Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6124 del 09/03/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. VI, 09/03/2017, (ud. 25/01/2017, dep.09/03/2017),  n. 6124

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16856-2015 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., ((OMISSIS)), – società con socio unico – in

persona dell’Amministratore Delegato e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-13, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIANTURCO 1,

presso lo studio dell’avvocato MARIA CRISTINA LENOCI, rappresentato

e difeso dall’avvocato MICHELE BRUNETTI giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 255/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 16/6/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/1/2017 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– con ricorso al Tribunale di Taranto, C.G. chiedeva che fosse dichiarato nullo il termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato, decorrente dal 1.6.2001 al 29.9.2001, stipulato con Poste Italiane s.p.a. ai sensi dell’art. 25 del c.c.n.l. 11.1.2001, motivato da `esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti alla introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè a fronte della necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno settembre”. Il Tribunale accoglieva la domanda e dichiarava l’illegittimità del termine con condanna della società a riammettere in servizio il lavoratore ed a corrispondergli le retribuzioni maturate a far data dal tentativo di conciliazione. La decisione veniva solo in parte riformata dalla Corte di appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto che, in applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 condannava la società al risarcimento del danno nella misura di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. La Corte territoriale, superata la questione della risoluzione per mutuo consenso del rapporto, riteneva che dovesse considerarsi quale legge-quadro la L. n. 230 del 1962 rispetto alla quale le successive innovazioni legislative e gli accordi collettivi non avevano avuto alcun effetto abrogativo con la conseguenza che la legittimità del termine andava valutata (e nella specie esclusa) in rapporto alla necessaria eccezionalità del ricorso al contratto a termine rispetto ad una assunzione a tempo indeterminato. Evidenziava, in particolare, che la causale di cui al contratto in questione difettava di specificità non contenendo alcun riferimento alle esigenze a carattere locale;

per la cassazione della sentenza propone ricorso Poste Italiane affidato a tre motivi;

C.G. resiste con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

non sono state depositate memorie;

– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– i motivi proposti dalla soc. Poste si riassumono come segue:

– violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 degli artt. 1362 e 1363 c.c., dell’art. 25 del c.c.n.l. in relazione all’erroneo inquadramento del contratto in questione nell’ambito della disciplina di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001 laddove la stipula dello stesso era avvenuta in applicazione dell’art. 25 del c.c.n.l. del 2001 che individuava quale causa giustificativa del termine il fenomeno della riorganizzazione a livello nazionale senza menzionare in alcun modo nè il singolo ufficio nè altre articolazioni territoriali dell’impresa e senza richiedere che la singola posizione lavorativa fosse assegnata temporaneamente perchè coinvolta nella riorganizzazione (primo motivo).

violazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, in relazione alla esclusione della risoluzione per mutuo consenso, stante la presenza di evidenti elementi rivelatori del disinteresse, da parte del lavoratore, al mantenimento della funzionalità del rapporto (secondo motivo).

– violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 8 nonchè della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5-7, in relazione alla quantificazione dell’indennità risarcitoria, effettuata sulla base di una valutazione del tutto parziale dei criteri di cui alla citata norma e senza alcun riferimento all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro o al comportamento delle parti e, sotto altro profilo, in relazione all’erronea esclusione del limite delle sei mensilità di cui all’art. 32, comma 6 (terzo motivo);

– ragioni di ordine logico impongono l’esame prioritario del secondo motivo che è manifestamente infondato;

– come questa Corte già da tempo affermato, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l’esercizio del diritto o dell’azione, occorre che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare “una volontà chiara e certa della parti di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. nn. 15403/2000, 4003/1998); tra l’altro, è onere della parte che faccia valere in giudizio la risoluzione per mutuo consenso allegare prima e provare poi siffatte circostanze (v. Cass. un. 2279/2010, 16303/2010, 15624/2007, 17070/2002, 15403/2000);

