Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6112 del 09/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 09/03/2017, (ud. 24/01/2017, dep.09/03/2017),  n. 6112

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13072-2015 proposto da:

C.A.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEGLI SCIPIONI 191, presso lo studio dell’avvocato FERDINANDO

SALMERI, che la rappresenta e difende giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli AVVOCATI

CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, EMANUELA CAPANNOLO, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1410/2014 della CORTE D’APPELLO DI REGGIO

CALABRIA, depositata il 10/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/1/2017 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– la Corte di appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza resa dal Tribunale della stessa sede, ha respinto la domanda di C.A.F. (bracciante agricola), intesa ad ottenere l’assegno ordinario di invalidità in relazione alle patologie da cui era affetta. I giudici del gravame hanno ritenuto, sulla base dell’accertamento medico-legale disposto in sede di gravame, che non sussistesse una riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro dell’appellata;

– avverso tale sentenza C.A.F. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi;

– l’I.N.P.S. resiste con controricorso;

– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

– la ricorrente ha depositato memoria;

– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– con il primo motivo la ricorrente denuncia errata applicazione della L. n. 222 del 1984 nonchè vizio motivazionale. Lamenta che la Corte territoriale non abbia tenuto conto dei rilievi critici mossi dall’appellata nelle note difensive autorizzate depositate in data 16 giugno 2014 unitamente alla documentazione sanitaria proveniente dall’I.N.P.S. attestante l’avvenuta conferma della prestazione. Evidenzia plurime carenza nella c.t.u. dell’ausiliare di secondo grado che avrebbe ignorato talune patologie e sottovalutato altre;

– i rilievi presentano innanzitutto profili di inammissibilità laddove la ricorrente fa riferimento ad atti depositati innanzi al giudice di appello (note critiche, documentazione) dei quali non è riprodotto il contenuto in violazione del principio di autosufficienza;

– in ogni caso, la Corte di appello non è incorsa nella denunciata violazione di legge avendo innanzitutto tenuto conto, nella valutazione della capacità lavorativa dell’assicurata, dell’attività dalla stessa svolta;

– il giudizio, espresso correttamente, non è stato solo di tipo biologico ovvero solo riferito ad una generica riduzione della capacità di lavoro astrattamente considerata, essendo stato incentrato sulla possibilità per l’assicurata di svolgere attività confacenti alle sue attitudini, avuto riguardo alla sua esperienza di lavoro ed alla capacità di adattamento;

– quanto all’ulteriore rilievo, pur con una intitolazione conforme al testo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) convertito in L. n. 134 del 2012, la parte, in realtà, critica la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla indicata modifica legislativa che rende insindacabile l’accertamento del fatto compiuto dal giudice di merito in presenza di motivazione idonea a rivelare la ratio decidendi, dovendosi considerare in tali limiti ridotto il controllo di legittimità sulla motivazione (Cass., Sez. Un., n. 8053/2014);

– l’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria). Tuttavia il riferimento al fatto secondario non implica – e la citata sentenza n. 8053/2014 delle S.U. lo precisa chiaramente – che possa denunciarsi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti;

– nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale; sicchè non può certo trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dall’odierna ricorrente;

– la motivazione, poi, non è assente o meramente apparente, nè gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori;

– la Corte territoriale, lungi da una acritica adesione alla consulenza espletata in secondo grado, ha spiegato perchè fossero da condividere le conclusioni dell’ausiliare, correttamente e convincentemente fondate sulla documentazione medica in atti e sugli esiti di un’accurata visita medica, ed altresì chiarito perchè non risultassero convincenti le differenti conclusioni del c.t.u. di primo grado, prive di adeguata motivazione e non sopportate da una obiettiva quantificazione delle limitazioni funzionali;

– il giudice di appello, inoltre, ha congruamente dato atto delle note difensive depositate dall’appellata in data 16 giugno 2014 ed ha ritenuto che le stesse non fossero tali da inficiare le puntuali argomentazioni del consulente officiato in tale grado, il quale aveva fatto puntuale e specifico riferimento all’attività lavorativa dell’appellata, ed ha altresì dato atto della documentazione prodotta (di provenienza I.N.P.S.), ritenendola inidonea a contrastare il giudizio medico-legale del proprio ausiliare;

– la ricorrente, che invero non enuclea una totale obliterazione di circostanze decisive che avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione ovvero una manifesta illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune od ancora un difetto di coerenza tra le ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, si limita a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo patrocinato dalla parte ed a prospettare una difforme valutazione, in senso a lei più favorevole, dell’incidenza del quadro diagnostico, senza dimostrare – al di là delle apodittiche affermazioni in tal senso – per quali ragioni le non condivise conclusioni del consulente d’ufficio si tradurrebbero in una effettiva devianza dei canoni fondamentali della medicina legale;

– i rilievi in esame si sostanziano, così, in una invocata revisione delle valutazioni espresse dal giudice di merito, tesa a conseguire una nuova pronuncia sul fatto, non consentita perchè estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità;

– la proposta va, pertanto, condivisa e il ricorso va rigettato;

– infine, non vi è luogo a condanna della parte soccombente alle spese, avendo già la Corte di appello dato atto della sussistenza delle condizioni per l’esonero ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo risultante a seguito delle modifiche di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11 conv. – con modificazioni – nella L. 24 novembre 2003, n. 326 ratione temporis applicabile, trattandosi di procedimento avviato successivamente al 2 ottobre 2003;

– va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione – così Cass., Sez. un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2017

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