Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6146 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. II, 24/02/2022, (ud. 19/01/2022, dep. 24/02/2022), n.6146

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6260/2017 proposto da:

D.T.D., D.T.S., G. FIDUCIARIA SRL SOCIETA’

DI AMMINISTRAZIONE FIDUCIARIA E TRUST, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA EMILIO DE’ CAVALIERI N. 11, presso lo studio dell’avvocato

ALFREDO MORRONE, che li rappresenta e difende unitamente agli

avvocati GIORGIO LENER, LUCA PONTI, SAVERIO BARTOLI, ANNAPAOLA

TONELLI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 67,

presso lo studio dell’avvocato CHIARA TAGLIAFERRO, rappresentata e

difesa dall’avvocato MAURIZIO CONSOLI, in virtù di procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

CO.FI.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 509/2016 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 29/07/2016;

Lette le memorie delle parti;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/01/2022 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. C.I. con due distinti atti di citazione, successivamente oggetto di riunione, conveniva dinanzi al Tribunale di Udine D.T.D., D.T.S. e Co.Fi., nonché la G. Fiduciaria S.r.l., nella qualità di trustee, affinché, previo accertamento della decadenza dei germani D.T. dall’accettazione con beneficio di inventario, fosse accertato il credito dalla stessa vantato nei confronti del defunto genitore e marito dei convenuti, D.T.R., credito derivante dalla estinzione di un mutuo cointestato alla attrice ed al de cuius, contratto con la Banca di Cividale, con la conseguente invalidità dei trust (OMISSIS) e (OMISSIS).

Deduceva che in data (OMISSIS) era deceduto ab intestato D.T.R. il quale, dal matrimonio con la Co. aveva avuto i figli D. e S., avendo peraltro generato una figlia, D.T.F.T., a seguito della relazione avuta con l’attrice.

Accettata l’eredità con beneficio di inventario, D.T.D. e S. avevano istituito i due indicati trust, nominando quale trustee la società convenuta, trust nei quali avevano conferito i loro beni immobili.

Un precedente giudizio intentato dall’attrice per la condanna al pagamento di un suo preteso credito di oltre 12 milioni di Euro, si era concluso con il rigetto della domanda.

Nella resistenza dei convenuti, che insistevano per il rigetto della domanda, il Tribunale di Udine, con la sentenza n. 381 del 10 marzo 2015, accoglieva parzialmente la domanda dell’attrice, dichiarando i convenuti D.T. decaduti dall’accettazione con beneficio di inventario, con la condanna al pagamento della somma di Euro 49.477,45, dichiarando altresì la nullità dei due trust istituiti dai convenuti, nonché degli atti di trasferimento immobiliare in loro favore.

La Corte d’Appello di Trieste, con la sentenza n. 509 del 29 luglio 2016, ha rigettato l’appello dei convenuti.

Quanto ai primi motivi di appello, che attenevano all’accoglimento della richiesta di decadenza dal detto beneficio, la sentenza osservava che era incensurabile l’affermazione del Tribunale che aveva ricondotto tale conseguenza alla rinuncia “alla rifusione delle spese legali per il caso di soccombenza dell’avv. Fabrizio Panella”.

In particolare, tale professionista aveva intrapreso quando era ancora in vita il de cuius un giudizio per il riconoscimento delle proprie competenze professionali, riassunto nei confronti dei coeredi, a seguito del decesso del convenuto.

I fratelli D.T. avevano tuttavia transatto la controversia, versando l’importo riconosciuto in favore dell’avv. Panella, inferiore rispetto a quanto richiesto, con denaro proprio, ma con la rinuncia altresì alle spese legali che sarebbero state attribuite al loro dante causa per l’ipotesi di rigetto della domanda del Panella.