– l’indirizzo consolidato di questa Corte (si vedano, oltre alle più datate decisioni sopra citate, Cass. un. 17674/2002, 23554/2004, 20390/2007, 17150/2008, 26935/2008, 23057/2010, 5887/2011 e tra le più recenti, Cass. nn. 1780/2014, 24069/2015, 24951/2015, 1179/2016, 1244/2016, 3026/2016) è, così, innanzitutto nel senso di ritenere che la mera inerzia del lavoratore non è sufficiente a far considerare sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, affinchè possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (v. Cass. nn. 20390/2007, 26935/2008);

– questa S.C., poi, ha più volte avuto modo di rilevare che non sono indicative di un intento risolutorio nè l’accettazione del t.f.r. nè la mancata offerta della prestazione, trattandosi di comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine (cfr., Cass., n. 15628/2001, in motivazione). Lo stesso dicasi della condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni (cfr. Cass. n. 839/2010, in motivazione, nonchè, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005, in motivazione)” – si vedano, in termini, anche le recenti Cass. nn. 8061/2014, 6632/2014 -.

– la valutazione del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative di una consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto;

– nel caso in esame, la Corte di appello ha respinto l’eccezione di scioglimento del vincolo contrattuale sul rilievo che fosse mancata ogni prova di condotte concludenti utili a rappresentare la disaffezione del lavoratore (tali non potendo ritenersi – contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – l’accettazione senza riserve del t.f.r. e il ritiro del libretto di lavoro all’atto della cessazione del rapporto), essendo perciò rimasta detta eccezione meramente fondata sul decorso del tempo (che non è di per sè espressione di una tacita rinuncia a coltivare il diritto a far accertare l’illegittimità del termine apposto al contratto);

trattasi di considerazioni di merito corrette sul piano giuridico e congruamente motivate, come tali non censurabili sul piano logico;

è, invece, manifestamente fondato il primo motivo (e determina l’assorbimento del terzo);

come si evince dallo stesso controricorso, il contratto a termine in esame è stato stipulato ai sensi dell’art. 25 c.c.n.l. del 2001;

va rammentato che secondo l’orientamento consolidato di questa Corte in materia di assunzione a termine dei lavoratori subordinati, la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 contenente una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, consente alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, senza che sussista alcun vincolo che imponga l’individuazione di figure di contratto omologhe a quelle previste dalla legge; deve pertanto ritenersi che l’autonomia contrattuale può legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine, per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente soggettivo, in quanto l’esame congiunto delle parti sociali, in ordine alle necessità del mercato, costituisce idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia dei loro diritti (v. fra le altre Cass. n. 20162/2007, Cass. n. 20608/2007 e più recentemente Cass. n. 24086/2015). Tale orientamento appare meritevole di conferma, essendo la tesi sostenuta dalla Corte territoriale fondata sull’erroneo presupposto che il legislatore non avrebbe conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi cd avrebbe imposto al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962. Del pari, nel quadro delineato, neppure era necessario che il contratto individuale contenesse specificazioni ulteriori rispetto a quelle menzionate nella norma collettiva (v. fra le altre Cass. n. 6988/2008). Quanto alla questione del rispetto della procedura di confronto prevista dall’art. 25 del c.c.n.l. questa Corte ha affermato in precedenti pronunce (cfr. Cass. n. 20608/2007) che l’accordo del 18 gennaio 2001 costituisce espletamento della procedura di confronto sindacale prevista dallo stesso art. 25 del contratto collettivo. Nel testo del suddetto accordo si legge che le OO.SS. convengono ancora che i citati processi, tuttora in corso, saranno fronteggiati in futuro anche con il ricorso a contratti a tempo determinato, stipulati nel rispetto della nuova disciplina pattizia delineata dal c.c.n.l. l’1.1.2001. Il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti con conseguente preclusione del ricorso a ulteriori criteri interpretativi dovendo pertanto ritenersi integrata, sulla base di tale accordo, anche la condizione prevista dal citato art. 25 (cfr. in termini recentemente Cass. n. 30/2015);

– la proposta va, pertanto, condivisa e va accolto il primo motivo di ricorso (assorbito il terzo relativo alla misura dell’indennità risarcitoria da liquidare ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32) e rigettato il secondo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di appello di Lecce che procederà ad un nuovo esame alla luce degli esposti principi e sulla base delle specifiche allegazioni delle parti e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso (assorbito il terzo) e rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Lecce.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA