Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6107 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. III, 04/03/2021, (ud. 20/10/2020, dep. 04/03/2021), n.6107

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente di sez. –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25183-2016 proposto da:

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, (OMISSIS), PRESIDENZA DEL

CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), MINISTERO

ECONOMIA FINANZE (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

R.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. MORDINI, 14,

presso lo studio dell’avvocato MARIA LUDOVICA POLTRONIERI,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO SANTUCCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1071/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 24/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

R.V. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di L’Aquila, l’Università di quella città, la Presidenza del Consiglio dei ministri e i Ministeri della salute, dell’istruzione e università, dell’economia e finanze, chiedendo che fosse dichiarato il suo diritto a percepire un’adeguata remunerazione in relazione al periodo di specializzazione medica, in Chirurgia generale, svolto;

a sostegno della domanda esponeva di aver seguito il corso di sei anni a decorrere dall’anno accademico 2003/2004 e di avere diritto, quindi, a percepire l’aggiornamento degli emolumenti già ricevuti, a titolo di borsa di studio, ai sensi del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6;

argomentava che il legislatore nazionale aveva stabilito, con il D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, di recepimento, tra l’altro, della direttiva 93/16/CEE, un incremento del compenso in favore dei medici specializzandi, che aveva avuto effettiva attuazione, però, illegittimamente, solo con la L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300, con decorrenza dall’anno accademico 2006/2007;

in subordine, il deducente chiedeva che gli venisse riconosciuto, ai sensi dell’art. 2043, c.c., il diritto al risarcimento del danno per il ritardo col quale era stata data compiuta attuazione al suddetto disposto del D.Lgs. n. 368 del 1999;

il Tribunale, davanti al quale resistevano i convenuti, accoglieva la domanda, condannando tutte le amministrazioni convenute;

la Corte d’appello di L’Aquila accoglieva il gravame proposto da tutte le amministrazioni limitatamente al riconoscimento del difetto di legittimazione passiva dell’Università: osservava, per quanto ancora qui rileva, che con il D.Lgs. n. 257 del 1991 lo Stato aveva recepito la direttiva 82/76/CEE; la successiva direttiva 93/16/CE, contenente un testo unico della disciplina di settore, aveva ribadito la necessità che ai medici specializzandi fosse dovuta un’adeguata remunerazione; ne derivava che il D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39 non poteva ritenersi frutto di una manifestazione di volontà propria e autonoma dello Stato italiano, sicchè il richiamato differimento dell’entrata in vigore del citato art. 39, comportando la perdurante applicazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 aveva determinato un’elusione del dettato comunitario;

contro questa sentenza propongono ricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero della salute, il Ministero dell’istruzione e università e quello dell’economia e delle finanze, con unico atto affidato a due motivi;

resiste R.V. con controricorso;

il ricorso, in origine avviato a trattazione camerale davanti alla Sesta Sezione Civile di questa Corte, è stato dalla medesima rimesso alla Terza Sezione Civile, in pubblica udienza, con ordinanza n. 23430 del 2018;

parte ricorrente, in vista dell’adunanza camerale depositava memoria;

in vista dell’odierna udienza pubblica il Pubblico Ministero presso la Corte ha depositato conclusioni scritte.

Diritto

RILEVATO

Che:

con il primo motivo di ricorso si prospetta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303, art. 3 in combinato disposto con l’art. 101 c.p.c., per difetto di legittimazione passiva dei Ministeri convenuti in giudizio, spettando, la stessa, solo al vertice amministrativo presidenziale;

con il secondo motivo di ricorso si prospetta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 disp. gen., comma 1; del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 del D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37, 39, 41 e 46 del D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 8 della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300, degli artt. 234, 249 Trattato CEE, e delle direttive nn. 82/76, 75/363, 75/362, dell’art. 13 direttiva n. 82/76 CEE, dell’art. 1, comma 1, della direttiva 93/16, dei principi enunciati dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea con le sentenze 25 febbraio 1999 – causa C-131/97 (Carbonari) e 3 ottobre 2000 – causa C371/97 (Gozza), del D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7 convertito, con modifiche, dalla L. 14 novembre 1992, n. 438, della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 36, della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, comma 33, della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 12, della L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 22 della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36 sostenendo che la Corte di appello avrebbe errato ritenendo che solo con il D.Lgs. n. 368 del 1999 e poi con la L. n. 266 del 2005 lo Stato italiano abbia dato compiuta attuazione alla normativa comunitaria, laddove la normativa sopravvenuta – rispetto a quella, già attuativa delracquis”, contenuta nel D.Lgs. n. 257 del 1991 – non sarebbe stata emanata in ottemperanza a un obbligo comunitario, ma per scelta discrezionale legislativa;

