Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6109 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 24/02/2022, (ud. 16/12/2016, dep. 24/02/2022), n.6109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 915-2021 proposto da:

E.B., elett.te domiciliato presso l’avv. CARMELO

PICCIOTTO dal quale è rappres. e difeso, con procura speciale in

atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 7221/2020 del TRIBUNALE di PALERMO,

depositato il 13/11/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/12/2021 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO

CAIAZZO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

E.B., cittadina della Nigeria, ha adito il Tribunale di Palermo impugnando il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il Tribunale ha rigettato il ricorso, osservando che: “a prescindere da qualsivoglia rilievo in ordine all’attendibilità delle propalazioni del ricorrente (profilo rispetto al quale risultano peraltro condivisibili le valutazioni negative operate dalla Commissione, apparendo scarsamente credibile quanto affermato dalla stessa E.B.) deve rilevarsi che i fatti dal medesimo denunciati non valgono, con ogni evidenza, ad integrare un rischio di “persecuzione” correlato a motivi di “razza, religione, nazionalita, particolare gruppo sociale, opinione politica””; erano da escludere i requisiti per la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla base delle COI consultate e menzionate; erano invece sussistenti i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (riguardato nella formulazione antecedente alla riforma) e conseguentemente di un permesso di soggiorno “per casi speciali” ai sensi del D.L. n. 113 del 2018, art. 9, comma 1, in considerazione della particolare vulnerabilità soggettiva della ricorrente che si trova in Italia in qualità di madre sola insieme alla figlia minore, nata in Italia, di soli tre anni, e valutando la vulnerabilità sia della ricorrente sia della figlia, anche alla luce della relazione del Centro di accoglienza straordinaria di cui il Tribunale cita alcuni passaggi da cui emerge che: “la ricorrente è arrivata al centro di accoglienza dall’unità di ostretricia dell’ospedale civico di Palermo in data 9 giugno 2017, dopo aver dato alla luce la figlia P.E. in data (OMISSIS); che la stessa fin da subito aveva mostrato grande impegno nel prendersi cura della figlia neonata; che la stessa aveva dimostrato interesse anche alle iniziative informative di accompagnamento alla maternità organizzate all’interno del centro; che dall’indagine psicologica emergevano alcuni elementi stressogeni “intrusivi”, derivanti dalle vicissitudini affrontate nel Paese di origine, delle riferite violenze subite dal padre e i traumi durante il viaggio per l’Italia; che le condizioni di vita estreme del “ghetto” in Libia avevano rappresentato per la ricorrente un momento molto duro e difficile sul piano psico-fisico che aveva in corso la gravidanza; che le condizioni di vita estreme del “ghetto” e l’esposizione ad atti di violenza (tanta gente uccisa per futili motivi) hanno segnato psicologicamente la ricorrente, in uno scenario molto usuale di traumatizzazione vicaria; che anche il momento della traversata via mare ha rappresentato un momento molto doloroso e traumatico, polché durante le operazioni di imbarco è stata separata dal suo compagno e ne ha perso le tracce; che tutt’ora non ha certezza se il compagno sia salito sull’imbarcazione o se sia rimasto in Libia; che seppure abbia cercato di rintracciarlo anche tramite la rete di amici e il servizio della Croce Rossa purtroppo non ha avuto alcun riscontro; che tale perdita insieme alla separazione dalle figlie maggiori sono due contenuti emotivi ancora “non elaborati” (tuttora oggetto dei colloqui psicologici di sostegno); che hanno inevitabilmente conseguenze anche sulla vita comunitaria all’interno del centro; che sotto il profilo dell’integrazione sociale nel territorio la ricorrente è stata inserita in un percorso di rieducazione psicosociale attraverso un lavoro individuale sulla consapevolezza dei propri stati emotivi e sulla gestione degli stessi; che la ricorrente si è impegnata nei diversi percorsi proposti ristabilendo interazioni e relazioni appropriate con la figlia, le altre mamme e con il gruppo in genere; che la ricorrente aveva mostrato interesse e curiosità e capacità di orientering e di autonomia; che la ricorrente ha frequentato il corso di lingua italiana e ha partecipato alle attività proposte dal centro e accudisce la piccola P.; che il rimpatrio sortirebbe l’effetto di precipitare nuovamente in una condizione di totale insicurezza economica e, in definitiva, personale”.

