Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6125 del 05/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2021, (ud. 29/09/2020, dep. 05/03/2021), n.6125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI P. – rel. Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10987/2014 R.G. proposto da:

ESSEPI IMMOBILIARE S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Lai, con domicilio eletto

presso lo studio dell’Avv. Daniela Manca-Bitti in Roma via Luigi

Luciani n. 1;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sardegna, n. 123/1/2013 depositata il 21 ottobre 2013, non

notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 29 settembre

2020 dal consigliere Pierpaolo Gori.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sardegna veniva rigettato l’appello proposto dalla società Essepi Immobiliare S.r.l. avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Cagliari n. 149/2/2011 che, a sua volta, aveva riunito e respinto i ricorsi della contribuente aventi ad oggetto due avvisi di accertamento IVA, IRES, IRAP per gli anni di imposta 2003 e 2004, con cui erano stati determinati maggiori redditi rispetto a determinati contratti di compravendita immobiliare.

– La sentenza della CTR confermava l’iter argomentativo del giudice di primo grado, ritenendo dimostrata la prospettazione dell’Agenzia quanto al comportamento antieconomico della contribuente, nella sua attività di vendita di immobili ad uso abitativo da lei stessa edificati, avuto anche riguardo per i prezzi inferiori a quelli dalla stessa società dichiarati per immobili analoghi in altri rogiti, e per la notevole differenza tra i prezzi dichiarati e gli importi mutuati dagli acquirenti garantiti da ipoteca immobiliare sui cespiti.

– Avverso la decisione propone ricorso la contribuente, affidato a quattro motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la contribuente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 4 del 1929, art. 24 e della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 e, per l’effetto, la nullità della sentenza in quanto gli avvisi di accertamento impugnati sarebbero stati emessi senza che, al termine delle operazioni di controllo, venisse redatto alcun verbale di constatazione e senza rendere la contribuente edotta dei fatti addebitati e delle violazioni contestate, rilevanti sotto il profilo impositivo. La censura, oggetto dei ricorsi originari e riproposta in appello è stata dismessa dalla CTR sulla scorta del fatto che si era trattato non di accessi finalizzati alla acquisizione della documentazione, ma di esibizione di documenti da parte della contribuente su richiesta dell’Agenzia e, dunque, di un c.d. “accertamento a tavolino”. Inoltre, la conoscenza delle contestazioni da parte della contribuente le aveva permesso di instaurare il contraddittorio finalizzato all’adesione, non andata a buon fine.

– Il motivo è infondato. Va premesso che non è revocato in dubbio dalla ricorrente il fatto che l’accertamento in questione sia di tipo analitico-induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d) incentrato su di una pluralità di elementi probatori, in particolare rantieconomicità” della gestione aziendale. La fattispecie dev’essere dunque sussunta nella disciplina generale in materia di contraddittorio endoprocedimentale preventivo dettata dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, governata dall’autorevole interpretazione datane dalle sentenze delle Sez. UU, n. 24823 del 09/12/2015 e n. 18184 del 29/07/2013. Il precipitato di tali principi giurisprudenziali è nel senso che va escluso un obbligo generalizzato e indiscriminato di contraddittorio endo-procedimentale nel caso di controlli a tavolino.

– Nella fattispecie pacificamente non vi è stato un accesso, neppure istantaneo per ciascun atto di imposta, ma, rispettivamente, in data 10.12.2008 per l’anno di imposta 2003 e in data 10.4.2008 per l’anno di imposta 2004, a seguito di richiesta di esibizione la contribuente ha spontaneamente consegnato all’Amministrazione la documentazione richiestale. Dunque, i controlli in questione sono stati “a tavolino” e, conseguentemente, non trova applicazione l’art. 12, comma 7 dello Statuto, dal momento che la Corte ha già chiarito anche di recente come “Il termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo” (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 1497 del 23/01/2020, Rv. 656674 – 01).

– E’ contrario alla giurisprudenza di questa Corte il principio, prospettato dal contribuente, secondo il quale sarebbe sempre necessaria la notifica di un processo verbale di constatazione anteriormente alla notifica di un avviso di accertamento. Infatti, va ribadito che “In materia di garanzie del soggetto sottoposto a verifiche fiscali, il processo verbale redatto ai sensi della L. n. 4 del 1929, art. 24 deve attestare le operazioni compiute dall’Amministrazione, sicchè, nel caso di accesso mirato all’acquisizione di documentazione fiscale, è sufficiente l’indicazione, in esso, dei documenti prelevati, ferma restando la decorrenza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, dal rilascio di copia del predetto verbale, senza che sia necessaria l’adozione di un’ulteriore verbale di contestazione delle violazioni successivamente riscontrate” (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 12094 dell’08/05/2019, Rv. 653852 – 01).

