Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6135 del 05/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2021, (ud. 23/10/2020, dep. 05/03/2021), n.6135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FILOCAMO Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3943-2017 proposto da:

VELLETRI SERVIZI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI MONTE

FIORE 22, presso lo studio dell’avvocato STEFANO GATTAMELATA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MUZIO CLEMENTI

164, presso lo studio dell’avvocato LORENZA GIRONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato TIZIANA CURCIO COSTA;

– controricorrente –

e contro

COMUNE VELLETRI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4485/2016 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 13/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/10/2020 dal Consigliere Dott. FULVIO FILOCAMO.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

Velletri Servizi S.p.A., concessionaria dei servizio di riscossione tributi del Comune di Velletri, notificava a B.E. sei avvisi di accertamento per il mancato versamento dell’ICI per gli anni d’imposta dal 2004 al 2009 in relazione ai terreni di sua proprietà (unità immobiliari di cui al foglio (OMISSIS), particelle n. (OMISSIS)), sui presupposto dell’edificabilità conseguente alla Variante generale al locale P.R.G. del 2000, adottata dal Comune di Velletri (Delib. 29 dicembre 2000, n. 185) e successivamente approvata dalla Giunta regionale (Delib. 14 febbraio 2006, n. 66).

Avverso detti atti di accertamento, il B. proponeva ricorso, chiedendone l’annullamento alla Commissione tributaria Provinciale di Roma sulla base della mancata conoscenza legale della mutata destinazione d’uso, con citazione diretta alla sola Velletri Servizi.

Secondo la Società il Comune aveva violato la L. n. 289 del 2002, art. 31, comma 20, che prevede espressamente l’obbligo di comunicazione da parte dei Comuni qualora venga modificata la destinazione d’uso degli immobili.

Il contribuente deduceva, altresì, la nullità degli accertamenti per erronea valutazione del reddito catastale attribuito agli immobili.

Il Giudice adito, con sentenza n. 20937/17/14, respingeva il ricorso.

2.1. Avverso detta sentenza il contribuente proponeva appello dinanzi alia Commissione Tributaria Regionale del Lazio, citando sempre la sola Velletri Servizi.

I giudici di secondo grado, rilevata come effettiva l’eccepita mancata comunicazione L. n. 289 del 2002, ex art. 31, comma 20, accoglievano l’appello.

Avverso questa decisione, la Velletri Servizi ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati con memorie.

Il controricorrente ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. La Velletri Servizi ricorre con due motivi.

1.1 Con il primo motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 31, comma 20, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ritenendo che la Commissione Tributaria Regionale abbia erroneamente interpretato, riconoscendo esistente un onere di comunicazione gravante sul Comune a favore del contribuente sull’intervenuta edificabilità dei terreni che, in caso di omissione, consentirebbe l’annullamento degli atti di imposizione ICI.

2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa considerazione del fatto ritenuto decisivo che il cambio di destinazione degii immobili del contribuente B.A. era stato disposto con provvedimento del Comune di Velletri, quale ente impositore, e in tale qualità, avrebbe dovuto essere citato ab initio quale litisconsorte necessario dal contribuente. Si chiede, quindi, che venga cassata la sentenza impugnata e disposta l’integrazione del contraddittorio con conseguente necessità di ripetere il giudizio.

3. Preliminarmente, sull’eccezione di inammissibilità rispetto alla presunta violazione del principio di autosufficienza – sollevata dal controricorrentè in relazione alla mancata produzione della Delib. Consiglio comunale di Velletri 29 dicembre 2000, n. 185 che adottava la variante generale al P.R.G. e della successiva Delib. Giunta Regionale 14 febbraio 2006, n. 66 che l’approvava – per non aver prodotto detti atti, senza neanche indicare la fase processuale ove gli atti siano stati eventualmente depositati, va affermato come la stessa non sia fondata.

3.1 Con il ricorso per cassazione non si sono mosse censure che comportino l’esame dei citati documenti, Non si sono denunciati, infatti, criteri di ermeneutica asseritamente violati, ma si è esclusivamente sostenuta la circostanza che detti strumenti urbanistici, modificativi della destinazione d’uso degli immobili del contribuente, erano stati approvati (circostanza peraltro neanche contestata).

