Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6135 del 12/03/2010
Cassazione civile sez. II, 12/03/2010, (ud. 15/12/2009, dep. 12/03/2010), n.6135
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –
Dott. ATRIPALDI Umberto – rel. Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 569/2005 proposto da:
FERRAMENTA ITAL SRL P.I. (OMISSIS) in persona del legale
rappresentante pro tempore M.R.M., elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA E. Q. VISCONTI 20, presso lo studio
dell’avvocato MIGLIUCCI Beniamino, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato TOSELLO FRANCO;
– ricorrente –
contro
F.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DELLA GIULIANA 32, presso lo studio dell’avvocato ZANUZZI
ANTONIO, rappresentato e difeso dall’avvocato CAMPAGNARO Giuseppe;
– controricorrente –
e contro
GAN ITALIA ASSICURAZIONI SPA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1183/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,
depositata il 15/07/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
15/12/2009 dal Consigliere Dott. UMBERTO ATRIPALDI;
udito l’Avvocato Maurizio Paganelli con delega dell’avvocato FRANCO
TOSELLO difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso e deposita nota spese;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso limitatamente al secondo e terzo motivo.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La s.r.l. Ferramenta Italiana ha impugnato, nei confronti di F. A. e della s.p.a. Gan Italia Ass.ni, con ricorso notificato il 22.12.04, la sentenza della Corte di Appello di Venezia, notificata il 29.10.04, che in riforma di quella di 1^ grado ha rigettato la sua domanda di risarcimento per responsabilità professionale, quantificata in L. 43.313.031, nei confronti dell’intimato consulente del lavoro per l’omesso pagamento di contributi, accertato il 22.7.87, dovuti all’INPS per gli anni 80-86 dalla ditta individuale Ferramenta italiana di Zambotto Francesco, di cui era conferitaria per atto del (OMISSIS).
Lamenta: 1) “violazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”, dato che la Corte di Appello ha ritenuto che essa non aveva dimostrato “di essere divenuta titolare dello specifico credito risarcitorio verso il consulente del lavoro”, affermando erroneamente che il relativo debito verso l’INPS per contributi e sanzioni fu assolto dalla Zambotto, circostanza invece smentita per tabulas dall’esito dell’istruttoria; ed aveva inoltre ritenuto che tale debito non era mai gravato sul suo patrimonio sociale, sebbene risultasse dalle scritture contabili della ditta conferita ed avesse provveduto “personalmente al pagamento delle omissioni contributive e relative somme aggiuntive”, come risultava dalla C.T.U.; e per di più aveva male “interpretato le deduzioni istruttorie e la testimonianza della Tamarin sul punto”, per cui l’impugnata sentenza “è erronea, in diritto, nel punto in cui esclude che la società conferitaria fosse obbligata nei confronti dell’INPS ex art. 2560 c.c.”;
2) “la violazione di norme di diritto”, dato che sussistendo i presupposti per ritenere che aveva azionato nei confronti del F. un credito acquistato dalla ditta conferita, “il recapito all’art. 2560 c.c.” era del tutto inconferente, dato che il credito risarcitorio da responsabilità professionale doveva ritenersi sorto in capo alla ditta individuale fin dal momento dell’inadempimento da parte del consulente, “quindi al tempo dell’omissione contributiva … in un momento anteriore al conferimento d’azienda”;
3) “nullità della sentenza per totale carenza di motivazione.
Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”; dato che la Corte si era concentrata esclusivamente sul problema dell’applicabilità dell’art. 2560 c.c., con riferimento ai debiti aziendali e quindi l’impugnata sentenza era solo apparentemente motivata; o comunque in modo insufficiente, dato che non spiegava “il motivo in virtù del quale escludeva anche che potesse avere acquistato il credito risarcitorio nei confronti del consulente”; nè spiegava perchè era attribuita rilevanza “all’effettivo pagamento del debito INPS, danno risolto ad alcune risultanze istruttorie”, senza tenere in alcuna considerazione la circostanza che essa aveva provveduto ad adempiere integralmente gli obblighi per contributi e sanzioni”.
L’intimato resiste.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Affetto da inammissibilità si manifesta il 1 motivo col quale la ricorrente prospetta una non consentita rinnovazione degli accertamenti in fatto della Corte di Appello, che con valutazioni sorrette da congrua motivazione, insindacabili in questa sede, ha legittimamente escluso che sia potuta diventare cessionaria ex art. 2560 c.c., del credito vantato nei confronti dell’intimato, atteso che il relativo debito verso l’INPS, accertato solo il 2.7.87 e perciò non riportato nelle scritture contabili della ditta individuale conferitale dallo Z. in data anteriore, 7.1.86, fu pagato direttamente dal medesimo.
Circostanze quest’ultime che per di più la ricorrente sembrerebbe contestare deducendo inammissibili censure di natura revocatoria, là dove affermava che sarebbero smentite per “tabulas” dagli accertamenti effettuati dal C.T.U..
Manifestamente infondato è il 2^ motivo col quale la ricorrente, al fine di farlo rientrare fra quelli aziendali cedutile ex art. 2559 c.c., arbitrariamente fa risalire la nascita del credito azionato, scaturente, come visto, dal successivo accertamento INPS, all’epoca in cui l’intimato omise di effettuare i dovuti versamenti;
confondendo in tal modo il verificarsi di un semplice potenziale presupposto di credito, comunque ignoto alle parti al momento del conferimento, con la sua effettiva nascita, dipendente da un evento, accertamento, futuro ed incerto.
Quanto esposto evidenzia anche l’infondatezza e l’inammissibilità del 3^ motivo.
Infondato nella parte in cui la ricorrente asserisce non motivata l’esclusione della sua qualità di cessionaria, invece correttamente ritenuta non provata dalla Corte di Appello in mancanza di qualsiasi elemento atto a confortare tale assunto. Inammissibile là dove contesta, nuovamente, le valutazioni di merito della Corte di Appello e le “risultanza istruttorie” su cui si fondano.
Al rigetto segue la condanna alle spese.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese in Euro 1.700,00 di cui Euro 1500,00 per onorari.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2010