Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6103 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 24/02/2022, (ud. 16/11/2021, dep. 24/02/2022), n.6103

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9740-2020 proposto da:

C.R.C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TACITO 10, presso lo studio dell’avvocato ENRICO DANTE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARZIA FABIANI;

– ricorrente –

contro

B.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI SAN NICOLA

DA TOLENTINO 22/B, presso lo studio dell’avvocato ANNAMARIA

BERNARDINI DE PACE, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati FRANCESCO CORICA, VALENTINA ERAMO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1542/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA

MELONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Torino con sentenza in data 20/9/2019 ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Novara in data 13/9/2017 in sede di separazione personale tra i coniugi C.R.C.F. e B.E. ed in particolare ha ridotto l’assegno da 2000,00 a 1000,00 Euro mensili dovuto dal D.C. a titolo di contributo al mantenimento della moglie lasciando altresì immutate le ulteriori statuizioni per i figli per i quali il predetto deve versare 2000,00 Euro mensili.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione C.R.C.F. affidato ad un motivo e memoria. B.E. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con unico motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 337 ter e 156 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in quanto il giudice territoriale ha deciso in modo del tutto arbitrario l’entità dell’assegno di mantenimento a carico del marito per la moglie tenendo conto anche dei redditi di terzi quali gli utili non distribuiti di società di capitali di cui il ricorrente è socio.

Il motivo è infondato e deve essere respinto poiché la sentenza è ampiamente e congruamente motivata, ben oltre il “minimo costituzionale”, essendo pervenuta a determinare l’assegno di separazione, comparando le condizioni economiche dei coniugi: il ricorrente percepisce Euro 137.605,00 derivante dal reddito di due società agricole italiane di cui è socio più gli utili non distribuiti di società di capitali rumene di cui il ricorrente è socio, mentre la moglie abita in casa di proprietà di cui paga il mutuo di Euro 700,00 mensili e dispone quale ricercatrice universitaria di un reddito mensile di circa 1.600,00-1.700,00 Euro.

Il motivo è altresì inammissibile in quanto censura la valutazione di merito della Corte di Appello la quale non rinvia acriticamente alla decisione di prime cure, essendo la Corte pervenuta al convincimento di stabilire una somma di 1.000,00 Euro come assegno di mantenimento alla moglie all’esito di una comparazione delle condizioni reddituali di entrambi i coniugi, che la ha indotta a ritenere che la B. non è autosufficiente anche in riferimento al pregresso tenore di vita.

In tema di valutazione delle prove, invero, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità. Pertanto non può il giudice di legittimità riesaminare gli atti ed i documenti in base ai quali la Corte distrettuale ha stabilito il tenore di vita endofamiliare, trattandosi di valutazione di merito incensurabile, una volta escluso il vizio di motivazione.

In ordine al reddito del ricorrente nella specie, la Corte territoriale ha accertato in fatto la qualità di socio unico – effettivo percettore degli utili – in capo al C. delle due società rumene per cui sul punto il ricorso non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. La distinta soggettività giuridica rispetto alla persona fisica che ne detiene le quota non ostacola l’imputazione degli utili non distribuiti delle società a reddito del ricorrente tenuto conto che l’accertamento del giudice, non meramente formalistico, mira a quantificare le somme effettivamente disponibili dalle parti.

Alla luce dei richiamati principi il ricorso è pertanto infondato in ordine a tutti i motivi e deve essere respinto con condanna del soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater ove dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente che liquida in Euro 3.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione della Corte di Cassazione, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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