Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6114 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. III, 04/03/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 04/03/2021), n.6114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34603-2019 proposto da:

H.I., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio

dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato

NAZZARENA ZORZELLA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1254/2019 della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA,

depositata il 12/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

4/11/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

H.I., cittadino dell'(OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere costretto ad arruolarsi nel vivo di una guerra nel cui contesto venivano commesse gravi violazioni di diritti umani;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento H.I. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Bologna, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza in data 16/5/2017;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Bologna con ordinanza in data 12/4/2019;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) della sostanziale inattendibilità del racconto di vita del richiedente asilo; 2) dalla mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sè, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato (atteso che il conflitto (OMISSIS) si svolge lontano dalla zona di provenienza del richiedente); 3) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da H.I. con ricorso fondato su tre motivi d’impugnazione;

il Ministero dell’Interno, non costituito in termini mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione della legge processuale, per avere la corte territoriale introdotto d’ufficio la questione dell’inattendibilità delle dichiarazioni rese dall’istante nel corso del procedimento, senza procedere, nel rispetto del contraddittorio e in conformità a quanto previsto dall’art. 101 c.p.c., a sottoporre detta decisiva questione (mai precedentemente entrata nel giudizio) alla discussione delle parti e ad offrirla alle possibilità di difesa del richiedente;

il motivo è infondato;

osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo del giudice di sollecitare il contraddittorio, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2, ha lo scopo di evitare le decisioni c.d. a sorpresa o della terza via; tale obbligo, pertanto, deve ritenersi cogente per le sole questioni che il giudice rilevi effettivamente d’ufficio per non essere state dedotte dalle parti, e non già, invece, per le questioni che – pur rilevabili d’ufficio – già appartengano al thema decidendum sottoposto all’esame del giudicante, siccome destinate a integrare l’insieme degli elementi costitutivi delle prerogative dedotte in giudizio (cfr. Sez. 2, Ordinanza n. 29098 del 05/12/2017, Rv. 646536 – 01; Sez. U, Sentenza n. 7294 del 22/03/2017, Rv. 643337 – 01);

nel caso di specie, una volta che l’istante abbia reso le proprie dichiarazioni nel corso di un procedimento diretto al riconoscimento delle forme di protezione internazionale concretamente invocate, lo stesso deve ritenersi aver già di per sè offerto, al dibattito delle parti e alla valutazione del giudice, il proprio racconto di vita come elemento in sè rappresentativo dei fatti costitutivi della propria domanda; con la conseguenza che il giudizio condotto sull’attendibilità di dette dichiarazioni deve ritenersi inevitabilmente connesso all’ambito delle questioni automaticamente sottoposte al contraddittorio, trattandosi propriamente, con riguardo alla credibilità del richiedente, di un thema decidendum determinante ai fini della dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto giudizialmente esercitato;

nessuna violazione delle prerogative processuali concernenti il rispetto del contraddittorio deve ritenersi, pertanto, inferta ai danni dell’odierno ricorrente, dovendo ritenersi che il giudizio sull’attendibilità delle dichiarazioni dell’istante (così come fatto proprio dalla corte d’appello) già appartenesse, sin dall’originaria acquisizione di dette dichiarazioni, all’ambito delle questioni sottoposte al dibattito delle parti e ai compiti di valutazione e decisione del giudicante (nè risulta che il primo giudice avesse mai affermato alcunchè circa la credibilità del racconto reso dal dichiarante), senza nessun preventivo onere, a carico del giudice di appello, di sospendere il giudizio e di riproporre nuovamente la questione al dibattito processuale;

con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere la corte territoriale condotto la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni dell’istante in totale contrasto con i criteri di lettura sul punto imposti dalla legge, valorizzando in modo arbitrario il significato di circostanze di fatto (quali il comportamento complessivo del richiedente asilo, o la qualità rappresentativa della documentazione prodotta in giudizio) sulla base di considerazioni del tutto illogiche e inconferenti, senza tener conto dei rischi incombenti sull’istante per non aver risposto alla chiamata di leva, con particolare riguardo all’entità e alla natura del trattamento sanzionatorio prevista per tale fatto dalla legislazione del proprio paese di origine;

il motivo è infondato;

osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);

detta valutazione di credibilità deve ritenersi altresì censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01);

