condiviso dal Collegio;

6. l’inammissibilità del ricorso va, comunque, dichiarata seppure per ragioni diverse da quelle poste a fondamento dell’eccezione;

6.1. i motivi, infatti, sono tutti incentrati sul contenuto di atti processuali e di documenti rispetto ai quali l’Azienda ricorrente non ha assolto all’onere di specifica indicazione imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, perché i documenti in parola non risultano riportati nelle parti essenziali ed inoltre manca qualsiasi indicazione della sede processuale nella quale gli stessi risultano rintracciabili sicché tale mancata “localizzazione” basterebbe da sola a sorreggere la pronuncia di inammissibilità, anche a prescindere dalla completezza o meno della riproduzione (Cass. S.U. n. 20181/2019; Cass. n. 28184/2020);

6.2. nel giudizio di cassazione, a critica vincolata ed essenzialmente basato su atti scritti, essendo ormai solo eventuale la possibilità di illustrazione orale delle difese, i requisiti di completezza e di specificità imposti dal richiamato art. 366 c.p.c., perseguono la finalità, che non è di mero formalismo, di consentire al giudice di legittimità di avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, e, pertanto, qualora la censura si fondi su atti o documenti è necessario che di quegli atti il ricorrente riporti il contenuto, mediante la trascrizione delle parti rilevanti, precisando, inoltre, in quale sede e con quali modalità gli stessi siano stati acquisiti al processo;

6.3. infatti la prescrizione contenuta nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui si può ritenere soddisfatta, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel relativo fascicolo, mediante il deposito di quest’ultimo, ma a condizione che nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato depositato e si indichi la sede in cui il documento è rinvenibile (Cass. n. 27475/2017 e Cass. S.U. n. 34469/2019);

6.4. la recente decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 28 ottobre 2021, Succi ed altri contro Italia, ha escluso che il principio sopra richiamato sia in sé lesivo del diritto di accesso alla giurisdizione superiore ed ha rilevato che la cosiddetta autosufficienza del ricorso, se applicata senza cadere in eccessivo Formalismo, serve a semplificare l’attività dell’organo giurisdizionale nazionale e ad assicurare nello stesso tempo la certezza del diritto nonché la corretta amministrazione della giustizia (punto 75) in quanto, consentendo alla Corte di Cassazione di comprendere il contenuto delle doglianze sulla base della sola lettura del ricorso, garantisce un utilizzo appropriato e più efficace delle risorse disponibili (punti 78, 104 e 105);

7. a detta ragione di inammissibilità, già assorbente, si deve aggiungere che i motivi finiscono tutti per sollecitare una revisione del giudizio di fatto riservato al giudice del merito il quale, all’esito dell’accertamento non censurabile in questa sede, ha dato atto, da un lato, del rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività intramoenia, dall’altro della totale assenza di prova delle ragioni che, secondo l’Azienda, avrebbero giustificato il provvedimento di sospensione (pag. 4 della motivazione);

7.1. le censure con le quali si fa leva sul carattere provvisorio dell’autorizzazione e sulla legittimità della revoca prospettano una ricostruzione dei fatti di causa che diverge da quella offerta dalla Corte territoriale, la quale non fa cenno alla provvisorietà dell’autorizzazione in parola ed esclude anche che la stessa fosse stata revocata (pag. 3 della motivazione);

7.2. nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato l’orientamento secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, ex art. 360 c.p.c., n. 5, nei limiti fissati dalla normativa processuale succedutasi nel tempo. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi e’, dunque, segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. fra le più recenti Cass. n. 26033/2020; Cass. n. 3340/2019; Cass. n. 640/2019; Cass. n. 24155/2017);

7.3. i motivi, pur prospettando vizi di violazione di norme di legge, quella violazione ancorano ad una ricostruzione fattuale che non è quella che si legge nella decisione gravata e ciò fanno inammissibilmente al di fuori dei limiti fissati dall’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile alla fattispecie nel testo risultante all’esito della modifica apportata dal D.L. n. 83 del 2012;

8. dalla ritenuta inammissibilità del ricorso principale discende l’inefficacia ex art. 334, comma 2, del ricorso incidentale;

8.1. va ribadito, infatti, che il ricorso incidentale tardivo, proposto oltre i termini di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, ovvero all’art. 327 c.p.c., comma 1, è inefficace qualora il ricorso principale per cassazione sia inammissibile, senza che in senso contrario rilevi che lo stesso sia stato proposto nel rispetto del termine di quaranta giorni dalla notificazione del ricorso principale di cui all’art. 371 c.p.c., comma 2 (cfr. fra le tante Cass. n. 6077/2015 e Cass. n. 17707/2021);

8.2. la sentenza impugnata, non notificata, risulta pubblicata il 16 giugno 2015 sicché al momento della notifica del ricorso incidentale (25 gennaio 2016) era già spirato il termine semestrale previsto dall’art. 327 c.p.c., come modificato dalla L. n. 69 del 2009 (applicabile alla fattispecie in quanto il giudizio di primo ado è stato instaurato con ricorso del 27 dicembre 2010, notificato il 17 gennaio 2011);

9. le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente principale, perché la soccombenza deve essere riferita solo a quest’ultima, e devono essere distratte in favore dell’Avv. Vincenzo Iacovino che ha reso la prescritta dichiarazione;

9.1. nel dichiarare la perdita di efficacia, la Corte di Cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e, dunque, l’applicazione del principio di causalità con riferimento al decisum porta a ritenere che l’instaurazione del giudizio sia da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale (Cass. n. 15220/2018);

10. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente principale;

10.1. le richiamate condizioni non sono ravvisabili, invece, per le ragioni dette, nei confronti del ricorrente incidentale, non essendo ad esse riconducibile la dichiarata perdita di efficacia (v. Cass. n. 32209/2021).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e inefficace il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’Avv. Vincenzo Iacovino.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 11 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

 

 

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