Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6117 del 24/02/2022
Cassazione civile sez. I, 24/02/2022, (ud. 20/01/2022, dep. 24/02/2022), n.6117
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 27014/2016 proposto da:
Società Imprepar – Impregilo Partecipazioni S.p.A., in persona del
legale rappresentante p.t., ora incorporata per fusione in HCE
Costruzioni S.p.A. (C.F. e P.I. (OMISSIS)), con sede legale in
(OMISSIS), in forza di Delib. fusione per incorporazione 20 maggio
2020 e relativo atto di fusione per incorporazione del 6 agosto
2020, iscritto a Registro Imprese in data 14 agosto 2020 dagli
Avv.ti Monica Iacoviello, (C.F. CVLMNC70662H926H), e Marco
Passalacqua, (C.F. PSSMRC72E01H501Z), presso il cui studio in Roma,
via Vittoria Colonna 39, elettivamente domicilia, in forza di
procura speciale notarile;
– ricorrente –
contro
Assessorato delle risorse agricole e alimentari della Regione
Siciliana, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata
e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui
uffici in Roma, Via dei Portoghesi, 12 domicilia;
– controricorrente –
e
Consorzio di Bonifica n. 5 Gela, in persona del legale rappresentante
p.t., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria
della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’Avvocato
Luigi Mattei, per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1557/2015 della Corte d’Appello di Palermo,
pubblicata il 23/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
20/01/2022 dal Cons. Dott. Laura Scalia.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. La società Imprepar – Impregilo Partecipazione S.p.A. ricorre per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte d’Appello di Palermo, pronunciando sull’appello proposto dalla ricorrente nei confronti del Consorzio di bonifica n. 5 Gela e dell’Assessorato agricoltura e foreste della Regione Siciliana e su quello incidentale introdotto dal Consorzio nei confronti della società appellante, in parziale riforma della sentenza n. 1730 del 2008 resa dal Tribunale di Palermo, ha condannato l’indicato consorzio al pagamento degli interessi anatocistici sulla somma di Euro 1.429.216,00 a far data dalla notifica dell’atto di citazione di primo grado e, ancora, sulla restante somma di Euro 1.641.844,58 a far data dal termine per il pagamento della rata di saldo.
2. Il tribunale aveva condannato il Consorzio, in qualità di ente appaltante, al pagamento della complessiva somma di Euro 3.071.061,00 (oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo) in favore della Impregilo S.p.A. – aggiudicataria dell’appalto avente ad oggetto i lavori completamento della ricostruzione e ampliamento della capacità della diga “(OMISSIS)” sul fiume (OMISSIS) – dovuta, per l’importo di Euro 1.221.896,00 a titolo di revisione prezzi e per quello di Euro 207.320,00 a titolo di saldo revisionale per il compenso, a corpo per gli oneri di capitolato, e, ancora, alla somma di Euro 1.641.845,00 a titolo di differenza tra il credito residuo dell’impresa, risultante dallo stato finale confermato in sede di collaudo, e l’importo della penale per il ritardo, riconosciuta dal primo giudice in favore del committente limitatamente alla misura di Euro 716.842,17.
L’Assessorato della Regione Siciliana era poi stato condannato a tenere indenne il Consorzio dagli effetti pregiudizievoli della sentenza.
3. La Corte d’Appello di Palermo ha confermato l’impianto della sentenza impugnata quanto alla misura del riconoscimento della sorte principale che era stata reclamata dall’appaltatrice per inadempimenti della committenza ed era oggetto di dodici riserve.
Nel resto i giudici di appello, in parziale riforma del titolo impugnato, hanno accolto la domanda diretta ad ottenere gli interessi anatocistici ex art. 1283 c.c., sulle pretese veicolate in riserva per il solo periodo successivo alla notifica dell’atto di citazione, quanto all’importo di Euro 1.429.216,00, in difetto di interessi scaduti prima della domanda giudiziale che avrebbero potuto produrne altri, e per il periodo precedente alla proposizione della domanda giudiziale, quanto alla somma di Euro 1.641.844,58, trattandosi di importo dovuto a titolo di corrispettivo contrattuale, risultante dallo stato finale, confermato in sede di collaudo.
