Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6143 del 09/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 09/03/2017, (ud. 25/01/2017, dep.09/03/2017),  n. 6143

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1181/2015 proposto da:

M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI RIPETTA

121, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO COMITO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIA LEONARDO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI,

EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2201/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 30/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 25/01/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. La Corte d’ appello di Reggio Calabria ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede ed condannato l’Inps al pagamento in favore di M.P. dell’assegno ordinario di invalidità a decorrere dal mese di ottobre del 2012 avendo verificato, per quanto qui ancora interessa ed in esito ad una nuova consulenza medico legale, che l’invalido aveva la propria capacità lavorativa ridotta nella misura necessaria per il conseguimento della prestazione previdenziale azionata solo a decorrere da tale data (anzichè dal 1.6.2007 come ritenuto dal Tribunale).

2. Per la cassazione della sentenza ricorre M.P. denunciando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle conclusioni del consulente nominato in primo grado – che aveva riconosciuto la sussistenza delle condizioni sanitarie per il riconoscimento del diritto alla prestazione dal 2007 – e del fatto che gli stessi medici dell’Inps, per i tre anni successivi, avevano confermato l’incidenza invalidante nella misura di oltre il 74% delle patologie accertate.

3. L’Inps si è difeso con controricorso, eccependo l’inammissibilità e improcedibilità dello stesso e, comunque, la sua infondatezza.

4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. La censura formulata nel ricorso è priva della necessaria specificità. Non si riporta infatti il contenuto della consulenza di primo grado e delle valutazioni espresse in sede amministrativa (di conferma della prestazione) dagli stessi medici dell’Inps che si assumono non essere stati presi in considerazione dalla Corte d’ appello nel recepire le conclusioni del consulente di secondo grado, nè tali atti vengono allegati al ricorso, nè se ne indica la collocazione in atti.

2. Risultano così violate le prescrizioni desumibili dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (nel testo che risulta a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 40 del 2006, operante tallone temporis), nell’interpretazione che ne ha in più occasioni ribadito questa Corte, secondo la quale qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, per rispettare il principio di specificità dei motivi del ricorso – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – ha l’onere di indicare nel ricorso medesimo il contenuto rilevante del documento stesso, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali: ciò allo scopo di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato, senza compiere generali verifiche degli atti (v. Cass. n. 17168 del 2012, Cass. ord., n. 1391 del 2014, Cass. n. 3224 del 2014).

2. Segue l’inammissibilità del ricorso.

3. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, non riferendosi nel ricorso per cassazione di avere assolto nel corso del giudizio di merito, nè ivi assolvendosi, l’onere autocertificativo previsto per l’esonero dall’art. 152 disp. att. c.p.c..

4. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2017

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