Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6109 del 04/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 04/03/2020), n.6109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13330-2018 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AURELIA 353,

presso lo STUDIO LEGALE DURIGON, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIO GIRARDI;

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8882/1/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 23/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI

ROBERTO GIOVANNI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

M.L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro l’Agenzia delle entrate, impugnando la sentenza resa dalla CTR Campania indicata in epigrafe che, dichiarato ammissibile l’appello proposto dall’ufficio dopo la concessa rinnovazione della notifica dell’impugnazione, ha annullato la sentenza impugnata e riconosciuta la legittimità dell’avviso di accertamento emesso per la ripresa di IRPEF e IVA per l’anno 2010, non ritenendo applicabile la L. n. 212 del 2000, art. 12, agli accertamenti emessi sulla base di controllo documentale in assenza di accessi e verifiche in loco.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Con il primo motivo il ricorrente prospetta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 38 e 51 nonchè degli artt. 149,291 e 327 c.p.c. La CTR avrebbe errato nel ritenere tempestivo l’appello alla sentenza depositata il 12.11.2015 notificato dall’ufficio nel giugno 2017, avendo errato il giudice di appello nel ritenere la tempestività dell’impugnazione dopo che la prima notifica non si era compiuta in assenza del deposito dell’avviso di ricevimento della raccomandata.

Con il secondo motivo si deduce la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Il primo motivo è fondato e determina l’assorbimento del secondo motivo.

Ed invero, questa Corte ha da tempo ritenuto che la notifica a mezzo del servizio postale non si esaurisce con la spedizione dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario, e la prova di tale consegna – alla cui data (invece che a quella di spedizione) bisogna fare riferimento anche ai fini della tempestività del ricorso per cassazione – è offerta solo dall’avviso di ricevimento prescritto dall’art. 149 c.p.c. la cui mancata allegazione determina l’inesistenza della notificazione con conseguente impossibilità per il giudice di disporre il rinnovo della notificazione, ai sensi dell’art. 291 c.p.c. in quanto la sanatoria ivi prevista è consentita nella sola ipotesi di notificazione esistente, sebbene affetta da nullità – cfr. Cass. n. 3303/1994 -.

In questa direzione si era già prima riconosciuto che in tema di notificazione per mezzo del servizio postale, che non si esaurisce con la spedizione dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario da parte dell’agente postale, l’avviso di ricevimento, prescritto dall’art. 149 c.p.c., è il solo documento idoneo a provare sia la consegna, sia la data di questa, sia l’identità della persona a mani della quale la consegna è stata eseguita. Consegue che la mancanza di sottoscrizione dell’agente postale sull’avviso di ricevimento del piego raccomandato rende inesistente, e non soltanto nulla, la notificazione, rappresentando la sottoscrizione l’unico elemento valido a riferire la paternità dell’atto all’agente postale – cfr. Cass. n. 6146/1992 -.

I contrasti interpretativi sul valore dell’avviso di ricezione ai fini del perfezionamento della notifica e del vizio derivante dalla mancata produzione sono successivamente stati appianati dalle Sezioni Unite di questa Corte che hanno affermato il seguente principio: la produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale ai sensi dell’art. 149 c.p.c., o della raccomandata con la quale l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuto compimento delle formalità di cui all’art. 140 c.p.c., è richiesta dalla legge esclusivamente in funzione della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio e, dunque, dell’avvenuta instaurazione del contraddittorio. Ne consegue che l’avviso non allegato al ricorso e non depositato successivamente può essere prodotto fino all’udienza di discussione di cui all’art. 379 c.p.c., ma prima che abbia inizio la relazione prevista dal comma 1 della citata disposizione, ovvero fino all’adunanza della corte in camera di consiglio di cui all’art. 380-bis c.p.c., anche se non notificato mediante elenco alle altre parti ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 2. In caso, però, di mancata produzione dell’avviso di ricevimento, ed in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato, il ricorso per cassazione è inammissibile, non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c.; tuttavia, il difensore del ricorrente presente in udienza o all’adunanza della corte in camera di consiglio può domandare di essere rimesso in termini, ai sensi dell’art. 184-bis c.p.c., per il deposito dell’avviso che affermi di non aver ricevuto, offrendo la prova documentale di essersi tempestivamente attivato nel richiedere all’amministrazione postale un duplicato dell’avviso stesso, secondo quanto previsto dalla L. n. 890 del 1982, art. 6, comma 1 -cfr. Cass. S.U. n. 627/2008, Cass. S.U. n. 18361/2018; v., poi, Cass. n. 25912/2017 -.