4. La Imprepar – Impregilo Partecipazioni S.p.A., incorporata nel corso del giudizio di legittimità, per fusione, in HCE Costruzioni S.p.A., ricorre in Cassazione con sei motivi cui resistono con controricorso, l’Assessorato delle risorse agricole e alimentari della Regione Siciliana ed il Consorzio di Bonifica n. 5 Gela.
5. La ricorrente ed il controricorrente Consorzio di Bonifica n. 5 Gela hanno depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente società denuncia dell’impugnata sentenza la mancanza di motivazione con riferimento ai “ritardi dovuti all’insufficienza di fondi” ed al “diritto dell’impresa ad una ulteriore postergazione del termine di ultimazione dei lavori”, con violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
L’impresa aveva richiesto la concessione di un termine suppletivo o la proroga di quello contrattuale di ultimazione lavori, maggiore di quello riconosciutole dalla stazione appaltante a seguito delle incertezze sui tempi di erogazione dei necessari finanziamenti per le opere accessorie e complementari.
La Corte d’Appello con motivazione “semplicistica” e “lacunosa”, integrante una “sorta di clausola di stile” e non capace di rappresentare il percorso logico osservato, aveva escluso, conformandosi alla prima decisione, che l’impresa avesse diritto ad una ulteriore postergazione del termine di ultimazione dei lavori per non aver potuto operare per cause a lei non imputabili.
Il termine doveva individuarsi in quello indicato dal consulente tecnico di ufficio, pari a diciassette mesi, dal 18 agosto 1994 all’1 febbraio 1996, rispetto a quello, minore e pari ad un anno, riconosciutole nella sentenza di primo grado.
Era mancata la risposta alle deduzioni in fatto portate nell’atto di appello (per richiamo a note dell’impresa, della D.L. ed a comunicazioni del consorzio committente), circa l’esistenza di un più ampio lasso temporale entro il quale avrebbe operato lo stato di incertezza sul conseguimento dei finanziamenti da parte dell’ente erogatore per l’esecuzione delle opere accessorie e complementari, la cui ritardata realizzazione, pertanto, non avrebbe potuto essere imputata all’impresa nei termini indicati nella sentenza di primo grado, e confermati dai giudici di appello, ma secondo un diverso e più ampio arco temporale.
Il motivo è infondato.
1.1. La Corte palermitana nel rigettare il relativo motivo di appello, confermando la decisione di primo grado sulla postergazione riconosciuta, attribuisce rilievo della nota della D.L. 18 agosto 1994, valorizzando come successivamente alla stessa, secondo quanto già rilevato dal primo giudice, l’impresa avesse comunque continuato ad eseguire delle lavorazioni così escludendo della stessa l’impossibilità assoluta ad operare.
Apprezzata, quindi, in forza di siffatta premessa l’invincibile coerenza” del ragionamento sviluppato dal primo giudice, la corte di merito ha rigettato l’appello devalutando le censure dell’appellante ad “osservazioni contrarie” attinenti, più esattamente, “all’an della postergazione dell’ultimazione dei lavori (ovverosia a circostanza riconosciuta dal Tribunale)” nel rilievo che le stesse non avrebbero offerto “adeguati spunti con riferimento alla sua durata e che non scalfiscono la ragionevole conclusione cui è giunto il primo giudice” (p. 12 sentenza).
I giudici dell’impugnata sentenza hanno, in tal modo, dato conto di aver scrutinato le circostanze dedotte dall’impresa appellante, per poi ritenere le stesse non erano in grado di incidere sulla decisione di primo grado, di cui hanno colto la ragione portante nella rilevata operatività dell’impresa successivamente alla data della nota del 18
agosto 1994, dies a quo rispetto al quale la corte di merito non ha ritenuto applicabile una ulteriore postergazione, operando, in tal modo, una distensione temporale “a ritroso” della dedotta impossibilità assoluta della prestazione.
Nell’indicata struttura della decisione di appello non è in alcun modo ravvisabile la dedotta nullità per mancanza di motivazione: vi è infatti per l’indicato percorso un apprezzamento di genericità, e quindi non decisività, delle circostanze dedotte dall’appellante a sorreggere la domanda di ulteriore postergazione e tanto avviene con la precisazione dello snodo logico adottato dal primo giudice e della sua non vincibilità, in prova di resistenza con quanto addotto nel grado.
