Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 613 del 12/01/2017

Cassazione civile, sez. I, 12/01/2017, (ud. 30/11/2016, dep.12/01/2017),  n. 613

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6437-2011 proposto da:

N.S., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE P. DELLA MIRANDOLA 56-H, presso l’avvocato MASSIMO BRUNETTI,

che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BNP PARIBAS LEAS GROUP S.P.A. (GIA’ LOCAFIT S.P.A.), FALLIMENTO DITTA

(OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 27/2011 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 11/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato M. BRUNETTI che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il tribunale di Nocera Inferiore, con sentenza in data 25-2-2010, dichiarava il fallimento di (OMISSIS), titolare di ditta individuale corrente in (OMISSIS).

Il fallito proponeva reclamo eccependo la violazione del diritto al contraddittorio, perchè la notifica del decreto di convocazione ex art. 15 L. Fall. era avvenuta, ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ., con spedizione dell’avviso di deposito al distinto indirizzo di (OMISSIS).

Contestava in ogni caso anche lo stato di insolvenza.

In sede di reclamo, contumace la curatela, si costituiva il creditore istante Bnp Paribas Leas Group, già Locafit s.p.a., che aveva agito in forza di decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo e asseritamente non opposto.

La corte d’appello di Salerno rigettava il reclamo sottolineando che dalle informative assunte dalla guardia di finanza e dalle ulteriori dichiarazioni rese dal fallito al curatore, debitamente evidenziate dal creditore procedente con la comparsa di costituzione dell’1-7-2010, l’anomalia dei civici di residenza del debitore – nn. (OMISSIS) della via (OMISSIS) – si era rivelata indifferente, attesa la coincidenza di fatto dei due civici. Tale coincidenza, desumibile dalle stesse dichiarazioni rese dal N. al curatore, era rilevabile anche dall’anagrafe tributaria, in cui il debitore era risultato iscritto con indicazione di sede legale al n. (OMISSIS) e di residenza al n. (OMISSIS), dacchè la possibilità di dedurre dal contegno opportunistico del predetto l’intento di sfruttare l’equivoco a proprio vantaggio.

Ciò, ad avviso della corte d’appello, poteva riecheggiare la condizione della parte dedita a espedienti, vale a dire a condotte dilatorie consumate con animus dereliquendi, così da consentire anche il sacrificio delle garanzie di difesa nei casi in cui si fossero rese necessarie, per sopperire a tale elettiva condizione, indagini di lungo tempo.

In ordine al merito, la corte d’appello osservava che il debitore non aveva adempiuto all’onere della prova sul medesimo incombente, volta che l’accertamento del credito poteva in sede fallimentare avvenire incidentalmente.

Il credito, al di là della questione della avversata irrevocabilità del decreto ingiuntivo, non era stato specificamente contestato, e la vetustà e la rilevanza del medesimo, unitamente alla circostanza, pacificamente ammessa, dell’intervenuta cessazione sin dal 2006 di ogni attività di impresa, essendosi il fallito disfatto del compendio aziendale, deponevano per l’esistenza della condizione di insolvenza.

Avverso la sentenza, depositata l’11-1-2011 e notificata il 9-2-2011, il N. ha proposto ricorso per cassazione in quattro motivi.

Gli intimati non hanno svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente denunzia nell’ordine:

(i) col primo motivo, la violazione dell’art. 18 L. Fall. per avere la corte d’appello basato la decisione circa la coincidenza dei numeri civici sopra indicati su documenti tardivamente depositati dalla controparte;

(ii) col secondo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 140 cod. proc. civ. e L. n. 890 del 1982, art. 8, per non avere la sentenza tenuto conto della mancata attestazione delle ragioni dell’omessa consegna del plico nella cartolina concernente l’avviso di deposito presso la casa comunale;

(iii) col terzo motivo, l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza in ordine alla corretta consegna dell’atto giudiziario al civico (OMISSIS), anzichè al civico (OMISSIS);

(iv) infine, col quarto motivo, un analogo vizio di motivazione sulla mancanza di creditori ammessi al passivo del fallimento, quale prova dell’inesistenza dello stato di decozione.

2. – Il primo e il terzo motivo, connessi e suscettibili di unitario esame, vanno disattesi perchè in parte inammissibili e in parte comunque infondati.

3. – La corte d’appello ha accertato la “coincidenza di fatto esistente tra i due menzionati civici”.

Lo ha fatto indicando le circostanze probanti costituite (a) dall’essere risultata “al civico (OMISSIS) alloggiata anche la cassetta postale recante il numero civico (OMISSIS)”; (b) dall’avere lo stesso N. confermato al curatore (e agli altri componenti l’ufficio per la predisposizione dell’inventario) “la sostanziale indifferenza tra i due menzionati numeri civici”; (c) dall’essere stato rilevato dall’anagrafe tributaria che “il debitore risultava avere la propria sede legale al numero (OMISSIS) e la propria residenza al n. (OMISSIS)”.