La Corte distrettuale, una volta esclusa la violazione dell’art. 101 c.p.c., in quanto la rilevanza di tale rinuncia trovava la sua fonte nelle istanze istruttorie della attrice, che aveva fatto riferimento ad ipotetiche rinunce a domande riconvenzionali spiegate dal de cuius nel diverso giudizio promosso dal Panella, riteneva che vi fosse stata una transazione non autorizzata su di un bene ereditario, con le conseguenze di cui all’art. 493 c.c.. Infatti, anche il credito al rimborso delle spese legali costituiva un vero e proprio credito, senza che rilevi un eventuale controcredito spettante al professionista che abbia assistito gli eredi beneficiati nel processo pendente, né poteva sostenersi che fosse un credito spettante al difensore e non alle parti, in quanto solo con la richiesta di distrazione la legittimazione compete al solo difensore.

Per l’effetto, la rinuncia a tale posta creditoria implicava, per l’assenza di preventiva autorizzazione, la decadenza dei convenuti.

Alla luce di tale conclusione, si imponeva la disamina degli altri motivi di appello che invece investivano la declaratoria di non riconoscibilità dei trust.

Rigettata la censura che concerneva anche su tale punto la violazione dell’art. 101 c.p.c., avendo sin all’atto introduttivo la C. invocato tale effetto, sulla scorta delle previsioni della Convenzione de L’Aja del 1 luglio 1985, la sentenza d’appello riteneva che, in assenza di una normativa nazionale di disciplina del trust, la Convezione citata, ratificata con la L. n. 364 del 1989, non permette di riconoscere la validità dei trust privi di carattere transnazionale, come si ricava dal dettato dell’art. 13 della medesima Legge.

Manca una norma nazionale che consenta di dare piena legittimità ai cc.dd. trust interni, nei quali cioè, al di fuori della scelta della legge, manchi un profilo internazionale.

Risultava quindi condivisibile il ragionamento del Tribunale che aveva sottolineato come da tali premesse, dovesse trarsi la conseguenza dell’invalidità degli atti di trasferimento dei beni immobili al trust interno.

Infatti, l’atto di trasferimento ha una sua autonomia rispetto all’atto istitutivo del trust, ed è disciplinato, in assenza dell’indicazione di elementi di estraneità, dalla legge nazionale. In base alla legge italiana non è però dato stabilire quale sia la giustificazione causale di tali atti, che si presentano come dichiarazioni unilaterali volte a produrre effetti traslativi.

Si tratta di negozi a causa esterna, ove quest’ultima è da individuare nello scopo del trust o nella finalità di gestione-amministrazione cui è tenuto il trustee, sicché deve reputarsi che in assenza di una causa valida, sia un atto astratto, che non ha paternità nel nostro ordinamento.

Infatti, una volta esclusa la validità degli atti di trasferimento dei beni al trust, è esclusa anche la costituzione di un valido trust, e ciò alla luce della prevalenza delle norme imperative nazionali, che non possono trovare ostacolo nelle previsioni della Convenzione de L’Aja (L. n. 364 del 1989, art. 15). Ne’ può reputarsi ammissibile una deroga alla previsione di cui all’art. 2740 c.c., in quanto l’istituzione del trust favorirebbe la sottrazione di determinati beni al regime della responsabilità patrimoniale generica del debitore. Infine, la figura del trust domestico contrasta con il principio del numerus clausus dei diritti reali, non potendosi dare vita ad un patrimonio destinato, separato dal patrimonio personale del trustee, con una deroga non prevista per legge alla disposizione di cui all’art. 2740 c.c..

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso D.T.D., D.T.S. e la G. Fiduciaria S.r.l. sulla base di quattro motivi, illustrati da memorie.

C.I. ha resistito con controricorso, illustrato da memorie.

Co.Fi. non ha svolto difese in questa fase.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c. comma 2, in quanto la sentenza di primo grado, come già denunciato in appello, aveva dichiarato i germani D.T. decaduti dal beneficio di inventario sulla base di una questione rilevata d’ufficio, in quanto non sarebbe stata specificamente addotta quale causa determinante di tale effetto l’avvenuta rinuncia al credito da rimborso delle spese legali, eventualmente maturato per l’ipotesi di soccombenza dell’avv. Panella nella causa transatta.

