Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6128 del 05/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 05/03/2021), n.6128

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1897/2013 R.G. proposto da:

S.Z. & C. S.N.C. in liquidazione, in persona del

liquidatore, S.Z., SA.AN.MA., rappresentati e

difesi dall’Avv. Domenico Cancilla Midossi ed elettivamente

domiciliati presso il suo studio in Roma, piazza Cola di Rienzo n.

68;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, in via dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 75/17/12 della Commissione tributaria

regionale della Toscana depositata il 9 maggio 2012 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 22 ottobre 2020

dal Consigliere Dott.ssa Laura Mancini.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza depositata in data 9 maggio 2012 la Commissione tributaria regionale della Toscana confermò la pronuncia con la quale la Commissione tributaria di primo grado aveva rigettato, dopo averli riuniti, i ricorsi proposti dalla società S.Z. & C. s.n.c. e dai soci S.Z. ed Sa.An.Ma., avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle entrate aveva rettificato il reddito della società ai fini IRAP ed IVA e quello dei soci ai fini IRPEF per l’anno di imposta 2005, in ragione del maggior prezzo presuntivamente conseguito dalla società dalla cessione di un immobile ai predetti soci.

Secondo l’Agenzia delle entrate, l’atto con il quale nel 2005 la S.Z. & C. s.n.c. aveva venduto l’immobile ai coniugi S. e Sa. non costituiva una regolare vendita, bensì un’assegnazione ai soci rilevante ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 85. Per tale ragione l’Ufficio aveva rettificato il relativo prezzo di cessione sulla base delle quotazioni OMI risultanti dalla perizia di parte elaborata dall’Agenzia del Territorio, così rilevando una plusvalenza da assoggettare ad imposta.

Ad avviso dei giudici d’appello dall’accertamento era emerso che l’immobile ceduto ai soci aveva un valore di Euro 275.888,00, superiore al doppio di quello dichiarato e al triplo del costo di costruzione, nè i contribuenti ne avevano dimostrato uno diverso. Inoltre, l’accertamento era stato eseguito anteriormente al 15 luglio 2009, data di entrata in vigore della legge comunitaria, con la conseguenza che, al momento dell’atto traslativo, “era del tutto valida la presunzione legale di maggior valore tra quanto dichiarato e il valore normale OMI determinato dall’Ufficio (DL 223/2006)”.

3. Contro tale pronuncia la società e i soci propongono ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate. La società ricorrente deposita memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione della L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, comma 4, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè difetto di motivazione.

Si lamenta, in particolare, che la Commissione tributaria regionale ha errato nell’escludere l’operatività, nel caso di specie, delle modifiche normative introdotte dalla L. n. 88 del 2009, citato art. 24 – comportanti l’abrogazione delle disposizioni introdotte dal D.P.R. n. 633 del 1972, artt 54, comma 3, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), dal D.L. n. 223 del 2006 e, dunque, il venir meno delle presunzioni legali di maggior valore tra quanto dichiarato e il valore normale OMI determinato dall’Ufficio, previste dal medesimo decreto-legge – in ragione del solo fatto che l’avviso di accertamento fosse stato emesso anteriormente alla sua entrata in vigore.

Per contro, ad avviso dei ricorrenti, stante l’efficacia retroattiva della ridetta legge comunitaria per il 2008, non era possibile procedere all’accertamento sulla base degli scostamenti tra il corrispettivo dichiarato per la cessione dei beni immobili e il relativo valore normale desunto dalle quotazioni OMI.

1.1. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione del D.L. n. 233 del 2006, art. 15, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Assumono i ricorrenti che, contrariamente a quanto opinato dalla Commissione tributaria regionale, la L. n. 88 del 2009 ha ripristinato retroattivamente il quadro normativo anteriore alla sua entrata in vigore e, in particolare, il D.L. n. 41 del 1995, art. 15, comma 1, a mente del quale “ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto non si procede a rettifica del corrispettivo delle cessioni di fabbricati classificati o classificabili nei gruppi A, B e C, salvo che dà atto o documento il corrispettivo risulti di maggiore ammontare, se lo stesso è indicato nell’atto in misura non inferiore al valore determinato ai sensi del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 4”.

