Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 615 del 15/01/2020

Cassazione civile sez. I, 15/01/2020, (ud. 25/10/2019, dep. 15/01/2020), n.615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25229/2018 proposto da:

M.M., domiciliato in Roma, viale Angelico n. 38, presso lo

studio dell’avv. Roberto Maiorana, che lo rappresenta e difende

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 490 del 2018 del Tribunale di Perugia;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25.10.2019 dal Consigliere Dott.ssa PAOLA GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Perugia rigettava la domanda proposta da M.M., cittadino del Gambia, volta ad ottenere in via principale il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.; in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il Tribunale riteneva che la vicenda narrata dal richiedente, che aveva riferito di minacce e soprusi provenienti da un familiare nel contesto di una lite familiare per la proprietà di un immobile adibito ad abitazione delle famiglie di due fratelli, non fosse riconducibile alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Inoltre riteneva che l’attuale situazione del Gambia, anche dopo le elezioni politiche del dicembre 2016 che hanno portato all’instaurazione del governo di A.B., non risultasse compromessa a tal punto da configurare una condizione di violenza indiscriminata e massiva, neppure sulla base delle stesse allegazioni proposte in ricorso. Sussisteva, è vero, una situazione di difficile transizione non ancora sotto il controllo delle nuove autorità, ma non venivano segnalati nel rapporto EASO nè in altre fonti internazionali episodi di conflitto armato. Neppure sussistevano i presupposti della protezione umanitaria, alla luce della non identificabilità dell’area di provenienza del richiedente come zona esposta a situazione di conflitto generalizzato o di calamità naturali (evenienze neppure adombrate nel ricorso) e della non ravvisabilità di speciali e particolari condizioni soggettive di vulnerabilità.

3. Per la cassazione del decreto M.M. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, cui il Ministero dell’Interno non ha opposto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Come primo motivo il richiedente deduce l’omesso od errato esame delle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente. Sostiene che il suo racconto, quale emerge dal documento amministrativo che ha lo raccolto, fosse ben preciso e circostanziato.

5. Il motivo è inammissibile in quanto non è coerente con la ratio decidendi adottata dal Tribunale, che non ha ritenuto il racconto inattendibile, ma la vicenda non sussumibile nelle ipotesi legali di protezione.

6. Come secondo motivo deduce la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente avrebbe diritto in ragione delle attuali condizioni socio politiche del paese di origine, e dunque la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Richiama notizie desunte dal sito del Ministero dell’Interno pubblicato il 5/4/2018 che riferiscono del pericolo di aggressioni nella capitale e nelle vicinanze delle strutture turistiche situate lungo la costa atlantica e del rischio terrorismo presente nel Gambia.

7. Anche tale motivo è inammissibile.

In merito alla protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione generalizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass., 28/06/2018, n. 17075; Cass., 12/11/2018, n. 28990). Al fine di ritenere adempiuto tale onere, inoltre, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. 26/04/2019, n. 11312).

8. Nel caso, il Tribunale ha puntualmente valutato la situazione del paese di origine del richiedente, giungendo ad escludere la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) del all’esito di un’articolata valutazione desunta da siti internazionali aggiornati e accreditati. Il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito ed in tal senso risulta inammissibile, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

9. Come terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 non potendo essere rifiutato permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese di origine o che ivi possa correre gravi rischi.

10. Il motivo non è fondato.

Questa Corte ha chiarito (v. Cass.23/02/2018, n. 4455 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019), che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

11. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nei caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale.

12. Il Tribunale perugino ha fatto corretta applicazione dei principi esposti, considerato che a fronte della situazione riferita al paese di origine, già ritenuta inidonea a configurare una compressione dei diritti umani, neppure risulta fossero state allegate le circostanze fattuali per compiere il dovuto giudizio di comparazione in ordine alla situazione di integrazione del richiedente nel nostro paese, che neppure vengono prospettate in questa sede.

13. Come quarto motivo il ricorrente deduce la violazione del principio di non refoulement posto dalla convenzione di Ginevra all’art. 33 e dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 a protezione dello straniero.

14. La censura è inammissibile in quanto è del tutto astratta, risolvendosi in una elencazione di norme internazionali, unionali ed interne, senza riferimento al caso in esame.

15. Segue coerente il rigetto del ricorso.

16. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo svolto il Ministero attività difensiva.

17. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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