Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6130 del 12/03/2010

Cassazione civile sez. III, 12/03/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 12/03/2010), n.6130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 1231/2009 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO

COLONNA 27 SC. B, presso lo studio dell’avvocato CIRIGLIANO DOMENICO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MUSACCHIO Giuseppe, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M.A., B.A., B.A.L.,

B.T.M., B. 14/A, presso lo studio dell’avvocato

PAFUNDI Gabriele, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LUIGI MELARANCIO, giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 212/2008 della CORTE D’APPELLO di POTENZA

dell’8/10/08, depositata il 16/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

è presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO

SCARDACCIONE.

La Corte, letti gli atti depositati.

 

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 2 gennaio 2009 S.A. ha chiesto la cassazione della sentenza, notificata il 5 novembre 2008, depositata in data 28 (rectius: 16) ottobre 2008 dalla Corte d’Appello di Potenza – Sezione Agraria – che, in riforma della sentenza del Tribunale, aveva dichiarato risolto il rapporto d’affitto agrario intercorso con B.M.A., B.A., B.A.L., B.T.M., B.U. e B.T.A., succeduti al contraente originario, e l’aveva condannata al rilascio del fondo.

2 – Con il primo motivo la ricorrente lamenta illogicità ed erroneità della motivazione per travisamento dei fatti. Assume che la Corte d’Appello ha ritenuto erroneamente che non avesse mai contestato la circostanza che il rapporto d’affitto agrario fosse iniziato prima dell’annata agraria 1939-1940, mentre dagli atti risultava il contrario.

La censura è inammissibile, poichè è pacifico, (confronta, per tutte, Cass. n. 17057 del 2007) che la denuncia di un errore di fatto, consistente nell’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ma di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

Le medesime considerazioni valgono per il quarto motivo, con il quale la ricorrente lamenta travisamento dei fatti, violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 7 e art. 1335 c.c.. La censura riguarda l’avviso di ricevimento della raccomandata che sarebbe stata ricevuta da altra persona non meglio identificata.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 416, 116 e 167 e 420 c.p.c..

E’ noto sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

Invece, al termine delle argomentazioni poste a sostegno della censura, la S. formula tre quesiti che hanno per oggetto la contestazione di fatti e di circostanze ma che peccano di astrattezza, in quanto prive dei necessari riferimenti al caso concreto e alla motivazione della sentenza impugnata.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., incompatibilità della motivazione con i principi regolanti il processo contumaciale, disparità di trattamento. Le argomentazioni a sostegno si rivelano generiche. Il quesito finale non postula l’enunciazione di un principio di diritto decisivo per il caso concreto e di applicabilità generalizzata, nè da ragione dell’asserito vizio motivazionale e implica valutazioni non consentite nel giudizio di legittimità.

3.- La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti;

Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie nè alcuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in Camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380 bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, di cui Euro 1.900,00 per onorali, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2010

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