Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6147 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/03/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 05/03/2020), n.6147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20522-2018 proposto da:

COMUNE DI ROCCA DI CAMBIO (AQ), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE n. 3, presso

lo studio dell’avvocato ROBERTO CEFALONI, rappresentato e difeso

dall’avvocato MAURIZIO CAPRI;

– ricorrente –

contro

CAMPO FELICE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo

studio dell’avvocato LUCA PARDO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIANLUCA FERA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 75/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 16/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO

VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato ad un unico motivo, il Comune di Rocca di Cambio ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila, resa pubblica in data 16 gennaio 2018, che ne rigettava il gravame avverso la decisione del Tribunale di L’Aquila, il quale, a sua volta, aveva revocato il decreto ingiuntivo n. 295/2014 per Euro 207.640,61, emesso in favore dello stesso Comune e condannato l’ingiunta Campo Felice S.p.A. al pagamento di Euro 30.180,64, oltre accessori, nonchè condannato il Comune di Rocca di Cambio al pagamento in favore della suddetta società (attrice in riconvenzionale) della somma di Euro 33.275,75, oltre accessori, con compensazione tra le parti delle spese di lite;

che la Corte d’appello di L’Aquila, nel rigettare il gravame, specificatamente osservava (per quanto ancora interessa in questa sede) che, quanto alla somma di Euro 23.560,00 riconosciuta alla Campo Felice S.p.A. a titolo di rimborso degli oneri per i permessi retribuiti al dipendente D.S.G. per l’espletamento del mandato come Sindaco, la doglianza del Comune appellante, concernente il “difetto di invio da parte appellata, datrice di lavoro del D.S., di documentata richiesta ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 80”, era infondata, in quanto era stata raggiunta la “prova dell’an e del quantum spettante alla Campo felice per il titolo dedotto, stante la produzione – oltre che di analitico conteggio – anche del contratto di lavoro e del prospetto delle presenze, il tutto in difetto di specifiche contestazioni” da parte dello stesso Comune;

che resiste con controricorso la Campo Felice s.r.l. (già Campo Felice S.p.A.);

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a) con il primo ed unico mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 79, comma 6, e art. 80, per aver erroneamente la Corte territoriale ritenuto provato il credito spettante alla Campo Felice S.r.l. in ordine al rimborso per permessi retribuiti pur nell’assenza dell’attestazione del Comune di Rocca di Cambio, prevista dal citato art. 79, comma 6, e, dunque, nell’impossibilità per l’Ente di verificare l’esattezza della richiesta;

a.1.) il motivo è inammissibile.

E’ principio consolidato quello per cui il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicchè sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (Cass. n. 15196/2018). Ne consegue, altresì, che, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (tra le molte, Cass. n. 15430/2018, Cass. n. 20694/2018, Cass. n. 2038/2019).

Nella specie, la sentenza impugnata dà contezza che il motivo di appello del Comune verteva solo sulla asserita erronea applicazione, da parte del primo giudice, del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 80, in difetto di prova dell’invio di idonea documentazione da parte del datore di lavoro del D.S., rivestente la carica di Sindaco dello stesso Comune di Rocca di Cambio (cfr. sintesi di cui al “Ritenuto che”); negli stessi termini è, del resto, il tenore del relativo motivo di gravame proposto dal Comune e riportato in ricorso alle pp. 6 e 7.

Risulta, dunque, essere questione affatto nuova quella della mancata applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 79, comma 6, la quale (prima ancora di accertarne l’effettiva pertinenza) richiede l’accertamento in fatto (non compiuto dal giudice di merito) sulla presenza di attestazione dell’ente circa l’attività ed i tempi di espletamento del mandato per i quali i lavoratori chiedono e ottengono permessi, retribuiti e non retribuiti.

Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e il Comune ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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