Vero è infatti che questa Corte ha affermato, per una ipotesi diversa da quella qui scrutinata, che, nel caso in cui il giudice del merito abbia ritenuto, senza ulteriori precisazioni, che le circostanze dedotte per sorreggere una certa domanda (o eccezione) siano generiche ed inidonee a dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto stesso (o dell’eccezione), non può ritenersi sussistente la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente (Cass. 21/10/2019, n. 26764).
Il denunciato error in procedendo in cui consiste il vizio di mancanza di motivazione ex art. 132 c.p.c., n. 4, destinato a tradursi in una violazione di legge costituzionalmente rilevante ex art. 111 Cost., comma 6, si realizza infatti là dove si assista ad una assoluta mancanza di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, ad una motivazione apparente, per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, a ad una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (cfr., da ultimo, ex multis: Cass. 25/06/2021, n. 18311).
Si tratta di fattispecie, quelle indicate, che non ricorrono nella ipotesi in esame in cui il giudizio della corte d’appello si lascia apprezzare come presente, articolato pur nella sintetica esposizione, univoco e chiaro nello sposare le conclusioni del primo giudice e tanto nell’operato raffronto della tenuta di quelle conclusioni con l’impugnazione.
1.2. Ne’ le determinazioni di rigetto di questa Corte sono destinate a mutare là dove si legga nel motivo una censura portata alla sentenza di appello per omesso esame di una o più circostanze, la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Le evidenze fattuali ed argomentative addotte (note dell’impresa del 10 marzo 1994, del 31 marzo 1994 e della direzione lavori del 24 maggio 1994, con cui l’appaltatrice comunica l’impossibilità ad eseguire i lavori diversi dal completamento della diga, per un definito importo, e del 18 agosto 1994 con cui si segnalava di completamento delle opere più necessarie, avvicinandosi l’esaurimento delle somme previste in progetto; comunicazione del consorzio del 1 febbraio 1996 di avvenuta integrazione dei finanziamenti con successiva dichiarazione dell’impresa di inizio delle opere in precedenza rinviate ed ultimate nel marzo 1997; le contestazioni portate dal consulente di parte alle conclusioni raggiunte dal consulente di ufficio, nominato in primo grado, sulla protrazione del termine fissato per l’esecuzione nella valorizzata incertezza da parte dell’amministrazione di conseguire i finanziamenti necessari alla realizzazione delle opere accessorie e complementari, dal marzo 1993 al gennaio 1996) non hanno la forza di definire del fatto in contestazione un diverso contenuto per le ragioni ineccepibilmente espresse, e più sopra riportate, dalla corte di merito.
Il motivo, conclusivamente infondato, va pertanto rigettato.
2. Con il secondo articolato motivo il ricorrente deduce la violazione e mancata applicazione della L.R. n. 22 del 1964, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per mancanza di motivazione con riguardo alla riserva n. 6, avente ad oggetto la revisione prezzi, “contabilizzata in Lire 5.833.623.000 e confermata dalla Corte di merito nella misura di Lire 2.365.920.447 riconosciuta dal primo Decidente”; la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto alle richieste istruttorie dell’appellante, anche perché in contraddizione con la riserva formulata dalla corte di merito di decidere sul rinnovo della consulenza tecnica di ufficio in sede decisione.
2.1. Il primo profilo del motivo di ricorso è inammissibile perché non specifico ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.
Colui che ricorra in cassazione denunciando la violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, esaminarne il contenuto precettivo e raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo; non può rimettersi infatti alla Corte di cassazione il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. SU 28/10/2020, n. 23745; in termini: Cass. 06/07/2021, n. 18998).
Il motivo oblitera il principio là dove a sostegno della denunciata violazione, nel richiamare genericamente la Legge Regionale violata – per riferimento ad un articolo, il 38 del C.S.A.-, la n. 22 del 1964 ed il “relativo D.P. n. 1 del 1965, con le modifiche ed integrazioni di cui alla L.R. n. 8 del 1975” (p. 20 ricorso), riporta quanto costituisce un passaggio, virgolettato, della relazione del consulente tecnico di ufficio in cui il nominato tecnico assume l’indicata violazione.