Si deduce che l’attrice aveva invece sostenuto che con la transazione vi fosse stata anche la rinuncia all’eventuale domanda riconvenzionale avanzata dal de cuius nei confronti della propria controparte, domanda la cui esistenza non risultava essere stata comprovata dall’istruttoria svolta.

Ne deriva che il Tribunale ha, quindi, riscontrato una causa di decadenza sulla base di una questione rilevata d’ufficio, e senza la preventiva sollecitazione del contraddittorio, come imposto dalla norma di cui in rubrica.

Il motivo è infondato.

Ritiene la Corte che la propria giurisprudenza ha anche di recente ribadito che l’omessa indicazione alle parti di una questione di fatto oppure mista di fatto e di diritto, rilevata d’ufficio, sulla quale si fondi la decisione, priva le parti del potere di allegazione e di prova sulla questione decisiva e, pertanto, comporta la nullità della sentenza (cd. della terza via o a sorpresa) per violazione del diritto di difesa, tutte le volte in cui la parte che se ne dolga prospetti, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto fare valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato (cfr. Cass. n. 11440/2021). Tuttavia, avuto riguardo al tenore delle difese delle parti, quali riportate nello stesso ricorso, deve ritenersi escluso che il rilievo della decadenza nel caso di specie sia frutto di una questione rilevata d’ufficio dal giudice e che quindi necessitasse della previa sottoposizione al contraddittorio delle parti.

Infatti, l’attrice, nell’invocare la decadenza dei convenuti, aveva fatto esplicito riferimento al contenuto della transazione, individuando nella stessa l’esistenza di una disposizione di beni ereditari da parte dei convenuti, anche in relazione alle conseguenze scaturenti dal processo intentato dall’avv. Panella, alla cui definizione in via stragiudiziale la transazione mirava.

Il riferimento ad atti abdicativi di pretese del de cuius comunque correlate alla lite pendente, sia pur in via principale riferito ad eventuali domande riconvenzionali ivi spiegate, induce a ritenere che la domanda intendesse evidenziare ogni rinuncia ad effetti favorevoli al de cuius, occasionati dal processo de quo, con la conseguenza che la valorizzazione da parte del Tribunale del profilo concernente la pretesa rinuncia al rimborso delle spese legali, per l’ipotesi di rigetto della domanda del Panella, investa un tema che è comunque sollecitato dal contenuto della domanda originaria, in quanto desunto dallo stesso contenuto della transazione sottoposto all’esame del Tribunale.

Ne deriva che non ricorre la dedotta violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2.

3. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 493 c.c., quanto alla declaratoria di decadenza dei fratelli D.T. dall’accettazione beneficiata dell’eredità paterna.

Si rileva che la norma risponde all’esigenza di conservazione della garanzia patrimoniale dei creditori e dei legatari del de cuius, il che porta ad escludere che nell’attivo ereditario possano farsi rientrare anche crediti che si giustifichino, sia pure tramite un’origine mediata dai rapporti in cui fu parte il de cuius, in condotte poste in essere dopo l’apertura della successione.

Tra tali crediti, da escludere dal novero di quelli ereditari, si inserisce anche quello per il rimborso delle spese legali, per l’ipotesi in cui sia rigettata la domanda avanzata nei suoi confronti quando era ancora in vita, in quanto siffatto credito si ricollega direttamente all’attività degli eredi che si determinino per la prosecuzione del giudizio.

Inoltre, deve ritenersi che la transazione non abbia avuto ad oggetto un bene ereditario, come invece inteso dai giudici di merito.

Infatti, i ricorrenti hanno assunto in proprio l’obbligo del pagamento delle somme riconosciute all’avv. Panella a titolo transattivo, ribadendo che era chiaro intento quello di impegnare la loro diversa qualità di eredi beneficiati.

