Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6125 del 24/02/2022
Cassazione civile sez. lav., 24/02/2022, (ud. 03/11/2021, dep. 24/02/2022), n.6125
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. DI PAOLA Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23914-2018 proposto da:
CONSORZIO AUTOSTRADE SICILIANE, in persona del legale rappresentante
pro tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA
CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e
difeso dall’avvocato CARMELO MATAFU’;
– ricorrente –
contro
A.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA
CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e
difeso dall’avvocato GIUSEPPE VASSALLO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 133/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,
depositata il 20/03/2018 R.G.N. 261/2012;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
03/11/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI DI PAOLA.
Fatto
RILEVATO
che:
con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia del Tribunale di Messina, è stato dichiarato il diritto di A.G. alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori, con conseguente condanna del “Consorzio Autostrade Siciliane” (da ora anche “Consorzio”), alle cui dipendenze prestava servizio dal 1973, al pagamento delle somme corrispondenti – calcolate sulla base del c.c.n.l. del personale autostrade e trafori applicato dal Consorzio fino al 2010 -, pari ad Euro 15.159,71, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria sui ratei, salva applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso il Consorzio, affidato ad un motivo;
A.G. ha resistito con controricorso;
il P.G. non ha formulato richieste.
Diritto
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo il ricorrente – denunciando violazione della L.R. Sicilia n. 10 del 2000, art. 24, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, n. 3, e del predetto D.Lgs., art. 40 e ss., nonché falsa applicazione dell’art. 2126 c.c., e dell’art. 36 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – si duole che il giudice di appello abbia ritenuto la sussistenza del diritto del lavoratore alla retribuzione commisurata alle mansioni superiori previste dal contratto collettivo di diritto comune – pur riconosciuto inapplicabile al Consorzio, ente pubblico non economico – sulla base della affermata operatività, nel caso, dell’art. 2126 c.c., in ragione della violazione della norma imperativa contemplante l’obbligatoria applicabilità del contratto collettivo regionale (ossia il c.c.r.l. sottoscritto dall’Aran in forza della citata L.R. Sicilia).
Ritenuto che:
il motivo va dichiarato inammissibile, poiché la censura viola il requisito di specificità del motivo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, secondo quanto già ritenuto, in relazione a vicende analoghe, da Cass. 11/03/2021, n. 6914, Cass. 3/02/2021, n. 2484, Cass. 3/02/2021, n. 2483, ed altre ancora precedenti;
secondo costante giurisprudenza (cfr., tra le più recenti, Cass. 5/08/2020, n. 16700), il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità;
nel caso in esame, la “ratio decidendi”, sottesa alla soluzione adottata dalla sentenza impugnata, muove da un duplice assunto; il primo (di fatto) è la presa d’atto che il Consorzio, tardando a dare attuazione alla L.R. n. 10 del 2000, aveva di fatto prorogato l’applicazione del c.c.n.l. del personale autostrade e trafori anziché dare applicazione al c.c.r.l., come avrebbe dovuto; l’altro (di diritto) è quello contenuto nel passaggio in cui viene richiamata la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 2833 del 2001 – secondo cui, in caso di recupero derivante dall’annullamento di un inquadramento illegittimo di un proprio dipendente, la Pubblica Amministrazione deve tenere conto del principio di corrispettività delle prestazioni di lavoro subordinato “medio tempore” espletate e non deve procedere alla ripetizione in caso di mansioni effettivamente svolte -, traendone argomento per ritenere che, una volta sussunta la fattispecie nella disposizione di cui all’art. 2126 c.c., il principio di corrispettività, unitamente a quello di effettività, valesse a ritenere fondata la pretesa del dipendente di vedere applicato il contratto collettivo che regolava di fatto il rapporto di lavoro nel periodo dedotto in giudizio. Con tale ragionamento la Corte di appello ha altresì implicitamente ritenuto inapplicabili retroattivamente le tabelle di equiparazione riguardanti il raffronto tra i profili professionali del personale dipendente del Consorzio e quelli del personale dipendente della Regione Siciliana, le quali solo più tardi avrebbero trovato recepimento per effetto della Delib. della Giunta regionale siciliana 18 febbraio 2015, n. 26;
nessuno dei profili teste’ illustrati, posti a fondamento del “decisum”, è stato preso in esame e vagliato dal Consorzio, il quale, argomentando unicamente sul fatto che la Corte di appello avrebbe dovuto dare applicazione ad un contratto collettivo diverso da quello che lo stesso Consorzio aveva di fatto applicato, non ha neppure chiarito le ragioni dell’ambiguo comportamento tenuto dal medesimo Ente, che in giudizio ha sostenuto una tesi in contrasto con la condotta dallo stesso tenuta all’epoca dei fatti;
le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Consorzio ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso
art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022