Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6132 del 05/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2021, (ud. 23/10/2020, dep. 05/03/2021), n.6132

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7242-2017 proposto da:

COMUNE DI SETTIMO TORINESE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CARLO ALBERTO, 18, presso lo studio dell’avvocato CARMELO COMEGNA,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA CITTA’ DELLA SALUTE E DELLA SCIENZA

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL POZZETTO 122,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO CARBONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato MICHELE GALASSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1213/2016 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 10/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/10/2020 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’azienda ospedaliera Città della Salute e della Scienza di (OMISSIS) impugnava, con atti distinti, gli avvisi di accertamento relativi ad Ici per gli anni di imposta 2006-2009, aventi ad oggetto un terreno edificabile sito nel Comune di Settimo Torinese, sul presupposto che esso fosse esente dall’Ici, in applicazione della L. n. 833 del 1978, art. 41, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, stante la natura inedificabile dell’area e in virtù di quanto concordato con il protocollo di intesa stipulato con il Comune; a fondamento dell’opposizione eccepiva altresì il difetto di instaurazione del contraddittorio e la violazione del principio dell’affidamento dello Statuto del contribuente, ex art. 10, chiedendo infine la disapplicazione delle sanzioni.

La CTP di Torino, riuniti i ricorsi, li respingeva.

Avverso tale sentenza la contribuente proponeva appello innanzi alla CTR del Piemonte, la quale, con sentenza n. 1213/3/16, depositata il 16.06.2016, respingeva i primi cinque motivi di gravame proposto dall’ente ospedaliero, accogliendo l’ultima censura relativa alle sanzioni e compensando le spese del giudizio.

L’amministrazione comunale propone ricorso per cassazione affidato ad un unico articolato motivo, illustrato nelle memorie difensive depositate in prossimità dell’udienza.

Resiste con controricorso e memorie di cui all’art. 378 c.p.c., la contribuente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con un unico motivo l’ente comunale denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 14, della L. n. 212 del 2000, art. 10, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6; nonchè la violazione del contratto e del Protocollo di intesa 20 febbraio 2008, art. 8, in relazione al R.D. n. 827 del 1924, art. 49, e Titolo secondo dei contratti; violazione dell’art. 1362 c.c. e ss; nonchè la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione alla statuizione sulla compensazione delle spese di lite.

In particolare, assume l’ente ricorrente che la CTR ha disapplicato le sanzioni su circostanze quali “la natura dell’ente contribuente e, l’evoluzione degli eventi, l’ambiguità del protocollo, l’esistenza di un accordo anteriore alla successiva variante del piano regolatore e la reciprocità dei vantaggi conseguiti nonchè le finalità perseguite di evidente interesse pubblico non consentono di sostenere sanzionabile l’appellante”. Circostanze che non escludono affatto la buona fede della contribuente, la quale era stata destinataria della comunicazione dell’obbligo di pagamento dell’Ici già nell’anno 2006 e ciò nonostante aveva omesso di presentare denuncia ai fini ICI, D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 14. Aggiunge ancora, l’amministrazione comunale, che non sono ravvisabili le circostanze esimenti di cui allo statuto del contribuente, art. 10, non ricorrendo l’ipotesi di affidamento del contribuente, nè la buona fede determinata dalla obiettiva incertezza sulla portata e l’ambito di applicazione della norma tributaria, non ricorrendo i presupposti di cui al D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 7, che esclude le sanzioni allorquando la violazione sia l’effetto di un errore di fatto, quando l’errore non è determinato da colpa.

Infine, rileva l’ente locale che la reciproca soccombenza avrebbe giustificato solo una parziale compensazione delle spese di lite, atteso che solo uno dei sei motivi di appello proposti dall’ente ospedaliero era stato accolto. Mancando il requisito della novità della questione trattata e del mutamento della giurisprudenza, la CTR dunque non avrebbe dovuto operare la compensazione delle spese di lite.

3. Il motivo relativo alla illegittima disapplicazione delle sanzioni è fondato.

Rileva il collegio che effettivamente la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che l’ambiguità dell’ultimo protocollo sottoscritto, nonchè l’esistenza di un precedente accordo e la reciprocità di vantaggi conseguiti non consentissero di ritenere sanzionabile l’appellante.

Ciò posto, va affermato che, come rettamente osservato dalla difesa dell’amministrazione comunale, le disposizioni che nell’ordinamento tributario danno rilevanza all’errore scusabile – non richiamate dalla Commissione regionale, ma ricostruibili in base all’evidenza – riferite agli istituti sanzionatori, sono il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6 comma 2, con cui il legislatore ha affermato la non punibilità ai fini del procedimento sanzionatorio amministrativo in materia tributaria di chi sia incorso in violazione determinata da “obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione” delle disposizioni cui le violazioni si riferiscono; la L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, più in generale, in cui si afferma al comma 3 che, in ossequio ai principi di collaborazione e tutela dell’affidamento previsti ai commi 1 (“i rapporti tra contribuente ed amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”) e 2 (“non sono irrogate sanzioni nè richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria…”) “le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta “specificando, tuttavia che “in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria”; infine, con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 (errore sulla norma tributaria), disposizione di natura processuale, il legislatore considera non applicabili le sanzioni – non penali – quando la violazione della norma tributaria è giustificata da “obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce”. Tali norme, intese quale presidio del principio di collaborazione e di buona fede al quale sono improntati rapporti tra contribuente amministrazione finanziaria, rilevano ai soli fini della non irrogazione delle sanzioni, restando invece dovuto il tributo. L’irrogazione di sanzioni infatti – in presenza di incertezza normativa oggettiva – si porrebbe, a differenza del permanere della debenza dei tributo, in stridente contrasto con detto principio. Solo per completezza può peraltro rilevarsi come l’applicazione delle predette disposizioni esonerative dalla sanzione in caso di errore scusabile sulla portate e sul campo di applicazione della norma tributaria presuppongono, come già affermato da questa corte, una condizione di dubbio non evitabile sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma stessa, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. nn. 3245 e 4522 del 2013; Cass. n. 18718/2018; n. 4047/2019).