– Per quanto riguarda la ripresa per il tributo armonizzato, questa Corte ha invece affermato che, anche al di fuori della triplice ipotesi dell’accesso, ispezione e verifica e, più in generale, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa, come nel caso di accertamenti a tavolino, avuto riguardo per la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non può essere esclusa la necessità del contraddittorio endoprocedimentale e, a tal fine, dev’essere effettuata la prova di “resistenza”, ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio (Cass. Sez. Un., n. 24823 del 09/12/2015; Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 701 del 15/01/2019, Rv. 652456 – 01). Per la ripresa IVA dunque anche nella presente fattispecie va in linea di principio operata la c.d. “prova di resistenza”, tuttavia, conformemente alla giurisprudenza delle Sezioni unite richiamate, la contribuente ha un preciso onere di sostanziare la propria prospettazione, indicando quali elementi in fatto avrebbe potuto far valere nella fase endo-procedimentale in relazione alle riprese e le sia stato impedito di fare, adempimento del tutto omesso dalla contribuente nel caso di specie.

– Con il secondo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la contribuente deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 con conseguente nullità della sentenza e del procedimento in violazione del carattere devolutivo pieno dell’appello, non limitato ad una valutazione della congruità e della legittimità della sentenza di primo grado come ritenuto dalla CTR.

– Il motivo è infondato. La censura si appunta, all’interno dell’ampia e argomentata motivazione della sentenza impugnata, su di un capoverso in cui il giudice d’appello afferma, ad abundantiam, che “In ogni caso non possono essere in discussione i motivi del ricorso in primo grado, ma questi possono venire in considerazione solo attraverso a critiche alla sentenza di primo grado, perchè (…)”. Si tratta di un’affermazione assolutamente condivisibile e che non pone in dubbio il carattere devolutivo dell’appello, ma si limita a riaffermare il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

– Con il terzo e il quarto motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (e, ove ritenuto ammissibile, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ai fini dell’omessa e insufficiente motivazione, come si legge alle pagg.29 e 30 del ricorso) – la contribuente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte della CTR per “la totale assenza di qualsiasi riferimento ad un numero consistente di censure sollevate e di argomentazioni svolte nell’atto di appello”, in particolare la “nullità dell’accertamento per difetto di riscontro probatorio” (cfr. pp.23 e 28 ricorso), l'”omessa istruttoria e l’omessa e/o insufficiente pronuncia su specifiche questioni (in fatto e in diritto) rispetto alle quali il giudice d’appello si è limitato ad avvallare e riportare pedissequamente quanto deciso dalla CTP” (cfr. p.26 ricorso), “omettendo di menzionare e quindi di esaminare gli altri rilievi e circostanze logicamente incompatibili con la decisione adottata” (cfr. p.32 ricorso) quanto ai valori/mq e alla presunzione basata sui mutui.

– I motivi possono essere affrontati congiuntamente in quanto articolati secondo una medesima logica, e presentano profili di inammissibilità e di infondatezza. Quanto alle deduzioni di omessa e insufficiente motivazione, la Corte rammenta che il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, ha riformato il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e si applica nei confronti di ogni sentenza pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e, dunque, dall’11 settembre 2012. La novella trova pertanto applicazione nella fattispecie, in cui la sentenza impugnata è stata depositata il 13 dicembre 2012 e, nel testo applicabile, il vizio motivazionale deve essere dedotto censurando l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” e non più l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, come precedentemente previsto dal “vecchio” n. 5, con conseguente inammissibilità della parte del motivo di ricorso che non ha tenuto conto del mutato quadro normativo processuale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 2014), deducendo l’insufficienza e l’omissione della motivazione.

– Per il resto, i motivi sono infondati. Si reitera che “L’eccezione in senso stretto, la cui proposizione per la prima volta in appello è vietata dalla norma, consiste nella deduzione di un fatto impeditivo o estintivo del diritto vantato dalla controparte, laddove è mera difesa, come tale consentita, la contestazione dei fatti posti dall’altra parte a fondamento del suo diritto (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che, a fronte della domanda di retratto successorio, integrasse una mera difesa e non un’eccezione in senso stretto la contestazione, formulata in appello, secondo cui la domanda proposta mancasse del presupposto necessario, consistente nella dichiarazione personale della parte di voler riscattare i beni venduti, risolvendosi tale contestazione nel negare una delle condizioni richieste dalla legge ai fini dell’accoglimento della domanda).” (Sez. 2 -, Sentenza n. 14515 del 28/05/2019, Rv. 654080 – 01). Inoltre, si ribadisce che la contestazione circa il difetto di prova, non configura un’eccezione in senso stretto bensì una mera difesa, in quanto volta a contestare un presupposto di fondatezza della domanda (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15211 del 19/07/2005; conforme Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23796 del 01/10/2018; Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 14515 del 28/05/2019). Nel caso di specie, il grappolo di argomentazioni oggetto del presente motivo non costituiscono fatto modificativo o estintivo di alcun diritto, ma sono dirette a negare la prova della fondatezza della domanda dell’erario. Pertanto, non essendo eccezioni, i motivi che lamentano una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ai fini dell’art. 112 c.p.c. sono fuori bersaglio.

In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono la soccombenza, regolate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 5.600,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021

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