Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6119 del 12/03/2010

Cassazione civile sez. III, 12/03/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 12/03/2010), n.6119

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

GOZZADINI 30, presso lo studio dell’avvocato PROSPERINI ALBERTO, che

lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INA ASSITALIA SPA, quale risultante dalla fusione per 10

incorporazione di Ina Vita Spa e Assitalia – Le Assicurazioni

d’Italia Spa, in persona del procuratore speciale e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CARLO POMA 4, presso lo studio dell’avvocato GELLI PAOLO, che la

rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

D.V.F., D.V.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 21703/2007 del TRIBUNALE di ROMA del 27/09/08,

depositata il 02/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MASSERA Maurizio;

udito l’Avvocato Bigelli Cinzia, (delega avvocato Gelli Paolo),

difensore della controricorrente, che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. SCARDACCIONE Eduardo

Vittorio che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

La Corte, letti gli atti depositati:

 

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 16 dicembre 2008 C.A. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 7 novembre 3008 dal Tribunale di Roma, che aveva liquidato globalmente le spese del giudizio d’appello.

L’Ina – Assitalia ha resistito con controricorso, mentre F. e D.V.C. non hanno espletato attività difensiva.

2 – I due motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c.. Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per Cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico – giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3 – Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24 nonchè del D.M. n. 127 del 2004, artt. 1 e 3 e art. 91 c.p.c. e art. 75 disp. att. c.p.c.. La censura riguarda la liquidazione complessiva delle spese del giudizio d’appello (che il Tribunale ha compensato per metà liquidando la metà posta a carico dei soccombenti in complessivi Euro 850,00).

Ma il quesito conclusivo risulta inadeguato, poichè non riferisce un elemento fondamentale ai fini dell’enunciazione del relativo principio di diritto, elemento che non risulta neppure dalle argomentazioni pose a sostegno di questa censura, cioè l’avvenuto deposito o meno della notula.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c. e 75 disp. att. c.p.c. anche in relazione alla L. 7 novembre 1957, n. 1051 e al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 64; omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Premesso di non avere depositato la relativa notula, lamenta che il Tribunale non ha indicato specificamente quali fossero le risultanze di causa.

A prescindere che il ricorrente addebita alla sentenza la violazione di una norma (l’art. 75 c.p.c.) che regola un’attività del difensore e non del giudice, è agevole rilevare che il motivo pecca di autosufficienza poichè il ricorrente indica l’attività processuale che assume avere svolto ma non dimostra, mediante indicazione dei relativi diritti e onorari commisurati al valore della causa, che la liquidazione effettuata dal Tribunale leda i minimi tariffari e, quindi, non da ragione del proprio interesse processuale alla censura.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Il ricorrente ha presentato memoria; la resistente ha chiesto d’essere ascoltata in Camera di consiglio;

Le argomentazioni addotte dal ricorrente con la memoria non dimostrano la fondatezza del ricorso;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che il ricorso deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato;

le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380 bis e 385 c.p.c..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 600,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2010

 

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