Avverso il predetto decreto E.B. ricorre in cassazione, con tre motivi. Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.

Diritto

RITENUTO

che:

Il primo motivo denunzia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per radicale carenza di motivazione in ordine alla credibilità della ricorrente, trattandosi di motivazione per relationem che non svolge alcun esame critico delle censure mosse, in palese contrasto con la giurisprudenza di legittimità.

Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 251 del 2007, relativamente all’art. 3, comma 4, all’art. 5, comma 1, lett. c), all’art. 6, comma 2, all’art. 7, all’art. 8, comma 2, lett. d), nonché difetto di motivazione in ordine alla mancata valutazione delle condotte subite dalla ricorrente quali atti di persecuzione riconducibili a motivi di genere. Al riguardo, la ricorrente invoca anche la Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia con L. n. 77 del 2013, che all’art. 3, lett. b), include le condotte subite in famiglia da parte del padre nella definizione di “violenza domestica”, ed all’art. 60, prevede che la violenza domestica possa essere riconosciuta come forma di persecuzione ai sensi della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951, art. 1 A.

Il terzo motivo denunzia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 115 c.p.c., per radicale carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), e per l’inconciliabilità delle informazioni probatorie riportate e utilizzate dal giudice per negare la stessa protezione sussidiaria ex art. 14, lett. b), con quelle contenute nei verbali di audizione e di udienza e nella relazione psico-sociale, circa fatti essenziali discussi dalle parti che non sono stati fatti oggetto di valutazione ai fini del decidere, nonché omesso esame di un fatto storico (la violenza domestica subita dalla ricorrente), che ha formato oggetto di discussione tra le parti.

I tre motivi, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, vanno accolti. La ricorrente si duole, in sostanza, del fatto che il Tribunale abbia omesso di motivare sia sulla questione della credibilità dei ricorrente, sia sull’insussistenza dei presupposti delle varie forme di protezione internazionale, con particolare riguardo alla violenza domestica che avrebbe subito dal padre.

Invero, il Tribunale ha sostanzialmente omesso il concreto giudizio di credibilità soggettiva della ricorrente, con riguardo alle violenze che avrebbe subito dal padre, affermando genericamente di condividere i rilievi espressi dalla Commissione territoriale e che, comunque, i fatti narrati non integravano i presupposti legittimanti lo status di rifugiato. Ora, tale motivazione è del tutto apparente, in quanto non affronta la questione principale oggetto del ricorso, afferente agli atti violenti che il padre della ricorrente avrebbe perpetrato a suo danno – per opporsi alla relazione che la figlia aveva intrapreso con un compagno nigeriano – che, come tali, sono inquadrabili nell’ambito della fattispecie di “violenza domestica”, oggetto della Convenzione di Istanbul, richiamata nel ricorso in esame. Al riguardo, secondo l’orientamento di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, in tema di protezione internazionale, gli atti di violenza domestica, così come intesi dalla Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, art. 3, quali limitazioni al godimento dei diritti umani fondamentali, possono integrare i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), in termini di rischio effettivo di “danno grave” per “trattamento inumano o degradante”, qualora risulti che le autorità statuali non contrastino tali condotte o non forniscano protezione contro di esse, essendo frutto di regole consuetudinarie locali (Cass., n. 23017 del 2020) ovvero per il riconoscimento di persecuzione legata al genere.

Il Tribunale ha, altresì, omesso ogni accertamento in ordine alla specifica questione narrata dalla ricorrente, in ordine alle violenze domestiche e all’atteggiamento delle autorità locali nigeriane circa la tematica delle violenze in famiglia, al fine di poter applicare i principi dettati dalla suddetta Convenzione quanto alle limitazioni del godimento dei diritti umani.

Pertanto, il decreto impugnato va cassato, con rinvio al Tribunale di Palermo, anche per le spese del grado di legittimità.

P.Q.M.

Il Tribunale accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Palermo, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

 

 

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