Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6100 del 04/03/2020

Cassazione civile sez. lav., 04/03/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 04/03/2020), n.6100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1929/2015 proposto da:

MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

B.M.C., R.E., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA OTTORINO LAZZARINI 19, presso lo studio degli avvocati

ANDREA SGUEGLIA, UGO SGUEGLIA, che li rappresentano e difendono;

– controricorrenti –

e contro

L.P., C.S., A.D.T.,

D.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 8086/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/01/2014 R.G.N. 2918/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/12/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto ricorso;

udito l’Avvocato ISABELLA CORSINI (Avvocatura dello Stato);

udito l’Avvocato ANDREA SGUEGLIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 8086/2013, confermava la pronuncia che aveva accolto la domanda proposta dai nominati in epigrafe, tutti dipendenti del Ministero della Difesa quali impiegati civili, i quali avevano chiesto che, previo accertamento della illegittimità della Delibera del Comitato dei Capi di Stato Maggiore con la quale era stato disciplinato il periodo di impiego del personale del Ministero della Difesa presso gli uffici degli Addetti militari presso le ambasciate estere, fosse dichiarato il loro diritto a permanere a tempo indeterminato presso l’Ufficio dell’Addetto militare di Ambasciata estera.

2. In sintesi, la Corte di appello argomentava come segue:

– la determinazione della durata massima di un periodo di servizio all’estero non costituisce un atto organizzativo di carattere generale ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, ma un atto che riguarda la gestione del rapporto di lavoro, non incidendo sulle modalità di costituzione e dotazione degli uffici dell’Amministrazione, ma sulla prestazione di servizio del singolo dipendente;

– l’originario provvedimento di destinazione all’estero non poteva costituire un distacco, mancando l’alterità tra soggetto distaccante e soggetto beneficiario (le Addettanze militari sono uffici esteri posti alle dipendenze dell’Amministrazione della Difesa), nè una trasferta, per il carattere oggettivamente non di breve durata, nè temporaneo, del mutamento di sede;

– se l’atto che disponeva la destinazione all’estero era un trasferimento, deve giudicarsi specularmente l’atto che ne dispone il rientro in Italia;

– ne consegue che la decisione di rimuovere il lavoratore dalla sede estera, per destinarlo nuovamente in Italia, implica, ai sensi dell’art. 2103 c.c., che il datore di lavoro comprovi le concrete ragioni tecniche, organizzative e produttive che la giustifichino, in relazione al caso concreto;

– quanto alla L. n. 838 del 1973, che ha istituito e disciplinato gli uffici degli addetti alla Difesa presso le rappresentanze diplomatiche all’estero quale distaccamento del Ministero e ha stabilito, all’art. 2, che dell’ufficio possa far parte personale inviato dall’Italia, deve ritenersi che, per quanto attiene alla disciplina del personale civile, tale legge non sia più in vigore ai sensi del D.Lgs. n. 69 e del D.Lgs. n. 165 del 2001;

– in ogni caso, neppure da tale legge emergono elementi per affermare la temporaneità dell’assegnazione alla sede estera, non potendo tale conclusione fondarsi unicamente sulla previsione di una indennità di richiamo dal servizio all’estero e di rimborsi per la cessazione del servizio all’estero, posto che l’eventualità del rientro in Italia non può certo implicare la sussistenza di un servizio a termine;

– un provvedimento autoritativo di richiamo in servizio non è compatibile con l’assetto del pubblico impiego successivo alla c.d. privatizzazione.

3. Per la cassazione di tale sentenza il Ministero della Difesa ha proposto ricorso affidato a quattro motivi. Hanno resistito con controricorso i soli dipendenti B.M.C. e R.E.. Gli altri lavoratori sono rimasti intimati.

4. Con sentenza n. 26648/2016 le Sezioni Unite di questa Corte, rigettando il secondo motivo del ricorso, hanno dichiarato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario e hanno rimesso la causa a questa Sezione semplice per l’esame del primo, del terzo e del quarto motivo di ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 1 e art. 5.