Ne ha tratto il convincimento di un contegno opportunistico dell’imprenditore individuale, volto a sfruttare ogni equivoco a proprio vantaggio.

4. – E’ da osservare che nel ricorso non si rinvengono affermazioni tese a contrastare la circostanza della coincidenza di fatto tra i numeri civici suddetti, ma si assume che essa sia stata desunta da documentazione depositata dalla controparte tardivamente costituita, stante che la costituzione era avvenuta il 2-7-2010, in rapporto all’udienza fissata, dinanzi al giudice d’appello, per il giorno 8-7-2010.

Un tale rilievo è però inesatto, in quanto dalla sentenza si apprende che le dette circostanze erano da desumere “tanto all’esito delle informative assunte dalla GdF che a seguito delle ulteriori dichiarazioni rese dallo stesso fallito al curatore”. La sentenza, in particolare, ha sottolineato non che le circostanze erano emerse da documenti depositati da controparte, ma che erano state (solo) “debitamente evidenziate dal creditore procedente nella comparsa di costituzione in data 1-7-2010”.

Ne consegue che l’assunto fondamentale, da cui le censure sono avvinte, vale a dire che era stato il creditore istante tardivamente costituito a produrre la documentazione di riferimento, si basa su una lettura distorta della decisione di merito, e resta in ogni caso assertorio.

5. – Giuridicamente errata è poi la tesi implicitamente sostenuta a fondamento della censura nel suo complesso. Nella specie si discuteva della verifica della regolare convocazione del debitore dinanzi al giudice del fallimento. Regolare convocazione che il reclamante aveva messo in dubbio.

E’ risolutivo che una simile verifica spettava alla corte d’appello in virtù dei poteri officiosi di indagine attinenti alla rituale instaurazione del contraddittorio, alla luce degli atti risultanti dal fascicolo fallimentare.

Questa corte ha chiarito che in linea generale non si applicano al procedimento di cui all’art. 18 L. Fall. i limiti previsti, in tema di appello, dagli artt. 342 e 345 cod. proc. civ., pur attenendo il reclamo a un provvedimento decisorio. In particolare l’art. 18, comma 10, prevedendo che “all’udienza, il collegio, sentite le parti, assume, anche d’ufficio, nel rispetto del contraddittorio, tutti i mezzi di prova che ritiene necessari, eventualmente delegando un suo componente”, conferma che nella materia fallimentare residua comunque un ampio potere di indagine officioso in capo all’organo giudicante. E va puntualizzato che sia la corte costituzionale (con la sent. n. 198-09), sia questa corte suprema (v. per tutte Sez. 1- n. 22546-10; Sez. 6-1 n. 9174-12; Sez. 1- n. 6306-14) hanno fin qui individuato un sicuro fondamento del principio non solo nella previsione contenuta nell’art. 15 L. Fall. (là dove è esplicitamente contemplato il potere di chiedere informazioni urgenti, evidentemente tramite appositi organi pubblici, con riguardo alla materia del contendere), o in quella di cui all’art. 18 citato, ma anche nel sistema complessivamente delineato dall’art. 1 della stessa legge, che, nel riferimento alla verifica dell’ammontare dei ricavi lordi realizzati dal debitore nel triennio antecedente alla data di deposito della istanza di fallimento, valorizza il dato in “qualunque modo risulti”.

Se dunque le valutazioni rimesse al giudice fallimentare non sono affatto limitate dalle iniziative probatorie del debitore o delle altre parti per verificare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge dal punto di vista sostanziale, ciò a maggior ragione vale per le verifiche di ordine processuale, relative alle modalità di instaurazione del contraddittorio, ordinariamente rientranti nel novero degli accertamenti d’ufficio.

6. – Il secondo motivo è inammissibile per novità, posto che dalla sentenza non risulta che il reclamante abbia affidato i propri assunti alla mancanza di attestazione, ai fini della validità del procedimento notificatorio ex art. 140 cod. proc. civ., delle ragioni dell’omessa consegna del plico.

Il ricorso non soddisfa il fine di autosufficienza onde superare il rilievo di novità della questione, non essendo stato riportato l’effettivo specifico contenuto dell’atto contenente il reclamo (nella parte che rileva).

7. Il quarto motivo di ricorso è egualmente inammissibile, non essendo incentrato su un fatto decisivo.

Può osservarsi che la corte d’appello ha esplicitamente affermato che il debito, di cui al decreto ingiuntivo, non era stato specificamente contestato e che il debitore si era poi disfatto dell’intero compendio aziendale, così escludendosi dal libero mercato e ponendosi in condizione di effettiva impotenza economica.

Codesta sottolineatura non è stata censurata.

Ne consegue che è del tutto irrilevante, onde valutare la condizione di insolvenza, che nessun altro creditore fosse stato ammesso al passivo del fallimento.

Spese alla soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 8.200″ di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2017

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