Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 614 del 15/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 15/01/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 15/01/2020), n.614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3205/2015 R.G., proposto da:

il “CONSORZIO URBANIA VIVERE LA CITTA'”, in liquidazione, con sede in

Torre del Greco (NA), in persona del liquidatore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avv. Federico Liccardo, con studio in

Napoli, elettivamente domiciliato presso l’Avv. Massimo Frontoni,

con studio in Roma, giusta procura in margine al ricorso

introduttivo del presente procedimento;

RICORRENTE

CONTRO

la “PUBLISERVIZI S.r.l.”, con sede in Roma, in persona del presidente

del consiglio di amministrazione pro tempore, nella qualità di

concessionaria del servizio comunale e affissione pubblicità TOSAP

del Comune di Aversa (CE), rappresentata e difesa dall’Avv. Paolo

Centore, con studio in Caserta, elettivamente domiciliata in Roma

presso lo studio legale Caravella, giusta procura in margine al

controricorso di costituzione nel presente procedimento;

CONTRORICORRENTE

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

di Napoli il 5 giugno 2014 n. 5589/34/2014, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 4 dicembre 2019 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza depositata il 5 giugno 2014 n. 5589/34/2014, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale di Napoli respingeva l’appello proposto dal “CONSORZIO URBANIA VIVERE LA CITTA”‘ (allora, in bonis) avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta il 13 marzo 2013 n. 145/13/2013, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.

2. Avverso la sentenza di appello, il “CONSORZIO URBANIA VIVERE LA CITTA’, in liquidazione, proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 19 gennaio 2015 ed affidato a due motivi; la “PUBLISERVIZI S.r.l.”, nella qualità predetta, si costituiva con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Nonostante il testuale ed unitario riferimento (nell’intitolazione) ad una “omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto decisivo per il giudizio”, il primo motivo è stato prospettato dal ricorrente, a ben vedere, sotto profili distinti ed autonomi (per un verso, il contrasto tra motivazione e dispositivo, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, e art. 156 c.p.c., e, per un altro verso, l’erronea qualificazione di inammissibilità dell’appello, in relazione al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1), delineandosi la contemporanea censura di un vizio di nullità (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e di una violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Invero, è pacifico che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purchè si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia (Cass., Sez. 5″, 6 ottobre 2017, n. 23381), in modo che si possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni in diritto ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass., Sez. 5, 23 maggio 2018, n. 12690).

Dunque, l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass., Sez. 6, 7 novembre 2017, n. 26310).

Peraltro, è convinzione del collegio che la chiara e precisa illustrazione delle ragioni sottese alle distinte censure del provvedimento impugnato non provochi alcuna confusione o commistione nell’individuazione e nella enucleazione delle autonome doglianze, consentendone al giudice l’esame separato negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati ed enucleati.

Pertanto, ben si può attagliare alla fattispecie l’orientamento giurisprudenziale per cui è ammissibile il ricorso per cassazione, il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, purchè lo stesso evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (ex plurimis: Cass., Sez. 2, 23 aprile 2013, n. 9793; Cass., Sez. Un., 6 maggio 2015, n. 9100; Cass., Sez. 5, 11 aprile 2018, n. 8915; Cass., Sez. 5, 5 ottobre 2018, n. 24493; Cass., Sez. 2, 23 ottobre 2018, n. 26790).

Difatti, il cumulo in un unico motivo delle censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, è ammissibile in presenza di una diversificata e separata prospettazione delle doglianze attinenti, rispettivamente, al corretto esercizio della potestà decisionale ed all’appropriata ricostruzione del fatto controverso.

Ciò posto, si deve escludere, anzitutto, la configurabilità di un reale contrasto tra la motivazione (nel senso dell’inammissibilità) ed il dispositivo (nel senso del rigetto) della sentenza di appello.

Per orientamento costante, sussiste contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza, solo quando il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale e, conseguentemente, del diritto o bene riconosciuto (ex plurimis: Cass., Sez. 5, 30 dicembre 2015, n. 26077; Cass., Sez. 6, 27 giugno 2017, n. 16014).

