Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6110 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. III, 04/03/2021, (ud. 20/10/2020, dep. 04/03/2021), n.6110

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7332-2018 proposto da:

C.V., + ALTRI OMESSI elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 9 SC C – 2P. INT. 2-3, presso lo studio

dell’avvocato CARLO RIENZI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GINO GIULIANO;

– ricorrenti –

contro

UNIVERSITA’ PALERMO, UNIVERSITA’ PISA, UNIVERSITA’ L’AQUILA

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE

UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS), MINISTERO ECONOMIA FINANZE (OMISSIS),

UNIVERSITA’ NAPOLI FEDERICO II, MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS),

UNIVERSITA’ MESSINA, UNIVERSITA’ STUDI ROMA LA SAPIENZA,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI 6, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI NAPOLITANO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

UNIVERSITA’ DI TOR VERGATA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5075/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/10/2020 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

 

Fatto

che:

A.M., + ALTRI OMESSI e altri, tutti in possesso di laurea diversa da quella in medicina ed iscritti a decorrere dall’anno accademico 2008/2009 a varie scuole di specializzazione di “area sanitaria” di cui al decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca 1 agosto 2005 (quali Biochimica Clinica, Microbiologia e Virologia, Patologia Clinica, Farmacologia Medica), scuole con accesso misto (consentito sia a laureati medici che a soggetti con laurea diversa da medicina), convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Salute, il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nonchè le Università dove si svolgevano i corsi di specializzazione, chiedendo, previo accertamento del diritto alla remunerazione ed alla copertura previdenziale al pari dei medici specializzandi, la condanna al risarcimento del danno in favore del Codacons nella misura di Euro 1,00 ed in favore degli specializzandi nella misura di Euro 25.000,00, o l’importo maggiore o minore, oltre il versamento dei contributi previdenziali ed in via subordinata la condanna al pagamento dell’indennizzo per arricchimento senza causa. Il Tribunale adito dichiarò il difetto di legittimazione passiva del Codacons e rigettò la domanda sul rilievo che le direttive comunitarie si applicassero solo agli specializzandi medici.

Avverso detta sentenza proposero appello gli originari attori. Con sentenza di data 25 luglio 2017 la Corte d’appello di Roma rigettò l’appello, condannando gli appellanti alla rifusione delle spese nella misura di Euro 40.000,00 in favore delle parti assistite dall’Avvocatura Generale dello Stato e nella misura di Euro 10.000,00 in favore dell’Università “La Sapienza” di Roma.

Osservò la corte territoriale che, in aggiunta a quanto osservato dal Tribunale, aveva rilievo assorbente il fatto che la direttiva comunitaria non concernesse tutti coloro che, laureati in medicina, avessero frequentato scuole di specializzazione, ma solo coloro che avessero frequentato scuole di specializzazione comuni agli Stati membri, contemplate negli elenchi degli artt. 5 e 7 della direttiva 75/362/CEE, sicchè per coloro che non fossero neppure medici specialisti in quanto privi del della laurea in medicina e chirurgia non era minimamente ipotizzabile una violazione della normativa comunitaria. Aggiunse che, posto che tale disparità di trattamento non era ipotizzabile per i laureati in medicina non iscritti a scuole di specializzazioni comuni, a fortiori non era ravvisabile per coloro che fossero in possesso del suddetto diploma. Osservò infine, in relazione all’art. 2041 c.c., che da un lato aveva rilievo assorbente il difetto radicale di allegazione prima che di prova dell’attività svolta in concreto dai singoli specializzandi, da cui inferirsi una utilitas per le singole Università, dall’altro condivisibile era la motivazione della sentenza di primo grado al riguardo.