La previsione di una regola generale che fissa la durata massima del periodo di servizio del personale civile presso le Ambasciate, nonchè la sua turnazione, costituisce espressione del potere di fissare le linee fondamentali di organizzazione degli uffici. La natura di atto organizzativo delle delibere del Comitato dei Capi di Stato Maggiore non è snaturata dal successivo ripercuotersi dell’atto sui rapporti di lavoro dei singoli dipendenti.

2. Quanto al secondo motivo, come esposto in narrativa, sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 26648 de12016 che hanno respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione e affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario.

3. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 2103 c.c., per avere la Corte di appello ritenuto che la fattispecie integrasse un trasferimento, mentre l’Amministrazione aveva fatto applicazione, tanto nella fase dell’assegnazione all’estero quanto nella fase del rientro dei dipendenti in Italia, della regola della turnazione e del’avvicendamento, posta a presidio di interessi pubblici, come evidenziato con il primo motivo.

4. Il quarto motivo denuncia violazione della L. n. 838 del 1973, artt. 1, 2 e 4. Si rappresenta che la temporaneità dell’incarico costituisce una regola desumibile anche dalla legge istitutiva dell’Ufficio dell’Addetto alla Difesa e che è erronea l’affermazione della abrogazione di tale legge ad opera della contrattazione collettiva.

E’ da escludere che la turnazione dell’incarico presso le sedi estere possa costituire oggetto di una contrattazione in sede nazionale o decentrata e comunque nessun contratto collettivo ha introdotto una disciplina per i soggetti e le materie già contemplate dalla disciplina legislativa anzidetta.

Nè il D.Lgs. n. 165 del 2001, detta norme che possano riguardare tale istituto, disciplinando solo l’ipotesi della mobilità collettiva (cfr. artt. 30 e 33).

Le disposizioni di interesse contenute nella L. n. 838 del 1973 sono poi confluite nel D.Lgs. n. 66 del 2010 (Codice dell’ordinamento militare). Tale codice, pur se annovera (all’art. 2268) la L. n. 838 del 1973, tra quelle abrogate – così implicitamente confermandone la vigenza fino alla data di entrata in vigore del codice stesso -, ne ha poi trasfuso le disposizioni dell’art. 4, nell’art. 1809, con integrazioni. Pertanto, il quadro normativo delineato dalla L. n. 838 del 1973, era, all’epoca dei fatti di causa, pienamente in vigore.

5. Preliminarmente, va rilevato che l’eccezione di inammissibilità del ricorso è stata già disattesa dalle Sezioni Unite di questa Corte che, nella sentenza n. 26648 del 2016, hanno rilevato come, contrariamente a quanto dedotto da parte resistente, nel ricorso siano riportati i passi salienti delle delibere, in modo tale da consentire di comprendere adeguatamente il senso delle doglianze dell’Avvocatura dello Stato.

6. Tanto premesso, il primo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente involgendo questione connesse, sono fondati e vanno accolti.

7. La pretesa dei dipendenti, di permanere all’estero a tempo indeterminato presso gli Uffici dell’Addetto Militare per la Difesa costituito nelle Ambasciate estere, è privo.,di fondamento.

8. Il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 32, articolo abrogato dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 43 (abrogazione confermata dal D.Lgs. n. 30 marzo 2001, n. 165, art. 72), disciplinava il trasferimento del dipendente pubblico, stabilendo che l’Amministrazione dà periodicamente notizia nel proprio bollettino ufficiale delle sedi vacanti che non abbia ritenuto di ricoprire per esigenze di servizio. I trasferimenti dell’impiegato da una ad altra sede potevano essere disposti a domanda dell’interessato ovvero per motivate esigenze di servizio.

8.1. L’abrogazione della norma suddetta, senza prevedere una diversa e nuova disciplina ad opera del D.Lgs. n. 165 del 2001, comporta che trova applicazione, in virtù dell’art. 2, comma 2, dello stesso decreto la normativa prevista dall’analogo istituto del rapporto di lavoro privato, ossia l’art. 2103 c.c..

