Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 614 del 12/01/2017

Cassazione civile, sez. lav., 12/01/2017, (ud. 21/07/2016, dep.12/01/2017),  n. 614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2101-2011 proposto da:

COOPERATIVA LA PESCHERECCIA S.R.L. C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 18, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO

RICHIELLO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PAOLO BASTIANINI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.F. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA MARIA

TAMBURRO, giusta procura speciale per Notaio;

– resistente con procura –

avverso la sentenza n. 1350/2010 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 05/11/2010, R.G. N. 129/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/07/2016 dal Consigliere Dott. DE GREGORIO FEDERICO;

udito l’Avvocato UMBERTO RICCHIELLO;

udito l’Avvocato NICOLA DI PIERRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO del PROCESSO

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza pubblicata il 5 novembre 2010 e notificata il successivo giorno 26, rigettava il gravame interposto dalla società COOPERATIVA La Peschereccia a r.l. con sede in (OMISSIS), avverso la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto in parte fondata la domanda dell’attore F.F., in ordine a pretese risarcitorie da costui rivendicate per danno da demansionamento, sicchè parte convenuta era stata condannata al pagamento della somma di 10.000,00 Euro nonchè ad adibire l’attore alle mansioni da costui svolte sino al marzo 2005 o ad altre equivalenti ex art. 2103 c.c..

La Corte territoriale riteneva che nella specie, contrariamente alle asserzioni dell’appellante, sussisteva rapporto di lavoro subordinato intrattenuto dal F., ancorchè socio, alle dipendenze della Cooperativa, di modo che sussisteva pure la competenza dell’adito giudice del lavoro con riferimento alle pretese azionate e per cui risultava, altresì, applicabile la disciplina dettata dall’art. 2103.

Quanto, poi, all’asserita tardività dei mezzi di prova chiesti dall’attore, la natura subordinata del rapporto emergeva dalle buste paga e dal regolamento della Cooperativa, documenti a suo tempo tempestivamente depositati, visto inoltre che tale regolamento prevedeva espressamente la possibilità per i soci di attivare con la Cooperativa stessa esclusivamente un contratto di lavoro subordinato, non essendo previsto altro tipo di rapporto di lavoro.

Pertanto, essendo del tutto pacifica la prestazione, resa dal F. in modo costante e continuativo in favore della Cooperativa, prima e dopo il 2005, con il rilascio di prospetti paga, nei quali venivano menzionati istituiti tipici del lavoro subordinato (scatti, anzianità, straordinari, deduzioni lav. dipendente…), andava condivisa la decisione di primo grado, secondo cui era provata la costituzione del rapporto di lavoro subordinato, perciò soggetto anche alla disciplina dettata dal cit. art. 2103, quindi devoluto alla cognizione del giudice del lavoro ex art. 409 c.p.c.. Peraltro, la pretesa di riservare la cognizione della controversia ad un non meglio precisato giudizio arbitrale, non solo non era sorretta dalla produzione della copia integrale della norma regolamentare invocata, ma confliggeva pure con quanto previsto dall’art. 806 c.p.c., comma 2. In ogni caso, la menzione fatta dall’appellante del D.Lgs. n. 5 del 2003 denotava che l’argomento era impropriamente riferito a eventuali aspetti societari e comunque non alle controversie di lavoro di cui al citato art. 409.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la COOPERATIVA La Peschereccia, come da atto notificato il 12 gennaio 2011, affidato a due motivi.

Il F. ha depositato procura speciale conferita agli avv.ti Nicola Maria Tamburro del foro di Grosseto e all’avv. Nicola Di Pierro del foro di Roma, con firma autenticata dal notaio B.R. di Grosseto il 2 agosto 2011.

Non risultano depositate memorie per la società cooperativa ex art. 378 c.p.c., essendo peraltro comparsi i difensori di entrambe le parti all’udienza del 21 luglio 2016.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima censura la ricorrente ha dedotto insufficiente ed illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per quanto argomentato in sede di merito circa la ritenuta natura subordinata del rapporto di lavoro, intrattenuto con il socio F., per cui invece non era intervenuto alcuno specifico accordo in tal sensi, visto che la previsione del regolamento contemplava soltanto un’eventualità, mentre l’attività del socio costituiva sempre e solo l’adempimento del contratto sociale.

Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 416 c.p.c. – in relazione a quanto previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove già in primo grado la Cooperativa aveva provveduto a depositare lo statuto (nel qual era contenuta la clausola compromissoria, secondo cui la cognizione delle controversie tra socio e società era devoluta ad un collegio arbitrale ex art. 37); ciò a sostegno dell’eccepita incompetenza dell’adito giudice del lavoro.

Contrariamente a quanto motivato nell’impugnata sentenza di appello, secondo cui mancava copia integrale della norma regolamentare invocata, tale affermazione però non trovava riscontro nel fascicolo di parte, da cui si evinceva che la società aveva prodotto copia integrale del documento, così avendo osservato le regole di cui ai suddetti artt. 2697 e 416. Anche sotto questo ulteriore aspetto, e semprechè fossero accolti i motivi di cui sopra (da cui scaturirebbe una diversa qualificazione del rapporto, rilevante pure ai fini della questione relativa alla competenza a decidere la controversia), la sentenza impugnata andava cassata.

Entrambe le censure vanno disattese.

Invero, parte ricorrente ha sostenuto, tra l’altro, che nel costituirsi nel giudizio di primo grado aveva eccepito in via preliminare il difetto di competenza del giudice adito, poichè la controversia andava devoluta alla cognizione di arbitri rituali, nominati D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, ex art. 34, cui spettava, in base all’art. 38 dello statuto, di dirimere la vertenza insorta con il socio F., giacchè quest’ultimo aveva sostanzialmente negato la propria qualifica di socio della convenuta cooperativa.

Avverso la sentenza del primo giudicante (che aveva respinto l’eccezione d’incompetenza, atteso che la controversia riguardava in effetti i diritti del socio lavoratore, sicchè la competenza spettava al giudice del lavoro) la Cooperativa appellante con il ricorso del 12-12-2007 aveva dedotto la tardività delle richieste istruttorie formulate dall’attore soltanto all’udienza del 14 marzo 2006, nonchè l’insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, con conseguente incompetenza del giudice adito ed inapplicabilità della disciplina sul demansionamento.

Dunque, alla stregua di quanto rappresentato dalla stessa Cooperativa – che con il ricorso peraltro non ha più dedotto alcuna violazione circa l’asserita intempestività dei mezzi di prova richiesti da parte attrice – l’eccezione di incompetenza del giudice adito è stata reiterata subordinatamente all’accertamento della insussistenza del rapporto di lavoro subordinato dedotto dall’attore. In altri termini, in base a quanto è dato di comprendere dalla formulazione del secondo motivo di ricorso, la pretesa violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 416 c.p.c. risulta reiterata semprechè vengano accolte le censure di cui al primo motivo, da cui deriverebbe una diversa qualificazione del rapporto tra il F. e la COOPERATIVA, ciò che determinerebbe anche diverse conseguenze sulla questione della competenza a decidere sulla controversia.

Orbene, va in primo luogo osservato che anche con il ricorso la società cooperativa ha omesso di riportare il testo della clausola compromissoria in questione (art. 38, menzionato a pag. 3 del ricorso, mentre a pag. 12 si rinvia all’art. 37 dello statuto), non risultando di certo sufficiente il generico indice degli atti depositati in calce al ricorso (fascicolo di parte del giudizio di primo grado, fascicolo di parte del giudizio di secondo grado…).

Di conseguenza, risultano così violate le prescrizioni imposte a pena d’inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, e d’improcedibilità dall’art. 369 stesso codice di rito, comma 2, n. 4.

D’altro canto, questa Corte ha avuto già modo di affermare (Cass. lav. n. 12309 del 21/08/2003) che la competenza del giudice del lavoro a conoscere della controversia tra un socio e la cooperativa di produzione e lavoro non è suscettibile di deroga a favore di arbitri, se non in forza di clausola compromissoria prevista da contratti e accordi collettivi, sempre che, ai sensi dell’art. 808 c.p.c., comma 2, ciò avvenga, a pena di nullità, senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria; non è pertanto valida una clausola compromissoria che sia contenuta soltanto nello statuto della società cooperativa di produzione e lavoro (v. anche il comma 2, dell’art. 806 c.p.c., secondo cui le controversie di cui all’art. 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro.

Tanto a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 20, norma che per espressa previsione de D.Lgs. art. 27, comma 3, cit., si applica alle convenzioni di arbitrato stipulate dopo la data di entrata in vigore del decreto medesimo, avvenuta il 2 marzo 2006.