Hanno proposto ricorso per cassazione A.M., + ALTRI OMESSI sulla base di cinque motivi e resistono con unico controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero della Salute, le Università degli Studi di L’Aquila, Messina, Napoli “Federico II”, Palermo e Pisa. Resistono inoltre con distinti controricorsi l’Università di Tor Vergata di Roma e l’Università “La Sapienza” di Roma. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria dai ricorrenti e dall’Università degli Studi di Roma La Sapienza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’allegato 1 della direttiva n. 93/16 CEE, nonchè del D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 39 e 41 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la direttiva 82/76/CEE, pur facendo riferimento ai medici specializzandi, è chiaramente rivolta anche agli specializzandi con laurea diversa da quella in medicina e che il compenso previsto dall’art. 13 della direttiva trova fondamento nell’impegno a tempo pieno nell’attività di specializzazione. Aggiunge che il D.M. 1 agosto 2005 parifica tutte le scuole di specializzazione di area sanitaria, senza distinguere fra specializzandi medici e non medici, e che le specializzazione di cui sono in possesso i ricorrenti sono ad accesso c.d. misto, consentito sia a laureati medici che a soggetti con laurea diversa da medicina.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale ha disatteso l’eccezione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 39 e 41 per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui limitano il diritto alla remunerazione ed alla copertura previdenziale ai soli medici specializzandi, rinviando in modo acritico alla motivazione della sentenza di primo grado, la quale aveva rigettato l’eccezione sulla base dell’assunto che le direttive riguardassero esclusivamente i medici. Aggiunge che il D.M. 1 agosto 2005 ha esteso agli specializzandi non medici le norme che nel D.Lgs. n. 368 del 1999 riguardano i medici specializzandi, trasformando tale D.Lgs. in fonte dei diritti ed obblighi per gli specializzandi non medici, senza estendere i diritti remunerativi e previdenziali, e che il principio di eguaglianza impone tale estensione.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha omesso di pronunciare sulla eccezione di illegittimità costituzionale della L. n. 401 del 2000, art. 8 per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui limita il diritto alla remunerazione ed alla copertura previdenziale ai soli medici specializzandi.

I motivi dal primo al terzo, da valutare congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili. La corte territoriale ha ritenuto assorbente, rispetto a quanto rilevato dal Tribunale, e cioè l’applicabilità delle direttive comunitarie ai soli specializzandi medici, la circostanza che la direttiva non contemplasse tutti i laureati in medicina che avessero frequentato scuole di specializzazione, ma solo coloro che avessero frequentato scuole di specializzazione comuni agli Stati membri, contemplate negli elenchi degli artt. 5 e 7 della direttiva 75/362/CEE, precisando che a fortiori tale conclusione dovesse valere per gli specializzandi non medici.

Ratio decidendi deve pertanto reputarsi l’estraneità delle specializzazioni per cui è causa alle scuole di specializzazione comuni agli Stati membri, che è profilo ritenuto assorbente dal giudice di appello rispetto alla distinzione specializzandi medici e non medici. Tale ratio, che evidentemente rinvia alla mancanza del possesso di una specializzazione contemplata dalla disciplina comunitaria (anche in via di equipollenza a quelle contemplate), non risulta impugnata dai motivi di ricorsi, i quali sono incentrati sul diverso profilo del mancato riconoscimento dei medesimi diritti dei medici specializzandi alla remunerazione ed al trattamento previdenziale, anche in via di illegittimità costituzionale della normativa, ove ritenuta non contemplante tali diritti. Le censure, lasciando non incisa la ratio decidendi della sentenza impugnata, sono quindi prive di decisività.

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 39 e 41, art. 32, n. 4 e art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente, con riferimento alla motivazione della decisione impugnata relativa all’art. 2041 c.c., che è sufficiente uno sguardo al D.M. 1 agosto 2005 ed all’atto di citazione (ed agli ulteriori scritti difensivi) per comprendere che l’attività svolta dagli specializzandi non medici risulta disciplinata dal D.M., il quale contiene una dettagliata elencazione dell’attività che gli stessi sono chiamati a svolgere, e che la corte territoriale ha rinviato puramente e semplicemente alla decisione di primo grado in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4. Aggiunge che in primo grado la domanda era stata disattesa con la motivazione che l’attività dei medici specializzandi non era inquadrabile nell’ambito del rapporto di lavoro, tesi non condivisibile perchè il D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 37 qualifica il rapporto fra lo specializzando e la scuola di specializzazione come rapporto di formazione – lavoro.