Rilevato che:

deve preliminarmente disattendersi l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dalla parte controricorrente;

la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 24 settembre 2015 mentre il ricorso è stato notificato il 25 ottobre 2016: nella specie, è applicabile il termine lungo d’impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c. (come condiviso dallo stesso controricorrente), in quanto la sentenza non risulta notificata;

trattandosi di giudizio iniziato nel 2007, detto termine ha durata annuale, ed è soggetta alla sospensione feriale, pari a 31 giorni, non 30 come sostenuto da parte controricorrente, dal 1 al 31 agosto (L. n. 742 del 1969, art. 1 come modificato dal D.L. n. 132 del 2014, art. 16 quale convertito): ne consegue la tempestività;

è infatti costante indirizzo nomofilattico quello per cui il periodo di sospensione sia computato “ex numeratione dierum” ai sensi del combinato disposto dell’art. 155 c.p.c., comma 1, e della L. n. 742 del 1969, art. 1, comma 1, proprio per la specifica lettera di quest’ultimo precetto (immutata, ai fini in parola, dopo la novella del 2014) (Cass., 24/03/1998, n. 3112, Cass., 07/07/2000, n. 9068, Cass., 04/10/2013, n. 22699, pag. 4);

nel merito cassatorio:

il primo motivo è infondato;

va premesso che la Presidenza del Consiglio dei Ministri sebbene non risulti appellante nell’intestazione della sentenza di appello, era tale come esplicitamente affermato dalla Corte territoriale (pag. 6 della sentenza gravata), così come sin dall’inizio del giudizio risultava convenuta (pag. 10);

ciò posto, questa Corte ha già chiarito, in analoghe fattispecie, che l’evocazione in giudizio – oltre che della Presidenza del Consiglio dei Ministri, pacificamente titolata a stare in giudizio – anche di singoli Ministeri, non comporta alcuna conseguenza in termini propri di legittimazione sostanziale, trattandosi di articolazioni del governo della Repubblica, e quindi, in questa chiave, di una soggettività unitaria (Cass., 25/03/2015, n. 6029, Cass., 19/01/2016, n. 765, Cass., 26/02/2019, n. 5498);

l’Avvocatura dello Stato sostiene che il caso sarebbe differente poichè l’amministrazione erroneamente evocata in lite si era costituita formulando la specifica eccezione e indicando che l’unica legittimata era la Presidenza del consiglio dei ministri;

deve ribadirsi in contrario che, nell’ipotesi, per la ragione sopra riportata, non si pone in radice un problema di legittimazione sostanziale;

com’è stato osservato (Cass., 15/11/2016, n. 23202, pagg. 9-10, conf., sempre ad es., Cass., n. 5498 del 2019, cit.) la difesa erariale, cioè, di fronte a un’evocazione dello Stato non già nell’articolazione governativa della Presidenza del consiglio, bensì dei Ministeri, potrebbe implicare non una questione di legittimazione passiva bensì ai sensi della L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 4 rivendicando come articolazione legittimata unicamente la Presidenza e, sulla base di tale deduzione, chiedere la rimessione in termini, essendo dunque evidente che nessuna conseguenza può invece esservi se siano chiamate in lite sia la Presidenza sia i Ministeri;

il secondo motivo è, al contrario, fondato;

va premesso, in relazione all’eccezione svolta sul punto dal controricorrente, che, come desumibile da quanto si sta per dire, non si tratta di questione nuova, e come tale inammissibile in questa sede, ma “in iure” e afferente proprio allo scrutinio della domanda;

la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39 si applica, per effetto dei differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, e questo perchè la direttiva 93/16/CEE non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio di cui alla normativa del 1991 (Cass., 14/03/2018, n. 6355, con motivazione ampiamente ricostruttiva; conf., ad esempio, Cass., 29/05/2018, n. 13445, Cass., 16/10/2019, n. 26240, Cass., nn. 5508 del 2019, 5717 del 2019, 8997 del 2020, 18054 del 2020, 18106 del 2020);

il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto un’adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione (direttive non applicabili direttamente nell’ordinamento interno, in considerazione del loro carattere non dettagliato) è avvenuto con la L. 29 dicembre 1990, n. 428 e con il D.Lgs. n. 257 del 1991, che ha riconosciuto agli specializzandi la borsa di studio annua, e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999;

