Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6113 del 12/03/2010

Cassazione civile sez. III, 12/03/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 12/03/2010), n.6113

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 9787/2009 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI

30, presso lo studio dell’avvocato MANCUSO PIERLUIGI, rappresentato e

difeso dall’avvocato OCCHIPINTI Rinaldo, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

G.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TOLMINO 1,

presso lo studio dell’avvocato RITTI CLAUDIA, rappresentata e difesa

dall’avvocato GALAZZO Enzo, giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 395/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANIA del

5/03/08, depositata il 15/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO FINOCCHIARO;

è presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO

SCARDACCIONE.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto 3 luglio 1996 C.A. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Modica G.C.: premesso di essere proprietario coltivatore diretto di un fondo confinante con altro acquistato dalla G. il (OMISSIS), in violazione del diritto di prelazione di legge, il C. ha proposto domanda di riscatto di tale fondo.

Costituitasi in giudizio la G. ha resistito all’avversa pretesa deducendone la infondatezza, atteso che l’attore era privo dei requisiti di legge per l’esercizio della prelazione e facendo presente, altresì, che essa concludente si trovava nelle condizioni di esercitare la prelazione, essendo proprietaria coltivatrice diretta di un fondo confinante con quello oggetto di controversia.

Svoltasi la istruttoria del caso, l’adito tribunale ha rigettato la domanda attrice atteso che il diritto di prelazione della convenuta appariva prevalente rispetto a quello dell’attore e quindi la prima doveva essere preferita.

Gravata tale pronunzia in via principale dal C. e in via incidentale dalla G. la Corte di appello di Catania con sentenza 5-15 marzo 2008 ha rigettato entrambe le impugnazioni.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, affidato a tre motivi C.A., con atto 8 aprile 2009.

Resiste, con controricorso illustrato da memoria, G.C..

In margine a tale ricorso – proposto contro una sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006 e, quindi, soggetto alla disciplina del processo di Cassazione così come risultante per effetto dello modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è stata depositata relazione (ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., perchè il ricorso sia deciso in Camera di consiglio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., precisa, nella parte motiva:

2. Premesso che ove si verifichi una situazione di conflittualità tra coltivatori diretti proprietari di terreni diversi, confinanti con il fondo rustico posto in vendita e ai quali spetta, pertanto, il diritto di prelazione e di riscatto, il giudice per accordare prevalenza all’uso sull’altro, deve tenere conto della maggiore o minore attitudine di ciascuno dei contendenti di concretare la finalità perseguita dalla norma di cui alla L. n. 817 del 1971, e, cioè, l’ampliamento delle dimensioni territoriali dell’azienda diretto coltivatrice che meglio realizzi le esigenze di composizione fondiaria, di sviluppo aziendale e di costituzione di unità produttive efficienti sotto il profilo tecnico e economico, per cui devono valutarsi l’entità, le caratteristiche topografiche, fisiche e colturali dei terreni in possibile accorpamento, l’esuberanza della forza di lavoro che i confinanti siano in grado di riversare sul predio in vendita, nonchè la stabilità nel tempo che l’azienda incrementando possa assicurare, il giudice di appello – confermando la statuizione del tribunale – ha ritenuto di accordare la prevalenza al diritto della G..

3. Il ricorrente censura la riassunta pronunzia denunziando:

– da un lato, violazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, per avere i giudici del merito disatteso la contestazione di esso concludente, quanto alla esistenza in capo alla G. dei requisiti per esercitare la prelazione. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si sottopone all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: in tema di esercizio del diritto di prelazione di fondo rustico in caso di concorso di più aventi diritto alla prelazione, se tutti i requisiti della prelazione devono coesistere al momento dell’acquisto del fondo e se in caso di contestazione anche il giudice di appello è tenuto a accertare la sussistenza dei superiori requisiti (primo motivo);

– dall’altro, violazione della L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, comma 2, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, atteso che i giudici del merito, nel risolvere la situazione di conflittualità tra le parti e nell’accordare i diritto alla G. hanno errato nell’applicare i principi (enunciati nella stessa sentenza). Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si sottopone all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: se in presenza di una pluralità di coltivatori diretti, proprietari di terreni diversi, tutti confinanti con il fondo rustico posto in vendita, a ciascuno dei medesimi spetta il diritto di prelazione e di riscatto e, se nel caso in cui si verifichi una situazione di conflittualità tra essi, il giudice, in funzione del compimento della scelta da operare per la soluzione della suddetta confliggenza tra posizioni di diritto soggettivo, è tenuto a valutare la entità, le caratteristiche topografiche, fisiche e colturali dei terreni in possibile accorpamento, l’esuberanza della forza lavoro che i confinanti siano in grado di riversare sul fondo in vendita, nonchè la stabilità nel tempo che l’azienda incrementando possa assicurare e se per tutte le occorrenti indagini, è opportuno che si avvalga dell’Ispettorato Provinciale Agrario (secondo motivo);

– da ultimo, violazione della L. n. 590 del 1965, art. 8. Omessa motivazione. Si osserva, infatti, che i giudici di merito hanno ritenuto irrilevante la omissione delle formalità previste della L. n. 590 del 1965, art. 8, per consentire l’esercizio della prelazione, da parte del ricorrente, senza peraltro motivare sul punto e tale omissione non può rimanere priva di sanzione. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si sottopone all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: se in presenza di una pluralità di coltivatori, diretti, proprietari di terreni diversi, tutti confinanti con il fondo rustico posto in vendita sussiste l’obbligo per il privato venditore di provvedere alla notificazione della proposta di alienazione, nei confronti di tutti i coltivatori diretti proprietari confinanti in possesso dei requisiti previsti dalla L. n. 590 del 1965, art. 8 (terzo motivo).