L’accordo intervenuto ha, quindi, liberato la massa ereditaria di una potenziale passività di importo ben maggiore rispetto a quanto attribuito in via transattiva, essendo quindi consequenziale affermare che la transazione abbia altresì privato di una sua autonoma ragione d’essere il credito da rimborso delle spese legali, atteso che tale credito è assorbito dall’accordo transattivo.

La pattuizione in merito alle spese legali risulta quindi intrinsecamente correlata all’accordo transattivo, ed è stata inserita in contratto al solo fine di impedire l’operatività della solidarietà prevista dalla legge professionale.

Si tratta comunque di una previsione di carattere accessorio per la quale deve evidenziarsi come abbia carattere di ordinaria amministrazione. In tal senso rileva il fatto che gli atti, pur rientranti nell’elencazione di cui all’art. 493 c.c., in tanto richiedano un’autorizzazione giudiziale, in quanto eccedano l’ordinaria amministrazione.

Infine, si rileva che ad impedire l’applicazione dell’art. 493 c.c., è in ogni caso l’assenza di colpa in capo agli eredi, posto che la mancata richiesta di autorizzazione è ascrivibile ai ricorrenti a titolo di negligenza men che ordinaria, in considerazione della evidente convenienza della transazione conclusa per gli interessi dei creditori e dei legatari.

Il motivo è fondato.

Quanto all’applicazione dell’art. 493 c.c., occorre ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 24171/2013), in caso di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, l’art. 493 c.c., non consente all’erede beneficiato di disporre liberamente dei beni dell’asse, ma rimette al giudice la valutazione della convenienza di qualsiasi atto di alienazione o di straordinaria amministrazione, incidente sul patrimonio ereditario e non finalizzato alla sua conservazione e liquidazione, stante l’obbligo di amministrazione dei beni nell’interesse dei creditori e dei legatari (nella specie la Corte ha ritenuto che non rientrassero nell’ambito degli atti necessitanti dell’apposita autorizzazione giudiziaria la demolizione di un’autovettura di nessun valore commerciale caduta in successione, come l’appropriazione del vestiario del “de cuius” di valore minimale).

Da tale massima è dato ricavare il principio secondo cui anche atti dismissivi del patrimonio relitto vanno apprezzati in relazione alla effettiva rilevanza del bene dismesso ed all’idoneità dell’atto a pregiudicare le ragioni creditorie.

In tal senso tale conclusione trova il conforto della dottrina più attenta che ha sottolineato che non basta la sola denominazione formale dell’atto posto in essere dall’erede per sottoporlo alla necessità dell’autorizzazione ma è necessario indagare se lo stesso si ponga comunque come atto di straordinaria amministrazione, sicché anche un atto denominato come transazione può sfuggire al dettato dell’art. 493, se si configuri alla stregua di un atto di ordinaria amministrazione, così che resta soggetto ad autorizzazione se sussiste il pericolo di diminuzione della garanzia patrimoniale. Alla luce di tali considerazioni appare evidente come l’accordo intervenuto tra i ricorrenti e l’avv. Panella si palesi in partenza come inidoneo a pregiudicare gli interessi dell’eredità. Infatti, con la stessa, a fronte di credito vantato nei confronti dell’eredità, credito che avrebbe potuto essere soddisfatto per l’intero dagli eredi, in assenza di una procedura di liquidazione nell’ambito dell’eredità beneficiata, e senza che tale adempimento potesse essere invocato come causa di decadenza dal beneficio, questi ultimi hanno raggiunto un accordo volto ad ottenere una congrua riduzione delle pretese creditorie, offrendosi altresì di far fronte al minor credito riconosciuto con denaro proprio, impedendo quindi in tal modo un pregiudizio al patrimonio ereditario.

