Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6133 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 24/02/2022, (ud. 11/01/2022, dep. 24/02/2022), n.6133

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14640-2016 proposto da:R.G.N. 14640/201

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI DOTTORI

COMMERCIALISTI – CNPADC, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI, 47,

presso lo studio degli avvocati ANGELO PANDOLFO, SILVIA LUCANTONI,

che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

S.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE, 76, presso lo studio dell’avvocato RITA FERA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANLUIGI BARONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5714/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/06/2015 R.G.N. 1913/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/01/2022 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE.

 

Fatto

Ritenuto che:

1. con ricorso al giudice del lavoro di Roma, S.R., titolare di pensione di anzianità dall’1.02.2007 a carico della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei dottori Commercialisti (CNPADC, ovvero Cassa, d’ora in avanti), aveva chiesto la riliquidazione del trattamento pensionistico, con condanna della Cassa al pagamento del trattamento pensionistico da calcolarsi con computo della quota pensionistica riferita all’anzianità anteriore al 31.12.2003 sulla base della normativa vigente prima dell’entrata in vigore del Regolamento del 2004;

2. respinta la domanda, la Corte di Appello di Roma, adita in sede di appello dal pensionato, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda ed ha dichiarato il diritto di quest’ultimo alla riliquidazione del trattamento pensionistico prendendo in considerazione come reddito di riferimento la media dei 15 redditi dichiarati dall’iscritto negli anni anteriori alla maturazione del diritto a pensione, rivalutati ai sensi della L. n. 21 del 1986, art. 15, applicando al suddetto reddito medio rivalutato l’aliquota del 2% per tutte le anzianità contributive maturate sino al 31.12.2001 e l’aliquota dell’1,75% per le anzianità contributive successive;

3. la Corte territoriale ha ritenuto che il principio del pro rata di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, era stato violato del nuovo Reg. della CNPADC, art. 10, nella parte in cui prevedeva che il calcolo della quota reddituale doveva essere effettuato sulla base dei ventidue redditi antecedenti il 1 gennaio 2004;

4. la Corte territoriale ha escluso che i provvedimenti adottati dalla Cassa potessero ritenersi sanati per effetto della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, e ha affermato che la pensione doveva essere calcolata ai sensi della L. n. 21 del 1986, artt. 2 e 15, e del Reg., art. 3, precedente la modifica del 2004 (riferimento ai redditi degli ultimi 15 anni);

5. avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti affidando le proprie censure a sei motivi, cui ha resistito, con controricorso, il professionista che ha, successivamente, depositato memoria.

Diritto

Considerato che:

6. con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la CNPADC deduce la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, ultimo periodo, e della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488;

7. con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12;

8. con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la Cassa deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2,3,35 Cost., e dell’art. 38 Cost., comma 2;

9. con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, con riferimento al calcolo della quota reddituale;

10. con il quinto motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la Cassa deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, commi 1 e 2, e della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12;

11. con il sesto motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, ultimo periodo;

12. i motivi di ricorso, nel loro complesso, affrontano la questione della liquidazione dei trattamenti pensionistici, erogati dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994 (quale la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti), ed in particolare la legittimità o meno della variazione, in senso peggiorativo, delle modalità di calcolo della quota reddituale del trattamento pensionistico, in relazione al principio cd. del pro rata;

13. per come pacifico in causa, il Regolamento di disciplina del regime previdenziale della CNPADC, approvato con D.I. 14 luglio 2004, all’art. 10, comma 8, ha modificato il sistema di gestione previdenziale passando, in via graduale, dal sistema di calcolo reddituale a quello contributivo. Esso ha previsto, infatti, che la pensione degli associati che possano far valere un periodo di effettiva iscrizione e contribuzione antecedente il 1 gennaio 2004 è formata sommando la quota calcolata secondo il metodo contributivo per il periodo dal 1 gennaio 2004 ad una quota che si continua a calcolare con il metodo reddituale, facendo riferimento, ai parametri individuati nel Reg., allegata Tabella 8. Detta tabella individua diversi periodi di riferimento, a seconda della data di decorrenza della pensione; in particolare è previsto che per le pensioni che, come nella fattispecie in esame, decorrono dal 1.1.2007, vengono in rilievo i redditi degli ultimi 22 anni antecedenti la data del 1.1.2004;