4. Non pare che il ricorso possa trovare accoglimento, stante la inammissibilità – sotto diversi, concorrenti, profili – di tutti i motivi in cui lo stesso si articola.

4. 1. Dispone l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dal del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6. G.U. n. 38 del 15 febbraio 2006, s.o.

n. 40 – che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), la illustrazione di ciascun motivo si deve concludere a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto e che nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

In margine al sopra trascritto 366 bis c.p.c., costituiscono – al momento – presso una più che consolidata giurisprudenza di legittimità, diritto vivente le seguenti proposizioni:

– il quesito di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4) deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata;

– in altri termini, la Corte di cassazione deve poter comprendere dalla lettura dal solo quesito, inteso come sintesi logico giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice del merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare;

– la ammissibilità del motivo, in conclusione, è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (in termini, ad esempio, Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28054);

– nel caso di violazioni denunciate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3), e 4), il motivo del ricorso per cassazione deve concludersi con la separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara sintesi logico- giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame;

– non può ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie, perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., secondo cui è, invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre all’effetto deflattivo del carico pendente, ha inteso valorizzare, secondo quanto formulato in maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto delegato sopra richiamato;

– in tal modo il legislatore si propone l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati (Cass. 25 novembre 2008, nn. 28143 e 28145, rese in fattispecie identiche alla presente a nella quale, ha osservato la S.C., le prescrizioni dettate dall’art. 366 bis citato, sono state disattese, non essendo stato formulato il quesito di diritto e non potendo l’adempimento dell’onere gravante sul ricorrente ritenersi ottemperato, come si è detto, attraverso le argomentazioni formulate in sede di esposizione del motivo);

– qualora si denunzi la sentenza impugnata sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il motivo di ricorso per cassazione è inammissibile allorquando il ricorrente non indichi – espressamente e separatamente rispetto alla parte espositiva del motivo – le circostanze rilevanti ai fini della decisione, in relazione al giudizio espresso nella sentenza impugnata (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11652);

– allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass. 7 aprile 2008, n. 8897).

4.2. Pare evidente, alla luce della sopra richiamata giurisprudenza la inammissibilità – già anticipata sopra – del proposto ricorso sotto il profilo della non corrispondenza al modello delineato nell’art. 366 bis c.p.c., dei quesiti di diritto che concludono i vari motivi.

Infatti:

– i quesiti di diritto, in alcun modo riferibili alla fattispecie concreta, si risolvono in una serie di affermazioni puramente astratte e non idonee a consentire la cassazione della sentenza impugnata;

– non esiste alcuna relazione tra le censure svolte nei vari motivi e i quesiti che li concludono (in particolare, quanto al primo motivo, si osserva che la circostanza che il giudice di appello – almeno a quanto si deduce nel motivo stesso – non abbia accertato la sussistenza, in capo alla G., dei requisiti per l’esercizio della prelazione, non costituisce, palesemente, violazione della L. n. 590 del 1965, art. 8, ma eventualmente, in tesi, alternativamente, o violazione del precetto di cui all’art. 112 c.p.c., quanto alla corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, o, ancora, una vizio della motivazione, deducibile sub art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

analogamente quanto al secondo, si osserva che con lo stesso – pur denunciandosi violazione di legge – in realtà si prospetta con lo stesso un vizio di motivazione, denunciandosi che il giudice non si sia avvalso della collaborazione dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura, senza considerare che nessuna norma prevede alcun obbligo al riguardo a carico del giudice del merito, e senza la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione della sentenza impugnata deve considerarsi omessa o contraddittoria tale certamente non potendo essere la mancata richiesta di informazioni all’Ispettorato Provinciale dell’ Agricoltura analogamente il terzo motivo è assolutamente in conferente, al fine del decidere, atteso che è la stessa norma positiva nel prevedere che qualora sia mancata la comunicazione, al confinante, del preliminare di vendita, la tutela accordata a detto confinante è la possibilità di esercitare il diritto di riscatto, in concreto esercitato dal C., si che non è neppure in tesi ipotizzabile una ulteriore sanzione nella specie non comminata dalla sentenza impugnata);

– il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di Cassazione). Viceversa, la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (recentemente, in termini, Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime): certo che nella specie parte ricorrenti lungi dal censurare i principi di diritto di cui ha fatto applicazione la sentenza gravata, si limita a dolersi delle valutazione delle risultanze di causa come compiuta da detta sentenza, è palese, anche sotto tale, ulteriore, profilo, la inammissibilità delle censure sviluppate in tutti e tre i motivi.

3. Ritiene il Collegio di dovere fare proprio quanto esposto nella sopra trascritta relazione, specie tenuto presente che non è stata presenta alcuna replica alla stessa, da parte del ricorrente.

Il proposto ricorso, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 oltre Euro 1.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2010

 

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