in particolare, varrà sottolineare come il giudice di merito, nel valutare la credibilità complessiva del richiedente asilo, ben potrà ritenere inattendibili le dichiarazioni rese da quest’ultimo sulla base del significato eloquente anche di una singola circostanza ritenuta di per sè assorbente rispetto alla considerazione di ogni altro elemento di valutazione, purchè di detta circostanza se ne sottolinei – o ne emergano con evidenza – i caratteri di decisività, senza limitarsi al richiamo di formule di sintesi o di modelli argomentativi meramente stereotipati;

rimane in ogni caso fermo come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non sia affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri

oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c) D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 26921 del 14/11/2017, Rv. 647023 – 01);

nel caso di specie, fermo l’oggettivo rilievo della congruità logica del discorso giustificativo articolato nel provvedimento impugnato, varrà considerare come il ricorrente abbia propriamente omesso di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte della corte territoriale, delle occorrenze di fatto asseritamente dalla stessa trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia;

osserva il Collegio, pertanto, come, attraverso le odierne censure, il ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in coerenza ai tratti di un’operazione critica come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità, dovendo in ogni caso ritenersi che la motivazione dettata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia (non solo esistente, bensì anche) articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo giudice a quo dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili al racconto dell’odierno ricorrente e del grado della relativa attendibilità in conformità ai parametri di valutazione legalmente stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;

l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;

ciò posto, del tutto irrilevante deve ritenersi la censura concernente il preteso omesso esame dei rischi derivanti, per il ricorrente, dalla mancata risposta alla chiamata di leva, avendo la corte territoriale propriamente escluso, in fatto, che l’odierno richiedente sia stato effettivamente destinatario di alcun precetto, e dunque sottoposto ad alcun rischio di esposizione a conflitti bellici, ovvero ad alcun rischio di esposizione a procedimenti repressivi per renitenza alla leva;

parimenti irrilevanti devono ritenersi le censure svolte con riguardo alla documentazione specificamente richiamata in ricorso (di cui si sottolinea l’avvenuta produzione in originale), trattandosi, all’evidenza, di doglianze di manifesto profilo revocatorio, come tali non sottoponibili all’esame di questa Corte;

più in generale, con riguardo all’insieme delle considerazioni esposte in ricorso in relazione al preteso omesso esame di circostanze decisive da parte del giudice d’appello, osserva il Collegio come trovi applicazione il testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);

dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le doglianza del ricorrente qui in esame devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge ed omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere la corte territoriale erroneamente escluso i presupposti per il riconoscimento del diritto del richiedente al conseguimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari;

il motivo è infondato;

al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02);

peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver sottolineato il mancato raggiungimento, da parte del ricorrente, con caratteri di autonomia e indipendenza, di alcuna situazione di effettivo radicamento nel tessuto sociale e lavorativo italiano, ha ulteriormente rimarcato l’insussistenza delle condizioni di vulnerabilità cui lo stesso sarebbe esposto in caso di rientro nel paese di origine, a tali conclusioni pervenendo sulla base di un’analisi delle fonti informative disponibili sufficientemente congrua e adeguata, suscettibile di corroborare in modo esaustivo il giudizio formulato in ordine alla non prospettabilità di alcuna grave sproporzione tra la vita condotta dal ricorrente nel territorio italiano e quella prospettata nel paese di origine, con specifico riferimento alla perdurante possibilità, per lo stesso ricorrente, di godere delle prerogative connesse all’esercizio dei propri diritti fondamentali, avendo il giudice a quo espressamente sottolineato l’insussistenza dei rischi di rimpatrio per il ricorrente in considerazione della limitazione dei pericoli denunciati dal ricorrente a un ambito territoriale del tutto estraneo a quello interessante l’odierno istante;

varrà ribadire, anche in relazione al motivo in esame, come il ricorrente abbia del tutto trascurato di argomentare in modo puntuale le censure articolate in relazione al preteso omesso esame di fatti decisivi controversi, non emergendo, in relazione all’insieme dei fatti richiamati in ricorso, alcuna decisiva incidenza, delle pretese omissioni imputate al discorso del giudice d’appello, sulle eventuali sorti alternative del giudizio;

sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, deve essere pronunciato il rigetto del ricorso;

non vi è luogo per l’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità, attesa la mancata tempestiva costituzione del Ministero intimato;

dev’essere viceversa attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

 

 

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