Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6112 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. II, 24/02/2022, (ud. 04/11/2021, dep. 24/02/2022), n.6112

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11592/2017 proposto da:

F.G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANDREA

DORIA 64 SC. G, presso lo studio dell’avvocato DANIELA PICCIONI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LIA CODEN;

– ricorrente –

contro

C.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALADIER

36, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO GOZZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato BENEDETTA COLLERONE RUSSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 395/2017 del TRIBUNALE di TREVISO, depositata

il 21/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/11/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. F.G.C. ha proposto ricorso, sulla scorta di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 395/2017 del Tribunale di Treviso che, riformando la sentenza n. 272/2014 del Giudice di Pace di Conegliano, ha rigettato l’opposizione proposta dalla sua dante causa G.S. avverso il decreto ingiuntivo con cui la stessa era stata condannata a pagare dall’avv. C.B. compensi professionali per l’attività dal medesimo svolta in suo favore ed in favore del di lei marito in un giudizio di divisione immobiliare nel quale costoro erano stati convenuti quali comproprietari del bene da dividere.

2. Il Tribunale, diversamente dal primo giudice, ha ritenuto provato il conferimento del mandato all’avv. C. da parte di G.S..

2.1. In primo luogo, ha reputato essere una mera illazione, non sorretta da alcun riscontro probatorio, la statuizione del Giudice di Pace secondo cui era irragionevole che la G. avesse conferito il mandato all’avvocato C., difensore del marito, sulla scorta del rilievo che i due coniugi erano separati e che il marito era incapiente. Parimenti ingiustificato è stato ritenuto l’assunto del Giudice di Pace secondo cui la G. non avrebbe avuto alcun interesse a conferire un mandato difensivo ad alcun avvocato, tantomeno a quello del marito. Ella, ha rilevato il Tribunale, aveva interesse a difendersi nel giudizio de quo, essendo stata ivi convenuta.

2.2. Inoltre, procedendo a verificazione, il Tribunale ha giudicato la sottoscrizione apposta sulla procura alle liti rilasciata per il giudizio divisionale identica e quella apposta dalla G. su altri atti, specificati in sentenza.

2.3. Che la sottoscrizione della procura fosse stata effettuata da G.S., era poi confermato – si argomenta nella sentenza impugnata – anche dalle dichiarazioni rese dallo stesso F.G.C. in un giudizio disciplinare a carico dell’avvocato C..

2.4. Ritenuta provata la paternità della procura, che era stata congiunta all’atto di citazione nel giudizio divisionale (del 18/02/2002), il Tribunale ha reputato infondate le eccezioni di nullità della stessa sollevate dall’opponente per l’assenza della data e per l’assenza della autenticazione del difensore, argomentando, quanto alla prima eccezione, che “la data a cui può essere ricondotto il rilascio del mandato è quella contenuta nell’atto in calce al quale lo stesso è riposto” (v. pag. 8 righi 4-5 sentenza) e, quanto alla seconda eccezione, che l’autenticità della sottoscrizione era stata provata (v. pag. 8 rigo 2: “ritenuta approvata l’attribuzione a G.S. della firma apposta al mandato…).

2.5. Il Tribunale, inoltre, sulla scorta dei verbali del giudizio divisionale, ha ritenuto provata l’effettiva esecuzione della prestazione professionale, da parte dell’avv. C., in favore di G.S., avendo il primo speso il nome della seconda.

3. L’avv. C.B. resiste con controricorso.

4. La causa è stata chiamata all’adunanza camerale del 4 novembre 2021, per la quale il contro ricorrente ha depositato una memoria.

5. Col primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2 e art. 111 Cost., comma 6, per avere il Tribunale espresso una motivazione apparente. Il giudice avrebbe dovuto motivare circa la coincidenza della sottoscrizione apposta alla procura da parte di G.S. con le altre sottoscrizioni di sua provenienza, individuando gli elementi fondanti tale giudizio: “forse la cd. capacità grafica della scrivente? O la conduzione del grafismo? Il tratto? La pressione? La continuità tra le lettere? L’impostazione? I rapporti proporzionali?” (pag. 10, righi 21-23 del ricorso).

