Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6116 del 12/03/2010

Cassazione civile sez. III, 12/03/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 12/03/2010), n.6116

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.M.R., PE.MA., N.R.

ved. P., elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 51/A, presso lo studio dell’avvocato IVAN CARPIGO,

rappresentate e difese dall’avvocato DELL’AQUILA ROBERTO, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GRAMSCI 22,

presso lo studio dell’avvocato PICONE ALFONSO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato AMODIO GIULIO, giusta mandato a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3830/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, del

5/11/08, depositata il 16/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. FINOCCHIARO Mario;

e’ presente il P.G. in persona del Dott. SCARDACCIONE EDUARDO

VITTORIO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza dell’11 – 12 maggio 2005 la Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Nola – definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da S.A. nei confronti di P. G., ed a seguito del decesso di quest’ultimo, delle suoi eredi, P.M.R., PE.Ma. e N.R. vedova P., dichiarato risolto alla data del 10 novembre 1996 il contratto di affittanza agraria relativo al fondo sito in agro di (OMISSIS), della estensione di mq. 8948, ha ordinato il rilascio del predetto immobile, meglio descritto in ricorso, libero da persone e cose alla data del 10 novembre 2005 nonche’ dichiarato improcedibile la domanda riconvenzionale spiegata dal resistente.

Gravata tale pronunzia i soccombenti P.M.R., PE.Ma. e N.R. vedova P., nel contraddittorio della S. che, costituitasi in giudizio, ha chiesto il rigetto della avversa impugnazione, la Corte di appello di Napoli, sezione specializzata agraria, con sentenza 5 novembre – 16 dicembre 2008 ha rigettato l’appello.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 3 aprile 2009, hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi, PE. M. e N.R. vedova P..

Resiste con controricorso S.A..

In margine a tale ricorso – proposto contro una sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006 e, quindi, soggetto alla disciplina del processo di Cassazione cosi’ come risultante per effetto dello modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – e’ stata depositata relazione (ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.) perche’ il ricorso sia deciso in Camera di consiglio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., precisa, nella parte motiva:

2. I ricorrenti censurano la sentenza impugnata denunziando, nell’ordine:

– da un lato “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3” per avere la sentenza impugnata affermato che in caso di domanda giudiziale di risoluzione del contratto di affitto per scadenza del termine legale l’eventuale errore nella indicazione della data di scadenza del contratto in cui e’ incorso il ricorrente non comporta la reiezione della domanda, potendo – dovendo il giudice senza incorrere nel vizio di extra o ultra petizione, provvedere alla relativa rettifica in base a termini e data fissate dalla legge. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. parte ricorrente sottopone all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: se incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che, accertata, in applicazione della norma applicabile al rapporto stesso, la scadenza di un affitto agrario per una data anteriore a quella indicata dal ricorrente, dichiari cessato il rapporto per tale (anteriore) data primo motivo;

– dall’altro “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5” per avere i giudici del merito affermato che l’errore in cui e’ incorsa la ricorrente nell’indicare una diversa data di scadenza del contratto non comporta la reiezione della sua domanda secondo motivo;

– da ultimo “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, nonche’ omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 con riferimento all’art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4 e all’art. 101 c.p.c.)”, per essere stato violato l’art. 414 c.p.c., che impone a parte ricorrente di inserire nel ricorso la indicazione dei mezzi di prova di cui intende avvalersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione, mentre nella specie ancorche’ sia stata depositata, in occasione della costituzione in giudizio anche la raccomandata di disdetta 15 aprile 1991 di tale raccomandata (inesistente) non e’ stato fatto alcun richiamo nel contesto dell’atto. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. parte ricorrente sottopone all’esame di questa Corte i seguenti principi di diritto:

1. se nel processo del lavoro il mancato richiamo, nel contesto del ricorso introduttivo del giudizio di un documento, sul quale peraltro non viene fondata alcuna pretesa, costituisca o meno omissione e, quindi, impossibilita’ di utilizzare tale documento come mezzo di prova;

2. se la dichiarata utilizzabilita’ di un documento erroneamente indicato, cosi’ inducendo in errore controparte sulla sua rilevanza ed efficacia, costituisce violazione o meno del principio del contraddittorio ex art. 101 c.p.c..

3. Il ricorso, per alcuni aspetti manifestamente infondato, per altri inammissibile non pare possa trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

3.1. Il primo motivo e’, per un verso, inammissibile, per altro manifestamente infondato.

3.1.1. Quanto alla rilevata inammissibilita’ si osserva che nella specie, giusta la stessa prospettazione di parte ricorrente, era, configurabile la violazione, da parte del giudice di appello, dell’art. 112 c.p.c., cioe’ una ultrapetizione per avere il giudice pronunciato oltre i limiti della domanda.

Pacifico quanto precede deve ribadirsi, ulteriormente, in conformita’, del resto, a una giurisprudenza piu’ che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde parte ricorrente, che sia la omessa pronuncia su una domanda, sia la pronunzia su domande non proposte dalla parte, integra una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e, conseguentemente, e’ inammissibile il motivo di ricorso con il quale la relativa censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto, ovvero come vizio della motivazione (Tra le tantissime, Cass. 19 gennaio 2007, n. 1196; Cass. 27 ottobre 2006, n. 23071; Cass. 27 gennaio 2006, n. 1755; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1701; Cass. 11 novembre 2005, n. 22897).

3.1.2. Anche a prescindere da quanto precede si osserva che la giurisprudenza di questa Corte e’ costante – da lustri – nell’affermare che in materia di contratti agrari la circostanza che la parte concedente, nella comunicazione di disdetta, abbia indicato una data e’ erronea di cessazione del rapporto non vale ad escludere l’accoglimento della domanda di rilascio per la data effettiva.

Da un lato, infatti, tale risultato e’ conforme alla volonta’ dell’istante di impedire la successiva rinnovazione del contratto alla scadenza e di riottenere la disponibilita’ del fondo e, dall’altro, e’ compito del giudice accertare, sulla base delle risultanze di causa, quale sia la data esatta di cessazione del contratto (tra le tantissime, ad esempio, Cass. 19 ottobre 2006, n. 22607; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145; Cass. 1 febbraio 2000, n. 1068).

In tema di contratti agrari, l’indicazione della data di scadenza del rapporto di affitto, contenuta nella comunicazione di disdetta o nel ricorso introduttivo – infatti – non vincola il giudice e non gli impedisce di accertare, sulla base delle risultanze processuali e della normativa applicabile, la data effettiva di scadenza e di pronunciare il rilascio del fondo per quella diversa data, senza che cio’ implichi violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, Cass. 16 dicembre 2005, n. 27731; Cass. 30 maggio 2003, n. 8778).

Se, in particolare, la disdetta dal contratto di affitto di fondi rustici, ai sensi della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 4, costituisce atto negoziale unilaterale recettizio concretantesi in una manifestazione di volonta’ di una parte del rapporto contrattuale, diretta all’altra (tra le tantissime, Cass. 19 febbraio 2002, n. 2388, Cass. 3 ottobre 1997, n. 9666) un tale “atto negoziale” produce i propri effetti con decorrenza dalla data di cessazione, ex lege, del contratto inter partes fin dal momento in cui e’ stato portato a conoscenza dei conduttore e non sussiste, quindi, alcun onere, per la parte concedente, di intimare una nuova disdetta, si che e’ irrilevante che in quest’ultima, o in sede giudiziaria, sia stata indicata una errata data di cessazione del rapporto (Cass., 16 dicembre 2005, n. 27731, cit.).

Essendosi i giudici di merito attenuti ai riferiti principi e’ palese che sotto il profilo in questione il primo motivo di ricorso, manifestamente infondato, non puo’ trovare accoglimento.

Totalmente irrilevante al fine di pervenire a una diversa conclusione della lite e’ la circostanza che nella specie – diversamente “a quanto verificatosi nei giudizi conclusisi con le sentenze sopra richiamate – i giudici di merito abbiano accertato la cessazione del rapporto per una data anteriore, rispetto a quella indicata, anziche’ per una data successiva”.

Come accennato, nella subiecta materia il compito del giudice si esaurisce nel verificare se vi sia stata una valida disdetta del rapporto agrario e interpretare poi – questa – alla luce della normativa vigente, con determinazione della data in cui ex lege il rapporto verra’ a cessare.

