Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6108 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 24/02/2022, (ud. 16/12/2021, dep. 24/02/2022), n.6108

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 61-2021 proposto da:

K.M., elett.te domiciliato presso l’avvocato ENRICO VARALI

dal quale è rappres. e difeso, con procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, in VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto n. 2219/2019 R.G. del TRIBUNALE di VENEZIA,

depositato l’01/10/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/12/2021 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO

CAIAZZO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

K.M., cittadino del Mali, ha adito il Tribunale di Venezia impugnando il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il Tribunale, in seguito all’audizione del ricorrente all’udienza dell’11 settembre 2019, ha rigettato il ricorso, osservando che: il racconto del ricorrente non era credibile, in quanto generico, pieno di contraddizioni riguardo alla vicenda narrata, in adesione al giudizio espresso dalla Commissione Territoriale; esclusa la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), erano da escludere anche i requisiti per la protezione ai sensi del suddetto art. 14, lett. c), sulla base delle COI consultate e menzionate; non sussistevano i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in considerazione della mancata allegazione di condizioni di particolare vulnerabiltà, della mancata documentazione dell’esistenza di postumi sull’integrità fisica o psichica derivanti dal periodo trascorso in Libia e del mancato raggiungimento di un adeguato livello di integrazione sociale in Italia, non essendo stato documentato lo svolgimento di attività lavorativa sufficientemente stabile e con retribuzione adeguata.

Avverso il predetto decreto K.M. ricorre per cassazione con tre motivi. Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.

Diritto

RITENUTO

che:

Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 115 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 comma 1 e art. 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, avendo il Tribunale escluso la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, ex art. 14, lett. c), con motivazione contraddittoria ritenendo che a Bamako non vi sia una situazione di violenza generalizzata. In primo luogo, il ricorrente censura la parte del decreto impugnato in cui è stato affermato che il ricorrente proviene da Bamako evidenziando che sia nel verbale di audizione dinanzi alla Commissione territoriale (All. D, doc. 3, pag. 3) sia nel ricorso di primo grado (All. D, doc. 1) il ricorrente aveva specificato di essere nato nella capitale Bamako ma di essersi trasferito insieme alla madre a (OMISSIS) nel 2012, nella regione di (OMISSIS), nella zona centrale del Mali, dopo la morte del padre, per lavorare con lo zio come pastore. Al riguardo, il ricorrente si duole che il Tribunale non ha compiuto un’attenta valutazione delle condizioni di sicurezza nella zona da cui proviene al fine di valutare la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c).

Il secondo motivo denunzia violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in rapporto al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e al D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29, al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3-bis, all’art. 8 CEDU, per aver il Tribunale omesso di effettuare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del ricorrente, ed omesso di valutare le condizioni di vulnerabilità del ricorrente, nonché di esaminare la documentazione prodotta attestante l’integrazione sociale del ricorrente e le relazioni prodotte da cui emergeva la frequentazione di corsi formativi e professionali e un contratto di lavoro (All. D, doc. 5).

Il terzo motivo denunzia violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1.1, così come modificato dal D.L. 130/2020, per aver il Tribunale omesso di motivare il mancato riconoscimento della protezione ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1.1.

Il ricorso va accolto.

Il primo motivo è inammissibile. Invero, il Tribunale ha esaminato e valutato varie COI circa la situazione generale del paese di provenienza del ricorrente, rilevando che le dichiarazioni di quest’ultimo erano contraddittorie circa la regione di provenienza.

Il secondo è fondato. Al riguardo, il Tribunale ha escluso il riconoscimento della protezione umanitaria, ritenendo, tra l’altro, che la situazione lavorativa del ricorrente non era stabile e non adeguatamente retribuita, omettendo però, da un lato, di dar conto del contenuto specifico del contratto di lavoro prodotto e, dall’altro, l’esame degli altri documenti prodotti al fine di dimostrare l’integrazione sociale (in ordine alla conoscenza linguistica ed a corsi professionali).

Al riguardo, occorre richiamare la recente sentenza delle SU di questa Corte secondo la quale base alla normativa del testo unico sull’immigrazione anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta in Italia, attribuendo alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado d’integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nella società italiana, fermo restando che situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese originario possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia; qualora poi si accerti che tale livello è stato raggiunto e che il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare tali da recare un “vulnus” al diritto riconosciuto dalla Convenzione EDU, art. 8, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno (SU, n. 24413 del 2021).

Nel caso concreto, il Tribunale ha dunque omesso di esaminare i suddetti documenti, ai fini di una compiuta valutazione dell’integrazione sociale, da porre in relazione con la condizione del ricorrente nel paese di provenienza.

Infine, va accolto anche il terzo motivo, avendo il Tribunale omesso ogni motivazione sulla doglianza afferente alla violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1.

Per quanto esposto, in accoglimento del secondo e terzo motivo, il decreto impugnato va cassato, con rinvio al Tribunale di Venezia, anche per le spese del grado di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo e terzo motivo, inammissibile il primo, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

 

 

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