Resta estraneo, pertanto, alla trama della portata censura, nel suo stretto e necessario intersecarsi con i contenuti delle norme violate – nel caso di specie neppure riportati – e con le affermazioni in diritto contenute della sentenza impugnata, l’integrazione di quel sistema di rimandi lungo il quale trova struttura, nella sua tipicità, il dedotto motivo.
2.2. In siffatta cornice, vero è poi che il ricorrente neppure si confronta con l’argomento principe da cui muove la corte di merito che, nello scrutinare il sesto motivo di appello – relativo alla riserva n. 6 in cui si ha contabilizzazione da parte dell’impresa di un maggiore importo rispetto a quello poi riconosciuto dal primo giudice, a titolo di revisione prezzi -, muove dal dato “della imputabilità del ritardo all’impresa” all’esito del quale conclude, nella sussistenza del ritardo, che i calcoli revisionali ritenuti dal primo giudice in misura più contenuta di quella rivendicata in riserva dall’impresa, erano da confermare.
Il ritardo nell’esecuzione delle opere esclude o riduce infatti l’operatività dell’istituto della revisione dei prezzi qualora la lievitazione dei costi sia in tutto o in parte dipendente da tale ritardo.
Per l’indicato profilo il motivo manca ancora di specificità in applicazione del principio secondo il quale, la revisione prezzi ed il relativo indennizzo è strumento che, in funzione riequilibratrice delle posizione delle parti, contiene l’alea derivante dall’aumento dei prezzi nel presupposto che il maggior tempo impiegato nella esecuzione delle lavorazioni appaltate non sia imputabile alla impresa e neppure alla committenza pubblica, dovendo in tal caso riconoscersi all’appaltatore il risarcimento del danno da lucro cessante per inadempimento (per la prima parte: cfr. Cass. 19/04/2005, n. 8198; per la seconda parte: cfr. Cass. 26/06/2013, n. 16152).
2.3. Il profilo del vizio con cui si denuncia l’assenza di motivazione a fronte del percorso logico osservato nella sentenza impugnata risulta poi, per le ragioni già indicate sub par. n. 1 nella valutazione del primo motivo, inammissibile.
2.4. E’ ancora inammissibile l’ulteriore profilo con cui si denuncia l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., in cui sarebbe incorsa la corte di merito sulla richiesta di rinnovo della consulenza tecnica di ufficio contenuta nell’atto di appello, reiterata in udienza e quindi in comparsa conclusionale.
Il motivo è generico, non riportando neppure il ricorrente i contenuti degli accertamenti tecnici da rimettersi all’ausiliario e non confrontandosi con la motivazione impugnata.
Non è censurabile in sede di legittimità per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., la sentenza che non abbia accolto l’istanza di ammissione di consulenza tecnica di ufficio o di rinnovo della stessa, configurando, piuttosto, un vizio di motivazione che, come tale, deve essere dedotto nel giudizio di cassazione ed il cui rilievo, là dove il giudice non si sia avvalso del potere discrezionale di disporla, va apprezzato, per implicito, dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato (cfr., da ultimo: Cass. 13/01/2020, n. 326).
La corte palermitana ha escluso l’applicabilità della revisione prezzi in ragione della imputabilità del ritardo all’impresa e tanto, nella forza dell’argomento utilizzato, vale a sottrarre rilievo alla consulenza tecnica senza che la riserva dei giudici, pure formulata in sede di trattazione-istruzione della causa, di decidere sulla richiesta di rinnovazione unitamente al merito valga a diversamente ritenere, ferma la discrezionalità dell’ammissione ed il giudizio di rilevanza complessivamente inteso.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per mancanza di motivazione in ordine alla quantificazione della penale.
La Corte d’Appello di Palermo, nell’esaminare il nono motivo di appello, era incorsa in errore nel denegare la protrazione del tempo contrattuale di esecuzione dei lavori, nel valutare la mancata fissazione del nuovo termine di ultimazione lavori e la richiesta disapplicazione della penale (riserve nn. 7, 10 e 12), ritenendo la imputabilità del ritardo all’impresa nel periodo dall’I gennaio 1996 al 13 marzo 1997 e quantificando, per l’effetto, il credito residuo per le lavorazioni eseguite in misura inferiore a quella reclamata in appello.