1.2. Con il terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.L. n. 233 del 2006, art. 35 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè il difetto di motivazione in relazione a fatti decisivi della controversia.

Assume parte ricorrente che le disposizioni tributarie del D.L. n. 233 del 2006 non possono, nella specie, trovare applicazione per il solo fatto che l’operazione di compravendita è stata effettuata anteriormente dell’entrata in vigore di tale decreto-legge. Difatti, la L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265, (legge finanziaria per il 2008) ha stabilito, con norma di interpretazione autentica come si desume dall’inciso “in deroga alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2” – che, per gli atti formati anteriormente al 4 luglio 2006, deve intendersi che le presunzioni di cui al D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, commi 2, 3 e 23-bis, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, valgano, agli effetti tributari, come presunzioni semplici. Di conseguenza, all’epoca dei fatti, non operando la presunzione legale, lo scostamento dei corrispettivi dichiarati rispetto al loro valore non era sufficiente a giustificare e motivare l’accertamento.

1.3. Con il quarto mezzo si deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 dell’art. 2727 c.c. e dell’art. 115 c.p.c..

Secondo i ricorrenti, la perizia dell’Agenzia del Territorio utilizzata dall’Amministrazione finanziaria non avrebbe potuto essere posta a base della decisione in ragione della sua imprecisione, rilevata dagli stessi giudici d’appello.

1.4. Con il quinto motivo si lamenta “omessa ed insufficiente motivazione in relazione a questioni di fatto decisive ai fini della risoluzione della controversia e riconducibili al concetto di economicità e perseguimento del profitto”.

Secondo la prospettazione di parte ricorrente, i giudici di secondo grado non solo non hanno risposto alle doglianze formulate con l’appello, ma hanno ritenuto, senza alcun fondamento logico-giuridico, che la società S.Z. & C. s.n.c., costituita nel 1985, fosse stata costituita con il preciso scopo di acquistare o realizzare dopo venti anni l’immobile di Sovicille di cui si controverte.

2. La difesa erariale ha replicato alle suindicate censure evidenziando come le stesse muovano dall’erroneo assunto per cui l’Amministrazione finanziaria avrebbe rettificato il corrispettivo dichiarato nella compravendita immobiliare in questione applicando i valori OMI, laddove, al contrario, l’accertamento fiscale è consistito nella riqualificazione della compravendita immobiliare conclusa con i soci in termini di assegnazione di beni strumentali ai soci dell’impresa collettiva, con conseguente applicazione del D.Lgs. n. 917 del 1986, art. 85, comma 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13.

Di conseguenza, ad avviso dell’Agenzia delle entrate, le censure avversarie riguardanti la questione dell’inapplicabilità retroattiva della novella del D.L. n. 223 del 2006, art. 35 introdotta dalla legge comunitaria per il 2008 risultano inconferenti, giacchè il valore dell’immobile ceduto ai soci non è stato determinato esclusivamente con riferimento ai valori dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare, essendo la stima effettuata dall’Agenzia del Territorio scaturita da una pluralità di elementi di verifica, tra cui il sopralluogo effettuato presso l’immobile, l’assunzione di informazioni presso uffici tecnici comunali, la comparazione del valore delle due unità immobiliari componenti il medesimo fabbricato, la comparazione delle stesse, oltre che con i prezzi unitari risultanti dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare, anche con i prezzi risultanti da alcuni atti traslativi relativi ad edifici posti nella medesima località di quello in questione.