5.1. Il motivo è infondato. Il Tribunale ha dato adeguatamente conto delle ragioni della propria decisione, sottolineando come “la firma autografa di G.S. sul mandato dell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo rivela una coincidenza evidente con la firma disconosciuta. Si aggiunga che tale identità olografa è ravvisabile pure attraverso il confronto con le sottoscrizioni apposte dalla stessa G.S. in calce al mandato presente nella comparsa di costituzione risposta del 18/12/2012 relativo al procedimento di merito instaurato successivamente alla concessione del sequestro conservativo, nonché in calce al fax datato 30/05/2012… ove le lievi dissomiglianze sono invero compatibili e riconducibili al periodo di tempo intercorso fra la sottoscrizione disconosciuta e quelle poste a termine di confronto” (pag. 7 della sentenza). In sostanza il Tribunale ha spiegato la propria decisione con la constatazione che la firma disconosciuta rilevava una “coincidenza evidente” con le firme utilizzate per la comparazione. Si tratta di una motivazione palesemente idonea a manifestare la ratio decidendi, e, pertanto, non qualificabile come motivazione apparente e non suscettibile di essere giudicata di sotto del “minimo costituzionale” (cfr. SSUU n. 8053/2014).

6. Il secondo motivo di ricorso contiene due distinte censure, attinenti entrambe, sotto profili diversi, alla parte di motivazione in cui il Tribunale, per affermare l’autografia della sottoscrizione della sig.ra G. in calce alla procura, fa leva sulla testimonianza rilasciata dal figlio, attuale ricorrente, nel giudizio disciplinare aperto nei confronti dell’avv. C. (v. supra, p. 2.3).

6.1. Con la prima, riferita all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, art. 153 c.p.c., comma 2 e art. 320 c.p.c., commi 3 e 4, per avere il Tribunale fondato il proprio giudizio sulla testimonianza resa da F.G.C., il cui verbale, però, era stato depositato in primo grado tardivamente, assieme alle note conclusive autorizzate dal Giudice di Pace, ben oltre i termini assegnati per la produzione dei mezzi di prova.

6.2. Con la seconda, riferita all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 213 e 215 c.p.c. e degli artt. 2702, 2735 c.c., per avere il Tribunale fondato il proprio giudizio sulla testimonianza resa da F.G.C. utilizzandola illegittimamente come una confessione, sebbene le dichiarazioni da lui prestate non fossero indirizzate alla controparte, ed inoltre, non considerando il disconoscimento della firma della madre in calce alla procura da lui stesso effettuato.

6.3. In motivo è inammissibile per carenza di interesse a ricorrere, in quanto entrambe le censure in cui esso si articola attingono un’argomentazione priva di portata decisoria. Il riferimento del Tribunale alle dichiarazioni rese da F.G.C. nell’ambito del procedimento disciplinare a carico dell’avv. C., infatti, è formulato meramente ad abundantiam (cfr. pag. 7 ultimo capoverso della sentenza: “Va inoltre aggiunto… “), giacché l’accertamento dell’autografia della firma della procura ad litem rilasciata nel giudizio divisionale si regge autonomamente sulla comparazione tra tale firma e quella apposte sugli altri atti menzionati nei primi due capoversi di pag. 7 della sentenza impugnata.

7. Col terzo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2 e art. 111 Cost., comma 6. Il ricorrente censura la motivazione del Tribunale là dove si afferma che la statuizione del Giudice di Pace circa l’implausibilità del conferimento del mandato da parte di quest’ultima all’avv. C. sarebbe priva di riscontri probatori (v. supra p. 2.1). La motivazione sarebbe inintelligibile “giacché non si riesce a capire di quale riscontro probatorio abbisognassero le considerazioni di ordine essenzialmente logico del Giudice di Pace” (pag. 14, righi 12-15 ricorso). Che i coniugi fossero separati e che il marito fosse incapiente, soggiunge il ricorrente, erano circostanze non contestate.