Essendo stato accertato – nel caso di specie – che a prescindere dalla data di cessazione del rapporto indicata nel ricorso introduttivo (e in una disdetta successiva, come osservato sopra, priva di effetti) la parte concedente aveva, ritualmente, manifestato la propria intenzione di far cessare il rapporto alla data del 10 novembre 1996, cioe’ alla prima scadenza successiva alla disdetta intimata con raccomandata con ricevuta di ritorno 15 aprile 1991, e’ palese che del tutto correttamente i giudici del merito hanno dichiarato cessato il rapporto alla detta data del 10 novembre 1996 (fissando, peraltro, per il rilascio la data del 10 novembre 2005, cioe’ successiva di nove anni alla data di cessazione del rapporto come effetto della disdetta del 1991 e di otto anni rispetto alla data di cessazione indicata nel ricorso introduttivo del giudizio).

3.2. Il secondo motivo pare inammissibile.

Questa Corte regolatrice, infatti – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c. introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 e applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 14 luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) – e’ fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006:

– nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 allorche’ cioe’ il ricorrente denunzi vizi attinenti alla giurisdizione, nonche’ alla competenza o la violazione di norme di diritto o, ancora, la nullita’ della sentenza o del procedimento l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilita’, con la formulazione di un quesito di diritto;

– nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 allorche’, cioe’, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Cio’ importa in particolare se si denunzia una violazione di legge (come nella specie con riguardo al primo e secondo motivo, prima parte) il motivo stesso si deve concludere con un quesito di diritto, mentre se si lamenta (come nel caso concreto nella seconda parte di entrambi i motivi) un vizio della motivazione la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora e’ incontroverso che non e’ sufficiente che il quesito e tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che e’ indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a cio’ specificamente e riassuntivamente destinata.

Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorche’ nel ricorso per Cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione e’ insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non gia’ e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilita’ del ricorso (In termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897), non controverso che nella specie il secondo motivo di ricorso – proposto sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – e’ totalmente privo della puntuale indicazione di cui sopra (quanto al fatto controverso), e’ palese che deve dichiararsene la inammissibilita’ (in argomento, tra le tantissime, Cass. 13 maggio 2009, n. 11094, in motivazione).

3.4. Parimenti inammissibile deve essere dichiarato il terzo motivo atteso che la censura – cosi’ come articolata – non investe quella che e’ la reale ratio decidendi della sentenza impugnata.

Quest’ultima, in particolare, ha accertato, in linea di fatto:

– che nella parte finale del proprio ricorso (in primo grado) la ricorrente S. aveva dato – espressamente e correttamente – di avere depositato tra l’altro le lettere raccomandate 15 aprile 1991 e 27 marzo 1996;

– che puntualmente, nell’indice delle produzioni di parte ritualmente depositato unitamente al ricorso si legge “al n. 1) lettera racc. rr di disdetta 15 aprile 1991; al n. 2) lettera racc. rr di disdetta 27 marzo 1996 e entrambe le raccomandate con le rispettive ricevute di ritorno sono allegate nel fascicolo della ricorrente”;

– che “e’ fuor di dubbio quindi che nonostante l’errata indicazione della data della prima disdetta nel corpo dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado 7 aprile 1997, mero errore materiale evidenziato tra l’altro dalla stessa difesa della ricorrente in memoria del 5 aprile 2005, il tribunale poteva tenere conto di tale documento, debitamente indicato come allegato nello stesso ricorso introduttivo e nell’indice del fascicolo di parte, prodotto effettivamente agli atti e dunque a disposizione della parte resistente, per ogni controdeduzione”.

Conclusivamente i giudici di appello hanno ritenuto di potere esaminare il documento 15 aprile 1991 perche’ solo per mero errore materiale palesemente agevolmente riscontrabile dall’esame di tutto il ricorso e dei documenti allegati a questi lo stesso era stato indicato, nel corpo del ricorso stesso, come disdetta 7 aprile 1997.

Non censurando in alcun modo, con il terzo motivo, i ricorrenti nella parte de qua la sentenza impugnata e’ palese la inammissibilita’ anche del terzo motivo.

Specie atteso che quale che sia la corretta risposta da dare ai quesiti che lo concludono, dalla stessa non deriva in alcun modo la cassazione della sentenza impugnata.

3. Ritiene il Collegio di dovere fare proprio quanto esposto nella sopra trascritta relazione, specie tenuto presente che non e’ stata presenta alcuna replica alla stessa.

Il proposto ricorso, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibile, con condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimita’ liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso;

condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2010

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