2.1. Con la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. i ricorrenti hanno contrastato le suindicate difese formulando, altresì, doglianze in merito alla violazione, con riferimento all’accertamento mediante studi di settore, della L. n. 146 del 1998, art. 10 per omessa instaurazione del contraddittorio, nonchè all’infondatezza della pretesa tributaria per violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies e chiedendo a questa Corte di dichiarare “la nullità dell’avviso di accertamento per le ragioni addotte sia nei precedenti ricorsi che in quello in esame”, sulla scorta del principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 9936 del 2014, secondo il quale “in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost., la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre”.

Parte ricorrente ha, inoltre, evidenziato l’illegittima applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 85, comma 2, e l’errato impiego, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dei valori OMI, oltre che l’insussistenza delle presunzioni semplici dalla stessa valorizzate.

Ancora, sono stati svolti rilievi critici sulla comparazione con i prezzi praticati in altri atti traslativi di immobili siti nella stessa località (il Borgo di Sovicille), sulla riqualificazione del contratto di compravendita operata dall’Agenzia delle entrate, reputata impropria perchè basata sull’errata interpretazione della definizione giuridica di assegnazione di beni ai soci ai sensi del D.P.R. n. 617 del 1986, art. 47, comma 7, della L. n. 296 del 2006 e della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 1, punto c).

I ricorrenti hanno, poi, contestato l’illegittima applicazione, da parte dell’Amministrazione, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 come novellato dalla L. n. 88 del 2009.

Infine, hanno lamentato l’omesso esame, da parte della Commissione tributaria regionale della Toscana, degli errori della perizia dell’Agenzia del Territorio evidenziati nel ricorso in appello, ricordando il principio enunciato da questa Corte (Cass., n. 28113 del 2013) secondo il quale è nulla per carenza assoluta di motivazione la sentenza tributaria d’appello che non esponga le ragioni di rigetto delle censure dell’appellante rendendo impossibile individuare gli argomenti a fondamento del dispositivo.

2.1. Le critiche riguardanti l’accertamento mediante studio di settore sono inammissibili in quanto prospettano ulteriori motivi di impugnazione, rispetto a quelli illustrati nel ricorso, pur essendo state formulate per la prima volta nella memoria di cui all’art. 380-bis.1 c.p.c., la cui funzione è soltanto quella di illustrare le censure già proposte (ex multis, Cass. Sez. 2, n. 24007 del 12/10/2017; Cass. Sez. 1, n. 26332 del 20/12/2016; Sez. U, n. 11097 del 15/5/2006).

3. Il primo motivo di ricorso è fondato.

Dalla motivazione della pronuncia gravata emerge che i giudici d’appello hanno ritenuto legittimo l’accertamento fondato sullo scostamento tra il corrispettivo dichiarato negli atti di compravendita e il valore normale presunto sulla base delle quotazioni dell’O.M.I., sul presupposto che nel caso di specie non potessero trovare applicazione le modifiche delle disposizioni citate apportate dalla legge comunitaria per il 2008 e, in particolare, l’eliminazione della presunzione legale di maggior valore tra quanto dichiarato e il valore normale O.M.I. determinato dall’Ufficio ai sensi del D.L. n. 223 del 2006.

Come più volte evidenziato da questa Corte, la L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, (legge comunitaria 2008), ha modificato del D.P.R. n. 600 del 1973, l’art. 39 (così come il D.P.R. n. 633 del 1972, omologo art. 54 in materia di IVA), eliminando le disposizioni introdotte dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35 convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248. Tanto è avvenuto a seguito del parere motivato reso il 19 marzo 2009 dalla Commissione Europea, la quale, nell’ambito del procedimento di infrazione n. 2007/4575, aveva rilevato l’incompatibilità – con specifico riferimento all’IVA, ma con valutazione ritenuta estensibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette – di tali disposizioni con il diritto comunitario. E’ stato, così, ripristinato il quadro normativo anteriore al luglio 2006, sopprimendosi la presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, con la conseguenza che tutto è tornato ad essere rimesso alla valutazione del giudice, il quale può, in generale, desumere l’esistenza di attività non dichiarate “anche sulla base di presunzioni semplici, purchè siano gravi, precise e concordanti”; e ciò con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto comunitario (in questi termini Cass. Sez. 5, 12/4/2017, n. 9474; in senso conforme si vedano anche Cass. Sez. 5, ord. 25/1/2019, n. 2155; Cass. Sez. 5, 21/12/2016, n. 26487; Cass. Sez. 5, 26/9/2014, n. 20419; Cass. Sez. 5, n. 26487/2016; Cass. Sez. 5, n. 24054/2014; Cass. Sez. 5, ord. n. 11439/2018).