Più precisamente, come si è già avuto modo di accennare, per i giudici della Corte, con la locuzione “incertezza normativa oggettiva” nel panorama del diritto tributario, si suole intendere l’impossibilità di definire con certezza ed in maniera univoca, al termine di un procedimento interpretativo corretto sotto il profilo metodologico, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile. Preme sottolineare che tale profilo deve essere tenuto ben distinto dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento compete esclusivamente al giudice, non potendo essere demandato all’Amministrazione), come si rileva dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, il quale opera un distinguo tra le due ipotesi, pur ricollegandovi i medesimi effetti.

Inoltre, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. Ciò va inteso nel senso della sufficienza della coscienza e della volontà, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di chi lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di aver agito senza colpa (Cass. 22890/2006; conf. 13068/2011; v. 4171/09, sulla non necessità di un intento fraudolento).

Mentre l’esimente della buona fede rileva solo se l’errore sia inevitabile, occorrendo che l’ignoranza dei presupposti dell’illecito sia incolpevole, cioè non superabile con l’uso della normale diligenza (Cass. n. 27890 del 31/10/2018; n. 5105 del 28/02/2017; n. 16422/2016; n. 537/2015).

3.1 Necessita qui evidenziare che secondo la giurisprudenza di codesta Corte, per l’accertamento della violazione del suddetto principio occorre che ricorrano specifiche condizioni, e cioè (citando proprio le massime della Corte): “In tema di legittimo affidamento del contribuente di fronte all’azione dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 2 (cd. Statuto del contribuente), che tale tutela ha voluto esplicitamente offrire, costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente;

b) dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono. Infatti, i casi di tutela espressamente enunciati dal cit. art. 10, comma 2 (attinenti all’area della irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi), riguardanti situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17576 del 10/12/2002). Nel caso di specie, la CTR non risulta avere evidenziato in alcun modo i presupposti di cui si è detto, atteso che l’ambiguità del protocollo di intesa, peraltro esclusa sotto altro profilo dal medesimo decidente al fine di respingere altra doglianza d’appello, come la natura dell’ente contribuente e la reciprocità di vantaggi conseguiti dagli accordi ovvero le finalità perseguite sono inidonee ad integrare l’errore scusabile sulla portata della normativa applicabile; mentre l’ambiguità del protocollo, art. 8 (le cui clausole risultano trascritte, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso), è esclusa dal contenuto dell’accordo che escludeva solo gli oneri per il periodo antecedente (e tra gli oneri comunque non sono annoverabili i tributi dovuti).

Del resto, la contribuente era stata resa edotta dal Comune dell’obbligo tributario a suo carico già nell’anno 2006, il che esclude la sussistenza di una condotta diligente.

A quanto detto si aggiunge che il Ministero dell’Economia e delle finanze, nella circolare n. 3DF/2012, ha ritenuto che si applichi la L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, che esclude l’applicazione di sanzioni e interessi nel caso in cui il contribuente si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorchè successivamente modificate, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere in seguito a fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni o errori dell’amministrazione stessa. Nella specie, invece, l’amministrazione aveva fornito chiare indicazioni sulla sussistenza degli obblighi tributari.

Non risulta ricorrere pertanto, la “buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo”, che è uno dei requisiti necessari ai fini dell’applicabilità di tale disposizione (Cass. n. 23309/2011; n. 537/2015; v. anche Cass. n. 29579/2018; n. 13482/2019, in motiv.).

4. La censura relativa alle spese resta assorbita dall’accoglimento del primo motivo e dalla cassazione della sentenza impugnata cui consegue il dovere di questa Corte di provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di merito (v. ex allis, Cass. n. 23985 del 26/09/2019). Competendo al giudice dell’impugnazione il potere – ove ciò sia imposto dal tenore della decisione relativa all’impugnazione principale – di statuire sulla decisione dipendente (anche se non colpita da impugnazione), alla stregua del principio di coerenza tra decisione su questione principale e i principi che regolano la distribuzione delle spese di lite.

5. In conclusione, il ricorso deve essere accolto; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., mediante il rigetto del ricorso originario della contribuente anche relativamente alla non debenza delle sanzioni.

In considerazione dei complessi e protratti rapporti tra l’amministrazione comunale e l’ente ospedaliero e tenuto conto dell’andamento del processo, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese del giudizio di merito.

Per il principio della soccombenza, le spese del presente giudizio vanno poste a carico della contribuente e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

– Accoglie il primo motivo ricorso, assorbita la censura relativa alla regolamentazione delle spese del secondo grado; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente anche relativamente alla non debenza delle sanzioni.

– compensa le spese del giudizio di merito;

– condanna l’ente ospedaliero alla refusione delle spese di lite sostenute dal Comune di Settimo Torinese che liquida in Euro 7.000,00, oltre rimborso forfettario ed accessori.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della quinta sezione della corte di cassazione, il 23 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021

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