14. la questione dibattuta è stata oramai, più volte, esaminata da questa Corte;

15. le Sezioni Unite, con la pronuncia del 16 settembre 2015, n. 18136, hanno precisato che “in materia di prestazioni pensionistiche erogate dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994 (quale la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali), la liquidazione dei trattamenti pensionistici, a partire dal 1 gennaio 2007, è legittimamente operata sulla base della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, riformulato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, che, nel prevedere che gli enti previdenziali adottino i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario, impone solo di aver presente – e non di applicare in modo assoluto – il principio del “pro rata”, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti, e comunque tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità tra generazioni, con salvezza degli atti approvati dai Ministeri vigilanti prima dell’entrata in vigore della L. n. 296 del 2006, e che, in forza della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488, si intendono legittimi ed efficaci purché siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine”;

16. tale principio, cui non si è conformata la pronuncia impugnata, è stato ribadito, tra le altre, da Cass. n. 3462 del 2019 e da Cass. n. 20877 del 2018, entrambe riferite alle delibere della Cassa previdenziale qui in rilievo;

17. rinviando alle ampie argomentazioni che sorreggono le citate decisioni, si osserva come si sia consolidato il principio secondo cui la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, ha sostituito il concetto del pro rata di cui alla L. n. 335 del 1995, originario art. 3, comma 12, con un concetto meno rigido, introducendo una disposizione innovativa, secondo cui le Casse privatizzate nell’esercizio del loro potere regolamentare sono tenute non più al “rispetto del principio del pro rata” (vecchia formulazione), ma a tenere “presente il principio del pro rata” nonché “i criteri di gradualità e di equità fra generazioni” (nuova formulazione), a partire dal 1 gennaio 2007, data di entrata in vigore della L. n. 296;

18. in tal modo, il criterio del pro rata è stato reso flessibile e posto in bilanciamento con i criteri di gradualità e di equità fra generazioni consentendo alla Cassa, solo dalla data di entrata in vigore della norma, di adottare Delibere in cui il principio del pro rata venga temperato rispetto ai criteri originali di cui alla L. n. 335 del 1995 (tra le tante, v. Cass. 18 aprile 2011 n. 8847, 7 marzo 2012 n. 3613 e 30 luglio 2012 n. 13607, 14 febbraio 2014 nn. 3514 e 3520 richiamate da Cass. SS.UU. n. 17742 del 2015 e n. 18136 del 2015);

19. l’ultimo periodo del cit. comma 763, per il quale “Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma, ovvero degli enti di cui al D.Lgs. n. 30 giugno 1994, n. 509, ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge”, non costituisce una validazione successiva delle disposizioni regolamentari delle Casse interessate nella parte in cui non ottemperavano alla prescrizione del “rispetto del principio del pro rata”, ma riguarda le delibere future, successive al 1 gennaio 2007 e non può operare retroattivamente al fine di rendere legittime delibere anteriori che dovevano invece conformarsi alla normativa vigente al momento in cui erano state emanate ed ai fini della liquidazione della pensione. La legittimità delle delibere va valutata a seconda del periodo in cui il diritto sia maturato (prima o dopo quella data) e del concetto di pro rata accolto dalla legislazione al momento vigente;

20. la norma della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488, non si pone in contrasto con i principi enunciati dalla Corte EDU, assumendo una ben determinata fisionomia interpretativa nella vicenda della riforma della previdenza gestita dagli enti privatizzati, in quanto lo stesso comma 488, interviene solo sul secondo parametro applicativo relativo alla applicazione attenuata dello stesso principio, ai sensi della formulazione del comma 12, introdotta dalla L. n. 296, art. 1, comma 768, e non sul primo parametro di validità della regolamentazione della Cassa (rispetto assoluto dei pro rata, in forza della originaria formulazione della L. n. 335, art. 3, comma 12), così confermando l’interpretazione sposata da Cass. n. 24221 del 2014 ed in difformità da Cass. n. 17892 del 2014 che, negandone la reale natura interpretativa e la conformità ai precetti costituzionali e della CEDU, aveva riferito l’ambito della norma interpretativa anche alle pensioni maturate prima del 1.1.2007;