Una volta quindi riscontrata, per il suo contenuto oggettivo, la non idoneità della transazione a pregiudicare le ragioni dell’eredità, non avendo con la stessa gli eredi disposto di un bene ereditario, come appunto richiede l’art. 493 c.c., l’intimo legame che sussiste tra l’accordo in merito alla riduzione del debito ereditario e la sorte delle spese di lite nel giudizio già pendente, impone quindi di affermare che anche l’accordo raggiunto su queste ultime non possa determinare la decadenza dei ricorrenti dal beneficio di inventario.

Anche a voler soprassedere sul carattere stereotipato della formula contenuta nella transazione secondo cui le parti dichiaravano “…di non avere più nulla a pretendere, reciprocamente in relazione alle controversie, pretese, contestazioni, diritti e/o aspettative di qualsivoglia genere e sorte…”, clausola che si limita a riassumere l’effetto della transazione con un formula di stile, che non permette di ravvisare con inequivocità anche una rinuncia alle spese che sarebbero spettate al dante causa degli attori per l’ipotesi di soccombenza dell’avv. Panella in relazione alla controversia insorta), rileva la circostanza che il credito che si assume indebitamente rinunciato o transatto da parte dei coeredi, se già avente un carattere del tutto eventuale prima della transazione, in quanto correlato al riscontro dell’effettiva infondatezza della domanda del Panella, perde ancor più tale connotato di eventualità, sino a venir meno, nel momento in cui sulla pretesa del Panella interviene una transazione, alle cui obbligazione hanno fatto fronte i coeredi con proprio denaro personale.

In tal senso rileva anche la specifica previsione contenuta nella transazione all’art. 3.4, con la quale le parti si accordavano anche per la compensazione delle spese del giudizio pendente, ponendosi quindi la regolamentazione delle spese in evidente connessione con la regolamentazione complessiva della transazione, il cui contenuto, come detto, non si palesa pregiudizievole per gli interessi dell’eredità.

Ancorché appaia erroneo il riferimento nel motivo al fatto che le spese sopportate nel giudizio intentato dal Panella siano spese che gravano direttamente sugli eredi beneficiati, e ciò alla luce del disposto di cui all’art. 94 c.p.c., che nel prevedere che gli eredi beneficiati possono essere fatti carico delle spese di lite per singoli atti o per l’intero processo, per motivi gravi che vanno esplicitati dal giudice, sottendo in negativo che altrimenti le spese gravino sull’eredità e non sugli eredi beneficiati, va però evidenziato che la definizione stragiudiziale della lite, che come detto, implica un riconoscimento di un credito in favore del Panella, sebbene di importo notevolmente inferiore a quello preteso in giudizio, e con il suo soddisfacimento con denaro non ereditario (il che si traduce in un evidente vantaggio per i creditori ereditari), risulta idonea a determinare il venir meno anche del credito asseritamente rinunciato, non potendosi scindere la valutazione della sorte delle spese di lite dal giudizio relativo al vantaggio per l’eredità dell’accordo transattivo.

Infatti, a fronte del conseguito vantaggio per l’eredità, provocato dal venir meno di una pretesa creditoria di rilevante entità, per effetto dell’impegno personale dei coeredi, anche a voler per ipotesi ravvisare la permanenza del credito eventuale al rimborso delle spese legali, tuttavia essendo la rinuncia a tale credito elemento funzionale alla conclusione della transazione, ben potrebbe apprezzarsene la natura di atto di ordinaria amministrazione, in un’ottica di bilanciamento tra vantaggi e svantaggi, natura che escluderebbe quindi la necessità della previa autorizzazione giudiziale.

La possibilità di qualificare come credito ereditario quello al rimborso delle spese di lite, in sostanza, presuppone una doppia verifica, e precisamente una prima correlata alla valutazione di astratta infondatezza ab origine dell’avversa pretesa, ed una seconda invece legata alla progressione degli eventi, ed all’incidenza, anche in vista della ipotetica condanna alle spese, dell’intervento della transazione che in ragione della definizione convenzionale dei rapporti, ma senza impegnare l’eredità, rendeva impossibile una condanna alle spese in favore dell’eredità nel giudizio intentato nei confronti del de cuius.