8.2. L’applicazione della disciplina che l’art. 2103 c.c., detta per il trasferimento dei dipendenti, anche appartenenti al pubblico impiego contrattualizzato, richiede tuttavia che l’istituto di cui si discute sia qualificabile, in senso giuridico, come trasferimento, il che postula il carattere unilaterale e definitivo dell’assegnazione della nuova sede di servizio.

8.3. Ritiene il Collegio che a tale istituto non sia riconducibile la fattispecie di cui si discute.

9. La L. n. 838 del 1973 (Ordinamento degli uffici degli addetti dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica in servizio all’estero e trattamento economico del personale della Difesa ivi destinato) prevede all’art. 1 che alle rappresentanze diplomatiche italiane all’estero “…possono essere destinati addetti della Difesa” e all’art. 2, comma 1, che “l’addetto dispone di un ufficio, del quale fa parte, oltre agli eventuali addetti aggiunti ed assistenti, il personale assegnato dal Ministero della difesa…” e, all’art. 3, che “gli uffici degli addetti… costituiscono distaccamenti dell’ufficio amministrazioni speciali del Ministero della difesa…”.

9.1. L’incarico del dipendente civile presso l’ufficio dell’addetto militare all’estero è definito in termini di “assunzione delle funzioni” e di “cessazione delle funzioni”. Si parla di “personale cessante” e di “personale subentrante” (art. 9, relativo al trattamento economico; v. pure artt. 10 e 11). Anche nel D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’Ordinamento militare), che ha abrogato la L. n. 838 del 1973 (art. 2268, comma 1), nella sezione che regolamenta gli uffici delle forze armate in servizio all’estero, si continua a fare riferimento al “personale in servizio all’estero” (art. 39). La L. n. 838 del 1973, contempla inoltre l’erogazione delrindennità di richiamo dal servizio all’estero” e delrindennità e rimborsi per cessazione delle funzioni all’estero”, istituti dei quali pacificamente è stata fatta applicazione nel caso di specie.

9.2. Dunque, sebbene la L. n. 838 del 1973, non detti regole circa il periodo di permanenza all’estero, nè preveda espressamente la temporaneità dell’assegnazione, neppure definisce l’assegnazione come un trasferimento, tanto più ove si consideri che all’epoca vigeva il D.P.R. n. 3 del 1957, che regolava tale istituto (trasferimento d’ufficio o a domanda), per cui se il legislatore avesse inteso farvi riferimento, ben avrebbe potuto usare la terminologia corrispondente.

9.3. L’istituto dell’assegnazione all’Ufficio dell’Addetto militare presso le sedi diplomatiche dell’Italia all’estero (c.d. Addettanze) non può dirsi nè abrogato per incompatibilità, nè risulta in alcun modo regolato ad opera dei CCNL di comparto. D’altra parte, non è controverso in giudizio che di tale legge sia stata fatta applicazione nel senso che il trattamento economico e le indennità percepite dai dipendenti sono quelli previsti da tale legge, la quale – come già affermato da questa Corte in diversa fattispecie – costituisce un corpus unitario che regola l’ordinamento degli Uffici degli Addetti dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica in servizio all’estero presso le Rappresentanze diplomatiche e del trattamento economico del personale della Difesa ivi destinato. Dal complesso delle relative disposizioni si evince che si è in presenza di una normativa speciale, costituente un corpus, avente natura di fonte primaria, compiuto ed organico (v. in tal senso, Cass. n. 9385 del 2014).

9.4. Dunque, la L. n. 873 del 1973, reca una disciplina a sè di un istituto concernente l’assegnazione alle funzioni amministrative presso le c.d. Addettanze, in cui è insita nella sua struttura la temporaneità dell’assegnazione.

10. In tale contesto le delibere del Comitato dei Capi di Stato Maggiore del 1999 e del 2002 che hanno definito, in via generale ed astratta, la durata dell’assegnazione, il criterio della turnazione e dell’avvicendamento, non hanno fatto altro che esplicitare una regola insita nel sistema delineato dalla legge.