In precedenza, quindi, l’art. 808, in tema di clausola compromissoria, così tra l’altro recitava: “… Le controversie di cui all’art. 409 possono essere decise da arbitri solo se ciò sia previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro purchè ciò avvenga, a pena di nullità, senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria. La clausola compromissoria contenuta in contratti o accordi collettivi o in contratti individuali di lavoro è nulla ove autorizzi gli arbitri a pronunciare secondo equità ovvero dichiari il lodo non impugnabile…”.

Cfr. altresì Cass. civ. Sez. 6 – 3, ordinanza n. 18110 del 15/09/2015, secondo cui la domanda di risarcimento per danno da “mobbing”, avanzata dal socio di una società cooperativa nei confronti della compagine sociale in relazione a prestazioni lavorative ricomprese nell’oggetto sociale, rientra nella competenza funzionale del giudice del lavoro anche quando i rapporti di lavoro instaurati siano temporanei, permanendo la distinzione con il rapporto sociale, sicchè, in forza dell’art. 806 c.p.c. -nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 40 del 2006, “ratione temporis” applicabile – la clausola compromissoria, contenuta nello statuto della cooperativa e non prevista da accordi o contratti collettivi, non è idonea a impedire la valida adizione dell’autorità giudiziaria. V. anche Cass. lav. n. 16620 del 28/07/2011 e n. 17868 – 11/08/2014).

Pertanto, nei sensi anzidetti va disatteso il 2^ motivo di ricorso, dovendosi per altro verso rigettare anche il primo, formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per il quale in effetti inammissibilmente, nell’ambito di questo giudizio di legittimità, la società finisce col pretendere una diversa valutazione dei fatti rispetto a quanto però congruamente accertato e ritenuto dal competente giudice di merito. Invero, la Corte d’appello nel richiamare la L. n. 142 del 2001, art. 1, (secondo cui tra l’altro il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali), ha citato pure l’art. 1 del regolamento della medesima cooperativa, in base al quale i soci possono attivare con quest’ultima ” esclusivamente un contratto di lavoro subordinato, in quanto non viene previsto alcun altro tipo di lavoro”. Pertanto, risultando del tutto pacifica la prestazione lavorativa fornita dal F. a favore della Cooperativa, prima e dopo il 2005, alla stregua dei surriferiti elementi di cognizione, la Corte territoriale ha ritenuto nella specie corretta la decisione appellata circa la sussistenza anche del rapporto di lavoro subordinato, soggetto perciò alla disciplina pure dettata dall’art. 409 c.p.c. e art. 2103 c.c..

D’altro canto, con l’asserito vizio di motivazione la Società cooperativa non ha chiarito quale sarebbe in concreto il fatto controverso e decisivo non considerato dal collegio giudicante. Nè, peraltro, illustrando il primo motivo la ricorrente ha indicato una eventuale violazione di norme ovvero una qualche loro errata applicazione, circa la ritenuta sussistenza di un rapporto di lavoro, ulteriore (rispetto a quello societario, L. n. 142 del 2001, ex art. 1), in tal caso però necessariamente subordinato in virtù di quanto previsto dall’art. 1 del regolamento.

Contrariamente a quanto ipotizzato dalla ricorrente, tuttavia, la sussistenza di un tale ulteriore rapporto non risulta essere stata desunta dal solo art. 1 citato, ma dalla lettura combinata di quest’ultimo con la L. n. 142, art. 1, unitamente alle apprezzate circostanze di fatto, laddove per altro verso è noto in materia che la volontà di costituire un rapporto di lavoro subordinato può estrinsecarsi anche in comportamenti nonchè in elementi fattuali, e non soltanto in formali manifestazioni in proposito, sicchè al riguardo appare priva di pregio l’asserzione secondo cui la volontà espressa in merito non era stata in realtà indagata dal giudice.

Dunque, il ricorso va respinto, con conseguente condanna della società rimata soccombente alle relative spese, liquidate tuttavia in favore di parte intimata limitatamente alla sua partecipazione alla discussione svoltasi alla pubblica udienza del 21 luglio in forza della depositata procura speciale rilasciata ai suddetti difensori.

PQM

la Corte RIGETTA il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore dell’intimato F. in Euro 1500,00 (millecinquecento/00) per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Così deciso in Roma, il 21 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2017

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