Sussiste un contrasto tra motivazione e dispositivo che dà luogo alla nullità della sentenza solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale, Sicchè tale ipotesi non è ravvisabile nel caso in cui il contrasto sia imputabile ad una mera improprietà terminologica che non impedisce di comprendere l’effettiva portata precettiva della decisione (nella specie decisa, il giudice d’appello aveva ritenuto sussistere un’ipotesi di acquiescienza alla sentenza di primo grado e, nel dispositivo, anzichè dichiarare improcedibile l’appello, l’aveva rigettato: Cass., Sez. 1, 9 maggio 2007, n. 10637 – nello stesso senso: Cass., Sez. 2, 24 maggio 2010, n. 12622).

Ciò che è accaduto, per l’appunto, nel caso di specie, in cui il giudice di secondo grado, dopo averne correttamente rilevato rinammissibilità” per l’omessa deduzione di specifici motivi in relazione ai capi della sentenza impugnata ed averne valutato l’infondatezza nel merito per la confermata sussistenza del presupposto impositivo, ha pronunziato il “rigetto” dell’appello.

Tuttavia, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si sia spogliato della potestas iudicandi sul merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare tale statuizione, sicchè è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale, mentre è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2007, n. 3840; Cass., Sez. 3, 5 luglio 2007, n. 15234; Sez. 3, 20 agosto 2015, n. 17004).

Per cui, posto che non vi è alcuna contraddizione logica tra la motivazione e il dispositivo con riguardo alla formula onnicomprensivamente adoperata nella pronunzia della decisione sfavorevole, si può riconoscere la sussistenza di una ultronea motivazione ad abundantiam che il giudice di appello non avrebbe potuto adottare, essendosi spogliato – seppure con una statuizione impropriamente espressa – della potestas iudicandi sul merito della controversia.

Per il resto, il ricorrente ha dedotto che la specificità dei motivi di appello non richiedeva formule sacramentali e che l’appello nel suo complesso consentiva l’identificazione delle concrete ragioni per chiedere la riforma della sentenza di primo grado.

Come si può desumere dalla stessa motivazione della sentenza impugnata, il “CONSORZIO URBANIA VIVERE LA CITTA”‘ “si è sostanzialmente limitato a richiamare le argomentazioni difensiva(e) già poste alla base del ricorso introduttivo del giudizio dinanzi alla Commissione Provinciale” per contrastare le ragioni della decisione resa in prime cure (vale a dire, come si può evincere dalla stessa narrativa della sentenza impugnata”a) la illegittimità della pretesa per difetto del presupposto impositivo; b) l’illegittimità dell’accertamento per difetto di motivazione”). Con i motivi di appello dichiarati inammissibili dalla Commissione Tributaria Regionale di Napoli, il ricorrente ha ribadito le ragioni poste a sostegno dell’atto introduttivo del giudizio, sicuramente idonee, ove ritenute fondate, a condurre alla riforma della decisione di primo grado.

La statuizione di inammissibilità (all’esito della riqualificazione della impropria pronunzia di “rigetto”) dell’appello si pone, dunque, in contrasto col principio di questa Corte secondo cui è pacifico che, in tema di contenzioso tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 53, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (ex plurimis: Cass., Sez. 6, 22 gennaio 2016, n. 1200; Cass., Sez. 5, 19 dicembre 2018, n. 32838).

Tale principio risulta particolarmente aderente al caso di specie, in cui tutte le questioni che formano oggetto del giudizio sono di mero diritto, e non di fatto: il requisito della specificità dell’appello non può, infatti, essere inteso nel senso che l’appellante sia tenuto a ricercare nuovi argomenti giuridici a sostegno dell’impugnazione, quasi che gli sia precluso di sottoporre all’esame del giudice del gravame quelli già respinti dal primo giudice (in termini: Cass., Sez. 5, 19 dicembre 2018, n. 32838).

2. Per quanto si è già anticipato, risulta inammissibile, per difetto di interesse, il secondo motivo di ricorso dedotto dal ricorrente per contrastare le argomentazioni svolte ad abundantiam, e impropriamente, nella sentenza impugnata per escludere la fondatezza, nel merito, dei motivi di appello. Il giudice a quo doveva, infatti, arrestarsi alla pronuncia di inammissibilità (ancorchè inesattamente formulata in termini di “rigetto”) del gravame, con la quale aveva definito e chiuso il giudizio, spogliandosi della potestas iudicandi sul merito della controversia.

3. All’accoglimento del primo motivo del ricorso conseguono la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio, per l’esame del merito dell’appello, alla Commissione Tributaria Regionale di Napoli in diversa composizione, che regolerà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo; dichiara inammissibile il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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