Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 610 del 12/01/2018

Cassazione civile, sez. trib., 12/01/2018, (ud. 23/10/2017, dep.12/01/2018),  n. 610

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate, in esito a controllo secondo procedure automatizzate della dichiarazione modello Unico presentata dalla contribuente per l’anno d’imposta 2000, iscrisse a ruolo importi corrispondenti all’indebito utilizzo di un credito d’imposta riconosciuto dalla L. n. 449 del 1997, art. 11, in ragione della sua mancata indicazione nel quadro RU, nonchè all’omesso versamento dell’iva per il mese di dicembre 2000.

La contribuente aveva difatti fatto ricorso alla definizione agevolata contemplata dalla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, ma non aveva versato integralmente quanto dovuto. L’iscrizione a ruolo riguardò anche l’omesso versamento delle ritenute d’acconto.

Ne scaturì una cartella di pagamento, che la società impugnò, limitatamente all’impiego del credito d’imposta ed all’omesso versamento dell’iva, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale.

Quella regionale ha respinto l’appello dell’Ufficio.

Il giudice d’appello ha al riguardo considerato irrilevante l’omissione dell’indicazione del credito nel quadro RU della dichiarazione, al cospetto del decreto di concessione del beneficio da parte del Ministero dell’industria e, quanto al condono, ha sostenuto che l’omesso integrale pagamento di quanto dovuto non comporti la decadenza dalla definizione agevolata.

Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione, articolato in due motivi, cui la società non replica.

Il giudizio proviene da adunanza camerale, in esito alla quale si è disposta la rinnovazione della notificazione, cui l’Agenzia ha ritualmente provveduto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia si duole della violazione e falsa applicazione della combinazione della L. n. 449 del 1997, art. 11, e L. n. 317 del 1991, art. 11, sostenendo che l’inosservanza degli adempimenti richiesti dalla L. n. 317 del 1991, per la fruizione del credito d’imposta previsto dalla L. n. 449 del 1997, art. 11, ne comporti la decadenza.

1.1.- La controversia, ancorchè avente ad oggetto atto di recupero di credito d’imposta a carico di società di persone, non impone litisconsorzio necessario nei confronti dei soci nella prospettiva di Cass., ss.uu., n. 14815/08.

L’atto di accertamento (così come ogni altro atto impositivo) incide immediatamente sull’imponibile (recuperandone quote) e solo mediatamente sull’imposta, sicchè, avendo ad oggetto imposizione irpeg o irap a carico di società di persone, si riflette automaticamente, per trasparenza D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 5,sull’imposizione irpef a carico dei soci.

L’atto di recupero del credito d’imposta, invece, incide (al pari dell’agevolazione che tende a revocare) direttamente sull’imposta, come (in funzione dell’imponibile) già specificamente definita nei confronti della società e su di essa esclusivamente gravante, di modo che non comporta interferenza alcuna con la situazione impositiva dei soci (in termini, Cass., sez. un., 6 luglio 2017, n. 16692; 6 agosto 2014, n. 17648; 23 aprile 2014, n. 9124).

2.- Nel merito, la censura è fondata.

La L. n. 449 del 1997, art. 11, comma 3, prevede che “il credito d’imposta di cui al comma 1 – correlato all’acquisto di beni strumentali, al fine della riqualificazione della rete distributiva – è concesso, nei limiti dello stanziamento disponibile, con le modalità ed i criteri di cui alla L. 5 ottobre 1991, n. 317, art. 10, e alle relative disposizioni attuative, ad eccezione di quanto previsto ai commi 2, 4 e 6, del medesimo articolo. Al credito d’imposta si applicano altresì, fatto salvo quanto disposto dal presente articolo, le disposizioni di cui alla citata L. n. 317 del 1991, artt. 11 e 13”; la norma si premura, peraltro, di precisare che “il credito d’imposta non è rimborsabile e non limita il diritto al rimborso d’imposta spettante ad altro titolo”.