Il motivo è inammissibile per le ragioni indicate a scrutinio del primo motivo di ricorso.
La questione del ritardo nelle esecuzione delle lavorazioni e la sua imputabilità è stata risolta dalla corte d’appello con riguardo ai due temi della incidenza sul ritardo dell’assunta inerzia della pubblica committenza nell’adoperarsi perché venissero rimossi agli ostacoli di carattere normativo ed amministrativo che si frapponevano all’attività estrattiva nella cava di (OMISSIS) (pagg. 8-11 sentenza) ed alla mancanza di finanziamento delle opere da parte dell’ente erogatore (pp. 11-12 sentenza).
Le motivazioni ivi spese sulla non configurabilità del ritardo per le condotte imputate alla pubblica committenza, nella aspecificità ed eccezionalità delle attività denunciate come omesse ed assunte come integrative del dovere di cooperazione sulla prima gravante – non materiali ed in diretto rapporto causale – e quanto ancora ritenuto in punto di rilevanza della ritardata erogazione dei finanziamenti sulla esecuzione delle lavorazioni, compongono la cornice motivatoria di cui escludono la mancanza assoluta.
Il tema della non retrodatazione dei termini di ultimazione dei lavori e del ritardo imputabile all’impresa ragione della penale applicata definiscono, infatti, specularmente una medesima questione non operando il ritardo imputabile là dove sia riconosciuta la retrodatazione.
4. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riferimento alla domanda di interessi anatocistici e rivalutazione monetaria.
Il motivo è infondato.
La Corte d’Appello di Palermo ha pronunciato sulla rivalutazione da qualificarsi ex art. 1224 c.c., comma 2, nella natura di valuta dell’azionata pretesa creditoria, escludendo la prova del maggior danno con l’apprezzare il tasso di inflazione come inferiore agli interessi legali.
Sugli interessi anatocistici la corte di merito ha distinto tra crediti derivanti da riserve apposte sul registro di contabilità su cui ha riconosciuto gli interessi legali e quelli anatocistici dovuti a decorrere dalla domanda risarcitoria che vale quale atto dimessa in mora del committente, in applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 13/12/2010, n. 25176; vd. Cass. 26/05/2005, n. 11215).
5. Con il quinto motivo il ricorrente fa valere mancanza assoluta di motivazione ex art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, quanto alla richiesta di riconoscimento del maggior danno ragguagliato agli interessi ed accessori praticati dagli istituti di credito, ai sensi dell’art. 1224 c.p.c., comma 2.
Il motivo è infondato per le ragioni indicate sub n. 4. La corte di merito motiva infatti sulla insussistenza del danno in via presuntiva riconoscibile ex Cass. SU n. 19499 del 2008.
6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo alle richieste di pagamento degli interessi legali e moratori e la violazione e mancata applicazione della L. n. 700 del 1974, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
La censura è inammissibile per novità in riferimento al parametro normativo che si assume violato (“In caso di ritardo nella corresponsione degli acconti per revisione dei prezzi e della rata di saldo revisionale, si applicano, rispettivamente, le disposizioni di cui agli artt. 35 e 36 del capitolato generale di appalto per le opere pubbliche di competenza del Ministero dei lavori pubblici approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063”, articolo unico L. 21 dicembre 1974, n. 700, contenente “Modifica della L. 21 giugno 1964, n. 463, art. 2, concernente la revisione dei prezzi contrattuali degli appalti di opere pubbliche”) e difetto di autosufficienza, non avendo il ricorrente dedotto puntualmente di averla proposta, nei termini denunciati in ricorso, davanti al giudice di appello.
7. Il ricorso è in via conclusiva infondato e come tale va rigettato.
8. La ricorrente va condannato secondo la regola della soccombenza al pagamento delle spese di lite come indicato in dispositivo.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere all’Assessorato delle risorse agricole e alimentari della Regione Siciliana ed al Consorzio di Bonifica n. 5 Gela le spese di lite che liquida, per ciascuno, in Euro 10.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge, quanto al Consorzio Gela n. 5, e spese prenotate a debito quanto all’Assessorato delle risorse agricole e alimentari della Regione Siciliana.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 20 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022