10.1. La domanda proposta dai dipendenti civili del Ministero della Difesa è intesa al riconoscimento del preteso diritto a permanere nella sede di servizio, a fronte di note che in applicazione di tali delibere preannunciavano il richiamo in Italia. La disapplicazione richiesta di tali atti è prospettata come funzionale al riconoscimento del diritto a permanere stabilmente e permanentemente nella sede estera. In tale contesto, il fatto che la L. n. 25 del 1997, art. 6, comma 1, assegni al Comitato dei Capi di Stato Maggiore solo funzioni consultive e non deliberative, non esclude certamente che il Direttore Generale per il Personale civile del Ministero della Difesa, competente per l’assegnazione all’estero del personale, debba fare propria la regola della turnazione e dell’avvicendamento contemplata appunto da dette delibere, recepite per relationem, nell’atto di gestione del rapporto.

10.2. D’altra parte, non può non rilevarsi come l’atto generale che ha introdotto la regola della turnazione e dell’avvicendamento non sia stato posto in discussione dal dipendente quando tale regola gli ha consentito di partecipare alla selezione per l’assegnazione alla sede estera. Allo stesso modo non può assumersene l’illegittimità una volta che lo stesso atto e la stessa regola così introdotta siano posti a base del provvedimento di rientro. Si è in presenza di fasi di un unico procedimento e, una volta che il carattere generalizzato e permanente della regola così introdotta costituisca un dato di fatto acquisito al giudizio e conosciuto dal dipendente che ha partecipato alla selezione indetta dal bando, non vi sono ragioni (che infatti neppure il dipendente interessato evidenzia) che giustifichino l’affermazione della illegittimità solo di una delle due fasi speculari del medesimo procedimento.

11. La circostanza che le ragioni della turnazione e dell’avvicendamento, poste a base del complesso iter amministrativo di selezione e assegnazione temporanea del personale, siano enunciate sin dall’origine – evidentemente per il carattere permanente che assume nel contesto dell’ordinamento della Difesa l’esigenza dell’avvicendamento -, lungi dall’arrecare un vulnus ai diritti del dipendente, ha consentito piuttosto allo stesso di essere reso edotto anticipatamente delle ragioni che, al termine del periodo di incarico, ne avrebbero determinato la cessazione, consentendo allo stesso di organizzare le proprie esigenze di vita e familiari nella consapevolezza della temporaneità e ponendolo anche nella condizione di valutare la convenienza o meno di avanzare domanda di partecipazione alla selezione prevista dal bando, il quale – come è pacifico in giudizio – prevedeva anch’esso la temporaneità dell’incarico.

12. Ed invero le ragioni poste a base del provvedimento dell’Amministrazione, come è stato ampiamente illustrato in giudizio e neppure oggetto di specifiche censure, risiede nell’esigenza che il personale assegnato a prestare servizio all’estero eviti di radicarsi stabilmente a livello locale onde impedire l’instaurazione di legami interpersonali non compatibili con l’estrema delicatezza dei compiti (spesso di natura riservata) svolti dall’ufficio, esigenza che – all’evidenza – accomuna il personale civile a quello militare assegnato all’Ufficio.

12.1. L’esigenza di prestabilire, per tutto il personale, una regola di turnazione e di avvicendamento, in disparte ogni considerazione relativa alle aspettative che altro personale munito della medesima idoneità possa legittimamente nutrire per la copertura di tali incarichi (implicanti un trattamento economico privilegiato), è indicata dall’Amministrazione della Difesa come preordinata alla tutela della sicurezza nazionale e dunque degli interessi dello Stato italiano.

13. Nè l’applicazione di tale regola nel caso concreto ha violato le regole di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., atteso che sin dall’origine il dipendente era stato reso edotto che ogni fase del procedimento complesso sarebbe stata assoggettata a tale ragione organizzativa, la quale, rispondendo ad un primario interesse pubblico ex art. 97 Cost., era destinata ad operare tanto nella fase dell’assegnazione all’estero, quanto nella fase del rientro in Italia del dipendente.