4. Il secondo motivo, da trattarsi prioritariamente per ragioni di priorità di ordine logico, è infondato. Con orientamento consolidato questa Corte ritiene che “nel processo tributario, il fatto che il contribuente abbia individuato nel concessionario, piuttosto che nel titolare del credito tributario, il legittimato passivo, nei cui confronti dirigere l’impugnazione, non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore, onere che, tuttavia, grava sul convenuto, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio” (da ultimo Cass., Sez. 5, n. 14991 del 2020). Se il ricorrente avesse voluto, avrebbe potuto provvedere di sua iniziativa a citare l’ente impositore, diversamente la mancata volontaria integrazione del contraddittorio non rappresenta motivo d’inammissibilità della domanda o di cassazione della sentenza.

5. Il primo motivo, invece, è fondato.

5.1 Con orientamento consolidato che si condivide; con riferimento alla doglianza relativa all’asserita violazione della L. n. 289 del 2002, art. 31, comma 20, si è chiarito che: “In tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 203 del 2005, art. 11, quaterdecies, comma 16, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2005, e della D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, conv. con modif., dalla L. n. 248 del 2006, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b) l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione delia base imponibile fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi; nè rileva, quando non risulti in concreto pregiudicata la difesa del contribuente, che l’Amministrazione, in violazione della L. n. 289 del 2002, art. 31, comma 20, non abbia dato comunicazione al proprietario dell’attribuzione della natura di area fabbricabile ad un terreno, non essendo specificamente sanzionata l’inosservanza (Da ultimo Cass., Sez. V, n. 20124 del 2019). Il concreto pregiudizi alla difesa del contribuente non è stato dedotto. Da questi principi, quindi, deriva che nessuna sanzione può essere comminata all’ente comunale per l’omessa comunicazione al proprietario dell’attribuzione della natura edificabile delle unità immobiliari oggetto di imposizione, quindi, gli atti originariamente impugnati sono legittimi.

6. Neppure può essere condivisa la tesi sostenuta dal controricorrente secondo cui, con avvisi di accertamento notificati, sono state addebitate – asseritamente ingiustamente – oltre le imposte dovute, anche le sanzioni previste dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 14 nonchè gli interessi secondo il disposto di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 165. L’addebito di tali sanzioni sarebbe in aperto contrasto con quanto disposto dal D.Lgs. n. 472 del 1997 ricorrendo, si afferma, una causa di non punibilità in base a quanto disposto dall’art. 6 del citato decreto. La violazione della comunicazione da parte del Comune integrerebbe una delle condizioni di “esclusione” delle sanzioni a carico del contribuente previste dalla L. n. 12 del 2000, art. 10, comma 2, che stabilisce “Non sono irrogate sanzioni nè richiesti interessi moratori al contribuente…, qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione – stessa”. Nel caso di specie, l’illegittimità delle sanzioni, in mancanza della comunicazione da parte del Comune, è stata riconosciuta dallo stesso ricorrente al punto 3 dell’atto introduttivo del presente giudizio, in ordine alla violazione del principio generale della buona fede e dell’affidamento del contribuente.

6.1 Secondo il consolidato orientamento di questa Corte: “in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme fiscali, sussiste il potere del giudice tributario di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni, anche in sede di legittimità, per errore sulla norma tributaria, in caso di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo della stessa, solo in presenza di una domanda del contribuente formulata nei modi e nei termini processuali appropriati, che non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello o nel giudizio di legittimità”. Quanto dedotto nel controricorso non è stato documentato in modo da dimostrare che sia stato richiesto nei gradi di merito e, peraltro, non è neanche stata fornita la prova che si sia effettivamente trattato di un caso di “incertezza normativa” ovvero di soggettiva ignoranza incolpevole del diritto, il cui accertamento è demandato esclusivamente al giudice e non può essere operato dall’amministrazione (Cass., Sez. 5, n. 12301 del 2017).

7. In definitiva, va accolto il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, la sentenza impugnata va cassata e decidendo nel merito, non essendo necessari accertamenti di fatto, la Corte rigetta l’originario ricorso del contribuente. Le spese dei gradi di merito vanno compensate tra le parti per il recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca di introduzione della lite, mentre la parte soccombente è tenuta al pagamento delle spese dei presente giudizio liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, non essendo necessari accertamenti di fatto, rigetta l’originario ricorso del contribuente. Compensa le spese dei gradi di merito e condanna il resistente alle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in 1.500,00 euro.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021

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