3.1. Occorre, inoltre, precisare, sulla scorta delle indicazioni offerte da questa Corte (v. Cass. Sez. 5, ord. 4/4/2019, n. 9453, le cui argomentazioni, che si condividono, sono di seguito richiamate), che la L. n. 88 del 2009, riformulando del D.P.R. n. 633 del 1972, l’art. 54, comma 3, ha eliminato, ai fini IVA, la stima basata sul valore normale nelle transazioni immobiliari (art. 24, comma 4); e riscrivendo anche del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, il comma 1, ha eliminato anche per le imposte dirette tale metodo estimativo (art. 24, comma 5), ovverosia, ha “cancellato” ciò che era stato aggiunto dal D.L. n. 223 del 2006.

Non di meno, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti a sostegno del secondo motivo di ricorso – che va, pertanto, rigettato – la stessa legge non ha ripristinato la disposizione contenuta nel D.L. n. 41 del 1995, art. 15 (espressamente abrogata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 4), con riguardo sia al valore catastale, sia al riferimento ad “atti e documenti”.

D’altronde, come chiarito dalla richiamata giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 5, n. 9453 del 2019, cit.), sulla scorta dell’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 13 del 12/1/2012), la reviviscenza di una norma abrogata è ammessa soltanto nell’ipotesi di abrogazione legislativa di norma meramente abrogatrice o di illegittimità di norma espressamente abrogatrice, ipotesi, entrambe, diverse da quella di specie.

Per contro, la novella del 2009, con effetto retroattivo – stante la finalità di adeguamento dell’ordinamento tributario interno a quello comunitario -, ha eliminato la stima basata sul valore normale delle transazioni immobiliari, così che la prova dell’esistenza di attività non dichiarate, derivanti da cessioni di immobili, può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, secondo gli ordinari criteri di accertamento analitico-induttivo (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 39), laddove vi sia stata verifica fiscale (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2).

3.2. Tanto premesso, la sentenza gravata, pur facendo riferimento, tanto nell’esordio, quanto nel primo capoverso della motivazione, al costo di costruzione dell’immobile e alla perizia estimativa utilizzata dall’Ufficio, finisce per attribuire portata decisiva all’applicabilità, alla fattispecie in esame, della presunzione legale relativa “di maggior valore tra quanto dichiarato e il valore normale OMI determinato dall’Ufficio (D.L. n. 223 del 2006)”, nell’erroneo convincimento che la successiva disciplina abrogatrice della medesima presunzione legale non avesse carattere retroattivo.

In questo modo la Commissione tributaria regionale non si è conformata alle richiamate indicazioni interpretative fornite da questa Corte, secondo le quali il giudice di merito deve attribuire rilevanza a tutti gli elementi logici, circostanziali e statistici addotti dall’Amministrazione finanziaria, dovendosi fondare il giudizio estimativo in stretto rapporto con il materiale probatorio (Cass. Sez. 5, n. 9453/2019, cit.).

Tanto giustifica la cassazione della sentenza impugnata nei termini di cui in motivazione e il rinvio per nuovo esame alla Commissione tributaria della Toscana, dovendo i restanti motivi ritenersi assorbiti.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021

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