Il motivo è inammissibile. Con riferimento alla questione dell’applicabilità dell’art. 2041 c.c. la decisione è retta da due rationes decidendi: 1) il difetto radicale di allegazione prima che di prova dell’attività svolta in concreto dai singoli specializzandi, da cui inferirsi una utilitas per le singole Università, profilo ritenuto di carattere assorbente; 2) la condivisibilità della motivazione della sentenza di primo grado al riguardo. La prima ratio risulta impugnata in modo inidoneo, in primo luogo mediante il riferimento all’astratta disciplina, dalla quale si evincerebbe l’attività istituzionalmente svolta dallo specializzando, che naturalmente non riguarda l’attività in concreto svolta; in secondo luogo mediante il generico riferimento all’atto di citazione ed agli ulteriori atti difensivi, che è chiaramente censura priva di specificità, oltre che in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. La permanenza della prima ratio decidendi rende priva di decisività l’impugnazione relativa alla seconda ratio.

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 2 e 4, art. 132 c.p.c., n. 4, art. 24 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che l’importo spropositato delle spese processuali, complessivamente liquidato per Euro 50.000,00, di cui Euro 40.000,00 in favore delle parti assistite dall’Avvocatura Generale dello Stato ed Euro 10.000,00 in favore dell’Università “La Sapienza” di Roma, è in contrasto con i principi di cui al D.M. n. 55 del 2014, artt. 2 e 4 essendosi la difesa erariale limitata a redigere la sola comparsa di costituzione e risposta, peraltro con contenuto errato, e che, nonostante l’attività difensiva dell’Avvocatura dello Stato fosse ridotta al minimo, il giudice di appello ha innalzato i parametri medi.

Il motivo è infondato. La censura riguarda solo l’importo liquidato in favore delle parti difese dall’Avvocatura generale dello Stato. Trattasi di una pluralità di parti, costituite mediante unico atto, nei confronti dell’appello proposto con unico atto da ventotto parti. Avuto riguardo all’importo liquidato, ai sensi dell’art. 97 c.p.c., u.c. la condanna si deve intendere pro parte per Euro 1.428,57 a carico di ciascuno, essendovi 28 parti appellanti e soccombenti: non è stata pronunciata, infatti, condanna in solido e la ripartizione va così fatta per quote uguali. Non ricorrendo l’identità di posizione processuale dei 28 soggetti assistiti dal medesimo avvocato, non trova applicazione il D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2. Il valore della causa, ai fini della liquidazione del compenso, è pertanto di Euro 700.000,00 (Euro 25.000,00 per 28). Tenuto conto della trattazione in appello ai sensi dell’art. 350 c.p.c., il compenso è dovuto anche per la fase istruttoria e/o di trattazione (D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, lett. c)). Considerato il limite dell’aumento pari all’80% previsto dal D.M. n. 55, art. 4 ed il necessario aumento del 30% ai sensi dell’art. 6 medesimo D.M., l’importo liquidato non oltrepassa il massimo di Euro 44.834,40 (Euro 19.160,00 aumentato dell’80% e poi del 30%). Salvo il rispetto dei parametri minimi e massimi, la determinazione in concreto del compenso per le prestazioni professionali di avvocato è rimessa esclusivamente al prudente apprezzamento del giudice di merito (fra le tante da ultimo, Cass. n. 4782 del 2020). Non ricorre pertanto la denunciata violazione di diritto.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore di Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero della Salute, le Università degli Studi di L’Aquila, Messina, Napoli “Federico II”, Palermo e Pisa, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.650,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, alle spese prenotate a debito ed agli accessori di legge.

Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dell’Università di Tor Vergata di Roma, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.650,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, alle spese prenotate a debito ed agli accessori di legge.

Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dell’Università “La Sapienza” di Roma, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 16.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

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