Nel rito tributario si è ancora ritenuto, in coerenza con quanto affermato dalle S.U., che la notifica a mezzo servizio postale non si esaurisce con la spedizione dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario, e l’avviso di ricevimento prescritto dall’art. 149 c.p.c. e dalle disposizioni della L. 20 novembre 1982, n. 890, è il solo documento idoneo a dimostrare sia l’intervenuta consegna che la data di essa e l’identità e l’idoneità della persona a mani della quale è stata eseguita. Ne consegue che, anche nel processo tributario, qualora tale mezzo sia stato adottato per la notifica del ricorso, la mancata produzione dell’avviso di ricevimento comporta, non la mera nullità, ma la insussistenza della conoscibilità legale dell’atto cui tende la notificazione (della quale, pertanto, non può essere disposta la rinnovazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c.), nonchè l’inammissibilità del ricorso medesimo, non potendosi accertare l’effettiva e valida costituzione del contraddittorio, in caso di mancata costituzione in giudizio della controparte, anche se risulti provata la tempestività della proposizione dell’impugnazione -cfr. Cass. n. 8717/2013 -.

In modo ancora più preciso si è poi ritenuto, ai fini che qui interessano, che la notifica a mezzo del servizio postale anche se con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario si hanno per verificati, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002, gli effetti interruttivi ad essa connessi per il notificante – non si esaurisce con la spedizione dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario, e l’avviso di ricevimento prescritto dall’art. 149 c.p.c. e dalle disposizioni della L. 20 novembre 1982, n. 890 è il solo documento idoneo a dimostrare sia l’intervenuta consegna che la data di essa e l’identità e l’idoneità della persona a mani della quale è stata eseguita. Ne consegue che, anche nel processo tributario, qualora tale mezzo sia stato adottato per la notifica del ricorso in appello, la mancata produzione dell’avviso di ricevimento comporta, non la mera nullità, ma l’inesistenza della notificazione (della quale, pertanto, non può essere disposta la rinnovazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c.) e l’inammissibilità del ricorso medesimo, in quanto non può accertarsi l’effettiva e valida costituzione del contraddittorio, anche se risulta provata la tempestività della proposizione dell’impugnazione – cfr. Cass. n. 10506/2006 -.

A questi principi si è sono poi rifatte, coerentemente, Cass. S.U. n. 14916 e 14917 del 2016, laddove hanno qualificato come notificazione inesistente, per quel che qui importa, quella di “notificazione meramente tentata ma non compiuta” equiparando tale ipotesi ad omessa notificazione.

Orbene, fermi i superiori principi che in questa sede vanno integralmente confermati, appare evidente l’errore della CTR che ha ritenuto ammissibile l’impugnazione alla sentenza depositata il 12.11.2015 e non notificata entro il termine del 12.5.2016 risultando solo, per esplicita indicazione contenuta nella sentenza impugnata, la prova della spedizione dell’atto di impugnazione del 5.5.2016 “il cui avviso di ricevimento non è pervenuto”.

Sulla base di tali considerazioni, la CTR ha errato nel ritenere tempestivo l’appello notificato nel giugno 2017 quando era ampiamente decorso il termine di impugnazione di sei mesi, tenuto conto dell’epoca in cui è stato incardinato il giudizio di primo grado – 7.2.2015, come risulta dalla sentenza impugnata -.

Il primo motivo di ricorso è quindi fondato e determina l’assorbimento del secondo motivo.

Sulla base di tali considerazioni, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio dovendosi dichiarare che l’appello non poteva essere proposto.

Le spese del giudizio di appello vano poste a carico dell’Agenzia delle entrate così come quelle del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata senza rinvio dichiarando inammissibile l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate.

Pone le spese del giudizio di appello e di quello di legittimità a carico dell’Agenzia delle entrate, liquidandole rispettivamente in Euro 1.500 oltre spese generali del 15 % e in Euro per compensi, oltre spese generali nella misura del 15 %.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2020

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