14. In conclusione, la tesi dei dipendenti opera una arbitraria scissione del procedimento complesso regolato autonomamente dalla fonte di legge, anzichè valutarlo nel suo complesso come procedimento di selezione per l’affidamento di un incarico temporaneo con scadenza predeterminata e rientro programmato, cui il dipendente ha liberamente aderito in base a proprie valutazioni di convenienza personale.

15. La fattispecie in esame potrebbe accostarsi a quella della missione, per la cui integrazione non costituisce connotazione essenziale la predeterminazione della durata – peraltro in questi casi sussistente -, in quanto ciò che differenzia la missione con incarico anche di lunga durata dal trasferimento è solo la circostanza che lo spostamento di sede o di residenza sia di durata meramente temporanea e, come già detto, la temporaneità dell’assegnazione è coessenziale all’istituto, alla ratio della L. n. 838 del 1973 e alla sua regolamentazione.

15.1. Nel caso di specie, giova rimarcare, manca anche il carattere unilaterale che deve connotare l’atto perchè possa costituire trasferimento. Le due fasi dell’unico procedimento nascono non solo con il consenso, ma con una espressa domanda del lavoratore di partecipazione alla selezione per l’affidamento dell’incarico.

16. Va aggiunto che, per effetto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 1, la soppressione degli istituti aventi una propria regolamentazione nella disciplina legale anteriore deve essere filtrata attraverso l’intervento della contrattazione collettiva e, laddove questa non sia intervenuta, come è avvenuto con riguardo al particolare istituto di cui si discute, si deve ammettere che lo stesso continui ad essere regolato dalla legge istitutiva, pur risalente nel tempo.

17. Tanto è argomentabile anche alla luce del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’Ordinamento militare), non applicabile alla fattispecie ratione temporis, trattandosi di assegnazioni all’estero avvenute in base a bandi di selezione anteriori alla sua entrata in vigore, ma utilizzabile ai fini interpretativi. Questa fonte, da un lato, ha abrogato la L. n. 838 del 1973 (art. 2268, comma 1, punto 688), dall’altro ha mantenuto, pur dopo la c.d. contrattualizzazione del personale civile, la specialità del sistema di assegnazione presso gli Uffici degli addetti delle Forze armate in servizio all’estero (v. Sezione IV del Capo III che regola detti Uffici). Ha difatti previsto che “l’addetto dispone di un ufficio, del quale fa parte, oltre agli eventuali addetti aggiunti e assistenti, il personale militare e civile assegnato dal Ministero della difesa nei limiti dei posti di organico di cui al comma 2 e dei connessi oneri” (art. 36, comma 1, come modificato dal D.Lgs. n. 91 del 2016), ribadendo che il personale civile è “assegnato” (e non trasferito ex art. 2103 c.c.) all’ufficio. All’art. 38, comma 1, è previsto che “gli uffici degli addetti militari costituiscono distaccamenti dell’ufficio amministrazioni speciali del Ministero della difesa per quanto attiene alla gestione del denaro e del materiale”; all’art. 38, comma 2, che “la gestione del denaro comprende: a) spese per il personale…”. Quando il legislatore ha inteso distinguere il “personale civile del Ministero della difesa in servizio all’estero” da quello militare, ha dettato previsioni espresse in tal senso (l’art. 39, comma 1, prevede, per le ferie del personale civile, che esse “sono regolate secondo le disposizioni vigenti per il territorio nazionale”).

18. In conclusione, vanno accolti il primo, il terzo e il quarto motivo di ricorso e la sentenza va cassata. Poichè l’applicazione dei principi esposti non richiede ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto dell’originaria domanda..

19. La novità delle questioni oggetto del presente giudizio giustifica la compensazione delle spese dei due gradi del giudizio di merito e del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il terzo e il quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda. Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2020

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