Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6134 del 05/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2021, (ud. 23/10/2020, dep. 05/03/2021), n.6134

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9272-2017 proposto da:

COMUNE di (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso

lo studio dell’avvocato PLACIDI, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANNA ATTANASIO;

– ricorrente –

contro

L.B.H.B., in qualità di erede di

A.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 8607/2016 della COMM. TRIB. REG. DELLA

CAMPANIA SEZ. DIST. di (OMISSIS), depositata il 06/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/10/2020 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Comune di (OMISSIS) ricorre sulla base di due motivi per la cassazione della sentenza n. 8607/2016 emessa dalla CTR della Campania – depositata il 6 ottobre 2016 – che respinto l’appello dell’ente comunale, sul rilievo che il primo giudice aveva correttamente valutato il valore del cespite di proprietà A., ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, individuando il valore in comune commercio dell’area utilizzando, come parametro di riferimento, il valore determinato nella procedura relativa all’accertamento ai finì della imposta di registro; considerando che detto valore era stato esaminato autonomamente dalla CTP unitamente ai valori emersi da vicende espropriative di aree ubicate in zona C/3.

La contribuente, erede di A.C., è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

2. Con il primo motivo si lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudice d’appello invertito l’onere probatorio, gravando sull’amministrazione comunale l’onere di dimostrare l’esistenza di compravendite di terreni similari per un valore superiore a quello accertato in sede di determinazione di imposta di registro.

Il Comune deduce, al riguardo, di aver adottato, ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, il regolamento comunale nel quali, attraverso il riferimento alle stime poste a corredo di giudicati di accertamento del valore di aree oggetto di espropri ed ai valori OMI per l’area extraurbana, risultavano indicati i valori di mercato delle aree oggetto dell’atto impositivo opposto.

3. Con la seconda censura si prospetta violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 2 e 5 e del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 52 e 59, per avere i giudici regionali omesso di considerare che, con Delib. del consiglio comunale prima e di Giunta poi, (n. 540 del 2007), l’ente comunale aveva stabilito il valore venale con riferimento alle aree oggetto dei contestati avvisi di accertamento; il che impediva di valutare il valore delle aree con riferimento, sia pure per relationem, ai valori determinati in sede di accertamento dell’imposta di registro, tenuto conto che i criteri per quantificare l’imposta di registro, dettati dal D.P.R. n. 131 del 1986 erano parzialmente difformi da quelli previsti per la determinazione dell’ICI.

4. Le censure sono inammissibili.

Questa Corte ha più volte affermato che, “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’avviso d’accertamento che fa riferimento alla delibera della giunta comunale contenente la determinazione dei valori minimi delle aree edificabili, comprensiva di quella oggetto di imposizione, deve ritenersi sufficientemente motivato in quanto richiamante un atto di contenuto generale avente valore presuntivo e da ritenersi conosciuto (o conoscibile) dal contribuente, spettando a quest’ultimo l’onere di fornire elementi oggettivi (eventualmente anche a mezzo perizia di parte) sul minor valore dell’area edificabile rispetto a quello accertato dall’ufficio” (così, di recente, Cass. n. 16620 del 05/07/2017; n. 6859/2019, in motiv).

Ebbene, come emerge dalla sentenza d’appello, i primi giudici hanno individuato il valore venale del terreno “considerate le valutazioni esposte dall’Agenzia delle Entrate nei verbali di contraddittorio, a seguito di accertamento con adesione”, valutazione ritenuta corretta dal giudice del gravame perchè la CTP avrebbe “autonomamente considerato” le risultanze di detta procedura, per relationem.

In tali pronunce, la CTR ha prima di tutto rilevato che i giudici di primo grado avevano considerato, ai fini della valutazione del valore in comune commercio del fondo, delle risultanze della procedura di accertamento con adesione e poi ha evidenziando che oltre a detti elementi, erano stati presi in considerazione, senza contestazione specifica da parte dell’amministrazione comunale, le vicende espropriative “incidenti sfavorevolmente sulla determinazione del valore”. Quest’ultima, è statuizione che, da sola, è idonea a sostenere il decisum, sicchè il ricorso per cassazione, articolato nei motivi sopra riportati, deve ritenersi inammissibile (v. da ultimo Cass., Sez. 1 civ., n. 6985 del 11/03/2019).

La censura svolta con i motivi in disamina non esaurisce, difatti, la totalità delle rationes decidendi che sorreggono la decisione impugnata in parte qua. Il giudice d’appello si è infatti indotto a confermare la sentenza di primo grado non solo sulla base delle risultanze della procedura di adesione, ma anche sul presupposto che erano emersi aliunde elementi probatori relative a vicende espropriative che convincevano della correttezza della valutazione operata dal primo giudice.

Nel caso all’esame, la sentenza risulta sorretta da due diverse “rationes decidendi”, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, sicchè l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. n. Cass. n. 13880/2020; n. 15399/2018; n. 11493/2018; n. 18641/2017; n. 22753 del 2011).

5. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto.

In assenza di difese svolte dalla intimata, non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovute.

PQM

La Corte:

– Rigetta il ricorso;

– Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovute.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 23 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021

 

 

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