21. la natura realmente interpretativa della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488, è stata convincentemente correlata alla oggettiva ambiguità del testo della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 768, in punto di limiti dell’effetto sanante delle precedenti delibere, testimoniata dalla giurisprudenza non uniforme della Corte di cassazione;

22. si è anche osservato come fossero da escludere profili:

– di illegittimità costituzionale delle disposizioni introdotte a modifica dell’originaria formulazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che hanno delimitato nel tempo il potere regolamentare delle Casse professionali, alla luce degli obblighi di stabilità di bilancio incombenti sulla gestione della Cassa e del penetrante controllo pubblico amministrativo cui la stessa è soggetta (così, in motiv., tra le altre, Cass. n. 3462 del 2019, cit.);

– di pregiudizio al principio di adeguatezza e proporzionalità del trattamento pensionistico che deriverebbero da misure di contenimento della spesa pensionistica, in ragione dei principi espressi dalla Corte Costituzionale, tra le altre, con la sentenza n. 104 del 2018, proprio in materia di legittimità di meccanismi disincentivanti i trattamenti pensionistici anticipati, secondo cui “(…) nei rapporti di durata il trattamento differenziato, riservato a una determinata categoria di soggetti in momenti diversi nel tempo, non contrasta con il principio di eguaglianza. Spetta difatti alla discrezionalità del legislatore, nel rispetto del canone di ragionevolezza, delimitare la sfera temporale di applicazione delle norme e, da questa angolazione, il fluire del tempo può rappresentare un apprezzabile criterio distintivo nella disciplina delle situazioni giuridiche (sentenze n. 273 del 2011, punto 4.2. del Considerato in diritto, e n. 94 del 2009, punto 7.2. del Considerato in diritto) (…)”;

– di superamento dei limiti di ragionevolezza e proporzionalità (v. Cass. n. 3462 del 2019, cit.; Cass. n. 9746 del 2019, in motiv. p. 10);

23. all’obiezione secondo cui il nuovo regime del pro rata dovrebbe applicarsi solo alle pensioni erogate su contribuzione successiva al 1 gennaio 2007 o, comunque, non andrebbe applicato a chi aveva già maturato l’anzianità contributiva minima per ottenere la prestazione alla stessa data, si è richiamato il costante orientamento di questa Corte secondo cui la maturazione del diritto a pensione avviene “al verificarsi delle condizioni previste dalla presente legge”, e cioè al momento in cui non solo siano maturati (ovvero abbiano trovato attuazione) i presupposti giuridici e contributivi, ma “sia stata anche presentata la domanda di pensionamento dell’avente diritto”, costituente il presupposto base perché le favorevoli condizioni giuridiche e contributive assumano la veste di diritto alla prestazione che matura, pertanto, contestualmente alla proposizione della domanda (così in motiv., Cass. n. 3462 del 2019, cit.);

24. sulla base dei riportati esiti interpretativi, il ricorso va, dunque, accolto: il diritto del controricorrente è maturato in data 1.02.2007; pertanto, il trattamento pensionistico va liquidato, come nella specie pacificamente avvenuto, sulla base del Regolamento di disciplina del regime previdenziale della CNPADC, approvato con D.I. 14 luglio 2004 (quota reddituale con computo della media dei redditi degli ultimi 22 anni antecedenti la data del 1.1.2004);

25. la sentenza impugnata va, dunque, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, va rigettata l’originaria domanda proposta da S.R.;

26. quanto alle spese relative ai giudizi di merito, in ragione dell’incertezza della giurisprudenza e dei dubbi interpretativi che hanno sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite, sussistono motivi per compensarle integralmente;

27. le spese del giudizio di legittimità si liquidano, come in parte

dispositiva, in base al principio di soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda originaria. Compensa I e spese del giudizio di merito e condanna la parte controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

 

 

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