quest’ultimo decreto, nel recepire la direttiva n. 93/16 – che ha codificato, raccogliendole in un testo unico, le precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363, con le relative successive modificazioni- ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato “contratto di formazione lavoro” e successivamente “contratto di formazione specialistica”) da stipulare, e rinnovare annualmente, tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa e una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali;

tale contratto, peraltro, secondo l’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, non dà luogo a un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, nè è riconducibile alle ipotesi di parasubordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l’art. 36 Cost. e il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto (v. Cass., 19/11/2008, n. 27481, Cass., 22/09/2009, n. 20403, Cass., 27/07/2017, n. 18670);

ai sensi della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 300, gli effetti delle nuove disposizioni, contenute negli articoli da 37 a 42 del D.Lgs. n. 368 del 1999 (le quali prevedono sia la stipula del nuovo contratto di formazione, con gli specifici obblighi che ne derivano, sia il corrispondente trattamento economico), sono applicabili, come anticipato, solo a decorrere dall’anno accademico 2006/2007;

il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica è stato in concreto fissato con i D.P.C.M. 7 marzo, D.P.C.M. 6 luglio e D.P.C.M. 2 novembre 2007;

per gli iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti al 2006/2007 è stato quindi espressamente disposto che continuasse a operare la precedente disciplina del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che sotto quello economico;

la direttiva n. 93/16, che costituisce, in modo manifesto, un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti, non ha dunque registrato un carattere innovativo con riguardo alla misura dei compensi da riconoscersi agli iscritti alle scuole di specializzazione;

la previsione di un’adeguata remunerazione per i medici specializzandi è infatti contenuta nelle precedenti direttive n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 (le cui disposizioni la direttiva n. 93/16 si limita a recepire e riprodurre senza alcuna modifica), e, si ripete, i relativi obblighi risultano già attuati dallo Stato italiano con l’introduzione della borsa di studio di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991;

l’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi di per sè sufficiente e idoneo adempimento agli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo le direttive n. 1993/16 e 2005/36/CE, quanto meno sotto il profilo economico, come confermano le pronunce di questa Corte che ne hanno riconosciuto l’adeguatezza, nella sua iniziale misura, anche a prescindere dagli ulteriori incrementi annuali connessi alla svalutazione monetaria, originariamente previsti dallo stesso testo legislativo e poi sospesi dalla successiva legislazione, sottolineando che “nella disciplina comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, nè sono posti i criteri per la determinazione della stessa (Cass. 26/05/2001 n. 11565)” (Cass., 15/06/2016, n. 12346; Cass., 23/09/2016, n. 18710; l’indirizzo trova indiretta conferma nella sentenza n. 432 del 23 dicembre 1997 della Corte Costituzionale, che ha escluso l’illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative che avevano disposto la sospensione degli adeguamenti della borsa alla svalutazione monetaria);

in particolare, ai sensi della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 12 e della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36, comma 1, l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti negli anni accademici dal 1998 al 2005 non è soggetto all’adeguamento triennale previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1 (cfr., anche, di recente, Cass., 23/02/2018, n. 4449, Cass., 19/02/2019, n. 4809, Cass., 20/05/2019, n. 13572);

il fatto che la normativa comunitaria non abbia stabilito una definizione di adeguata remunerazione – ferma la non irrisorietà della quantificazione nazionale – è stato ribadito con chiarezza anche dalla pronuncia della Corte di giustizia, 24 gennaio 2018, C-616/16 e C617-16;

conclusivamente, il nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il D.Lgs. n. 368 del 1999, e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono ritenersi il primo atto di effettivo recepimento e adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva quanto legittima scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi;

l’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è dunque cessato con l’emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, senza che rilevino le scelte ordinamentali afferenti al blocco dell’indicizzazione e alla mancata rideterminazione triennale;

stante quanto sopra non vi è alcuna violazione della normativa sovranazionale, e alcuna irragionevolezza o disparità di trattamento posto che l’incremento previsto nell’esercizio della discrezionalità legislativa per i corsi di specializzazione collocati in tempi successivi, non escludendo l’adeguatezza della remunerazione precedente, è stato espressione di una scelta che rientra nelle opzioni legislative di regolare diversamente situazioni successive nel tempo (cfr., anche, di recente, Cass., 19/02/2019, n. 4809, cit.): anche sotto questo profilo non sussistono i presupposti nè per una questione di legittimità costituzionale, nè per un rinvio pregiudiziale;

spese al giudice del rinvio.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di L’Aquila perchè pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

 

 

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