Si rivela pertanto erronea la decisione del giudice di appello e la sentenza deve quindi essere cassata, con rinvio per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione che si atterrà al seguente principio di diritto: in caso di transazione intervenuta tra un creditore dell’eredità e gli eredi che abbiano accettato con beneficio di inventario, ove la transazione abbia previsto il riconoscimento del debito ereditario, in misura inferiore a quella richiesta in via giudiziale, con l’impegno assunto dagli eredi di far fronte all’obbligazione con denaro proprio, deve escludersi che la transazione debba essere previamente autorizzata dal giudice ex art. 493 c.c., senza che rilevi in senso contrario, ed in presenza di accordo tra le parti circa la compensazione delle spese del giudizio transatto, l’ipotetica rinuncia al credito per le spese di lite che sarebbero spettate al de cuius nel giudizio oggetto di transazione, trattandosi di ragione creditoria del tutto ipotetica (essendo correlata alla valutazione di fondatezza della difesa del de cuius) e venuta meno proprio in ragione della transazione, il cui assetto regolamentare è destinato a sostituirsi a quello dedotto nella causa transatta.

4. Il terzo motivo di ricorso denuncia nuovamente la violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, quanto all’accertamento dell’invalidità della costituzione dei trust e degli atti di trasferimento immobiliare.

Si assume che la controparte non aveva mai ricondotto l’invalidità alla questione dell’inammissibilità dei trust interni, come invece ritenuto dai giudici di merito, sicché sulla questione sarebbe stato necessario instaurare il preventivo contraddittorio, a pena di nullità della sentenza.

Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 34 del 1989, con particolare riferimento agli artt. 2, 4, 13 e 15, in relazione anche all’art. 2645 ter c.c..

Si evidenzia che tale ultima norma, alla luce della nozione aspecifica di trust fatta propria dalla Convenzione all’art. 2, consente di are rilevanza, quali istituti idonei in parte ad anticipare gli effetti del trust convenzionale, a numerosi istituti già presenti nell’ordinamento nazionale, quali l’art. 1707 c.c., il fondo patrimoniale, l’art. 2117 c.c., della L. n. 130 del 1999, art. 3 e da ultimo in vincolo di destinazione di cui all’art. 2645 ter c.c..

L’atto di destinazione presenta notevoli tratti comuni con il trust di diritto anglosassone, il che permette di affermare che offra anche copertura normativa al trust interno, il cui unico limite è che con lo stesso si miri a realizzare interessi leciti, in quanto non vietati da norme imperative di diritto nazionale.

A conferma di tale evoluzione si richiama la ormai generalizzata ammissione del contratto di affidamento fiduciario che ha trovato copertura normativa nella L. n. 112 del 2016.

La sentenza impugnata ha del tutto omesso di prendere in esame tali considerazioni ed ha deciso in contrasto con la prevalente giurisprudenza di merito e con alcuni precedenti di legittimità che hanno di fatto ammesso la figura del trust interno.

Una volta attribuita cittadinanza a quest’ultimo ne deriva che risulta prova di fondamento anche la tesi sostenuta per addivenire alla nullità degli atti di trasferimento immobiliare, in quanto muniti di una valida causa giustificativa.

I motivi sono assorbiti per effetto dell’accoglimento del secondo motivo di ricorso, posto che una volta cassata la sentenza quanto alla declaratoria di decadenza dall’accettazione con beneficio di inventario, resta integra la separazione patrimoniale, e quindi l’attrice risulta carente di interesse a sentire accertata la nullità dei trust e dei relativi atti di trasferimento dei beni ad essi destinati, trattandosi di beni non suscettibili di aggressione per un credito invece vantato nei confronti dell’eredità.

5. Al giudice del rinvio, come sopra designato compete anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo nei limiti di cui in motivazione, rigetta il primo motivo, dichiara assorbiti gli altri motivi, e per l’effetto cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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