7.1. Il motivo è infondato. Esso propone – con specifico riferimento alla revisione, operata dal Tribunale, del ragionamento probatorio svolto dal Giudice di Pace – una doglianza analoga a quella sviluppata nel primo motivo di ricorso, sostenendo che la sentenza impugnata sarebbe nulla in quanto “inintellegibile e quindi tamquam non esset” (pag. 14, terzo capoverso, del ricorso). La motivazione del Tribunale non è apparente e la censura avanzata dal ricorrente si risolve in una doglianza di puro merito, che non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità.

8. Col quarto mezzo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c.. Il motivo contiene due censure, le quali hanno ad oggetto la parte di motivazione sunteggiata supra, al p. 2.1.

8.1. Con la prima censura, si deduce il vizio di ultrapetizione. In particolare, sarebbe viziata la parte di motivazione ove si afferma che G.S. ben poteva avere un interesse a conferire la procura all’avvocato C. poiché il giudizio di avviso diametralmente opposto, contenuto nella sentenza di primo grado, non era stato attinto da specifica censura da parte dell’appellante, avv. C..

8.2. Con la seconda censura, si denuncia come la motivazione sarebbe apparente, in violazione dell’art. 132 c.p.c., poiché “qui il problema non era solo se la G.S. avesse o meno interesse a munirsi di un legale, ma se avesse o meno interesse a rivolgersi a quel legale, cioè al legale del marito insolvente” (pag. 16, righi 14-16).

8.3. Il motivo è infondato in relazione ad entrambe le censure in cui si articola. Il richiamo all’art. 112 c.p.c., è fuori luogo, perché l’appello è un gravame ad effetto devolutivo, cosicché l’impugnazione della statuizione con cui il primo giudice aveva escluso la sussistenza di un rapporto d’opera professionale la sig.ra G. e l’avv. C. investiva il Tribunale di un accertamento a cognizione piena sul devoluto. Il richiamo all’art. 132 c.p.c., è pur esso fuori luogo, perché anche in parte qua la motivazione dell’impugnata sentenza non è apparente e rispetta il “minimo costituzionale”.

9. Il quinto motivo di ricorso contiene anch’esso due distinte doglianze, che attingono entrambe la motivazione della statuizione di rigetto dell’eccezione di nullità della procura (v. supra, p. 2.4).

9.1. Con la prima censura si denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere il Tribunale omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio. Il Tribunale, argomenta il ricorrente, avrebbe disatteso l’eccezione di nullità della procura per assenza della data di rilascio (individuando tale data, per relationem, nella data indicata nell’atto al quale la procura era stata allegata), senza considerare che tale procura risultava congiunta non alla comparsa di costituzione della G., bensì alla citazione in giudizio proveniente dalla controparte.

9.2. Con la seconda censura, riferita all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 83 c.p.c. e art. 2697 c.c.. Tale censura è una conseguenza logica di quella antecedente: avendo omesso il fatto decisivo ora illustrato, il Tribunale avrebbe violato l’art. 83 c.p.c., ed avrebbe inoltre dato per provata, con violazione dell’art. 2697 c.c., la conclusione di un contratto di mandato mai stipulato, a nulla rilevando che l’avv. C. avesse svolto attività difensiva in suo favore.

9.3. Il quinto motivo è inammissibile, in quanto solleva questioni – relative alla validità della procura ad litem rilasciata dalla sig.ra G. all’avv. C. per essere da quest’ultimo rappresentata nel giudizio divisionale – astrattamente rilevanti nell’ambito di tale giudizio, ma prive di rilievo ai fini dell’accertamento del rapporto d’opera professionale tra la sig.ra G. e l’avv. C.; rapporto la cui sussistenza il Tribunale ha desunto dal fatto storico del rilascio della procura (la cui sussistenza prescinde dalla circostanza che la stessa sia stata corredata di data e di autenticazione) e dal concreto svolgimento di una attività professionale dell’avv. C. in favore della sig.ra G. (cfr. pag. 8 ultimo capoverso, della sentenza impugnata).

10. Il ricorso è rigettato.

11. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

12. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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