Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6151 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 24/02/2022, (ud. 03/11/2021, dep. 24/02/2022), n.6151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17711-2019 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AGRI n.

1, presso lo studio degli avvocati PASQUALE NAPPI, MASSIMO NAPPI,

che lo rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

ATAC S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA, N. 22, presso lo

studio legale GERARDO VESCI & PARTNERS, rappresentata e difesa

dall’Avvocato VESCI GERARDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 36/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/12/2018 R.G.N. 3708/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/11/2021 dal Consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Roma con la sentenza n. 36/2018 aveva accolto l’appello di Atac spa avverso la decisione con cui il Tribunale locale aveva in parte accolto la domanda di G.G., diretta al riconoscimento delle mansioni superiori svolte ed al superiore inquadramento nel profilo di “operatore qualificato di ufficio”, con il parametro 140, dal 30.12.1994 e con il parametro 155 dal 30.12.2000, con le relative differenze retributive. La Corte di appello, sulla base delle risultanze testimoniali, aveva escluso la rapportabilità delle mansioni svolte dal G. agli inquadramenti superiori richiesti ed aveva rigettato l’originaria domanda.

G.G. proponeva ricorso affidato a due motivi cui resisteva Atac spa. Le parti depositavano successiva memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., essendo, la Corte di merito, pervenuta alla esclusione del riconoscimento delle mansioni superiori, in base ad un procedimento errato in cui non si era tenuto conto delle mansioni svolte in concreto dal lavoratore.

Il motivo è infondato. La corte territoriale ha sviluppato il proprio esame partendo dalle declaratorie delle qualifiche successivamente confrontandole con gli elementi probatori acquisiti sulle mansioni in concreto svolte.

Questa Corte (Cass. n. 18943/2016) ha avuto occasione di chiarire che “Nel giudizio relativo all’attribuzione di una qualifica superiore, l’osservanza del cd. criterio “trifasico”, da cui non si può prescindere nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore, non richiede che il giudice si attenga pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, ove risulti che ciascuno dei momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione abbia trovato concreto ingresso nel ragionamento decisorio, concorrendo a stabilirne le conclusioni”.

Il giudice di appello ha correttamente dato applicazione del c.d. “criterio trifasico” enunciato allorché ha valutato le concrete mansioni svolte e ne ha accertato la riferibilità alle qualifiche contenute nelle declaratorie contrattuali.

2) Con il secondo motivo è denunciato l’omesso esame di fatti decisivi ed in particolare l’omesso integrale esame delle dichiarazioni dei testi M. e P.. Il motivo è inammissibile perché quanto lamentato non integra il vizio denunciato. Invero questa Corte ha avuto modo di chiarire che “In tema di ricorso per cassazione costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa (Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 17761/2016).

Ha anche specificato che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia” (Cass. n. 23238/2017)

La decisività del “fatto” omesso assume nel vizio considerato dalla disposizione richiamata rilevanza assoluta poiché determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione (non solo eventuale ma certa).

Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio. Tali circostanze non sono presenti nella censura posta.

La stessa, peraltro, è anche inammissibile per altro profilo poiché è lamentata la “parziale lettura” delle testimonianze, in assenza di un obbligo per il giudice di dar conto di ogni singola affermazione dei testi. Il compito affidato al giudice ha ad oggetto la complessiva valutazione delle risultanze istruttorie, il cui limite interpretativo è dato dalla necessaria esplicitazione delle ragioni del convincimento.

A riguardo è stato in più occasioni chiarito che “l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass. n. 16056/2016). Per le esposte ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono il principio della soccombenza.

Deve darsi atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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