A sua volta la L. n. 317 del 1991, art. 11, al comma 3, stabilisce che “il credito d’imposta di cui agli artt. 6, 7, 8 e 9, deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel corso del quale è concesso il beneficio ai sensi della comunicazione di cui all’art. 10, comma 3, che deve essere allegata alla medesima dichiarazione dei redditi”.

2.1.- La decadenza è dunque connaturata alla struttura dell’istituto, in quanto è coerente con la scelta di accordare il beneficio in relazione all’esercizio fiscale nel corso del quale si sia proceduto all’acquisto dei beni strumentali idonei a rispondere all’obiettivo della riqualificazione della rete distributiva.

La mancata indicazione del credito, nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta nel corso del quale è concesso, ne impedisce il riconoscimento in diminuzione dell’imposta altrimenti dovuta; laddove l’allegazione alla dichiarazione della comunicazione ministeriale di concessione del credito d’imposta è strumentale all’espletamento delle verifiche da parte dell’amministrazione finanziaria.

2.2.- Il credito in questione non deriva dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo, ma da un beneficio appositamente accordato a fronte di precise scelte politiche, finalizzate a incentivare un determinato settore: in un contesto di tal genere il legislatore è libero di orientare la propria scelta stabilendo altresì le condizioni per la fruizione del beneficio, in rapporto alla correlata ratio di definire entro un tempo egualmente determinato l’onere finanziario inerente, altrimenti suscettibile di rimanere sospeso a tempo indefinito (esattamente in termini, sia pure con riguardo ad altri crediti d’imposta, soggetti, peraltro, ad analoga disciplina, Cass. 15 dicembre 2017, n. 30172; 24 ottobre 2014, n. 22673; conf., 13 gennaio 2016, n. 389; in linea 5 novembre 2014, n. 23572; evoca la decadenza stabilita per legge anche Cass. 31 gennaio 2017, n. 2395).

2.2.- La mancata indicazione del credito nella dichiarazione relativa al periodo d’imposto nel corso del quale esso è concesso, dunque, non determina, come pure si è sostenuto (Cass. 21 dicembre 2016, n. 26550; ord. 6 aprile 2017, n. 9004 e ord. 2 agosto 2017, n. 19244), una decadenza formale.

Una tale qualificazione, riferita alla decadenza, può riguardare le dichiarazioni di scienza; sicchè non può essere riferita a quella in esame.

2.3.- L’indicazione nel quadro Ru della dichiarazione annuale del credito di imposta in questione è difatti atto negoziale e non di scienza, in quanto è volta a mutare (con rettifica in aumento) la base imponibile, e contestualmente ad inserirvi il credito di imposta. Il contribuente al quale sia stato concesso il beneficio può decidere di usufruirne, o no; ma, per farlo, deve esprimere la propria volontà all’interno della dichiarazione dei redditi mediante la compilazione del quadro appositamente predisposto dall’Amministrazione (in termini, in relazione ad altra, ma similare ipotesi di concessione di un credito d’imposta pur sempre avente funzione di agevolazione, vedi Cass. 22 gennaio 2013, n. 1427).

E le manifestazioni di volontà aventi valore negoziale sono irretrattabili anche in caso di errore, salvo che il contribuente non ne dimostri, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui agli art. 1427 e ss. c.c., l’essenzialità ed obiettiva riconoscibilità da parte dell’amministrazione finanziaria (tra varie, Cass., ord. 8 ottobre 2015, n. 20208).

3.- Non si può quindi utilmente invocare il principio stabilito dalle sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., 30 giugno 2016, n. 13378), secondo cui il contribuente, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria.

Le stesse sezioni unite, con la pronuncia indicata, hanno difatti preso atto del fatto che “il principio della generale e illimitata emendabilità della dichiarazione fiscale incontra il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze, come nell’ipotesi prevista nel D.M. 22 luglio 1998, n. 275, il quale, all’articolo 6, stabilisce che il credito di imposta è indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è concesso (Cass. 19868/2012)” (in termini, valorizzando questa statuizione, vedi anche Cass. 13 settembre 2017, n. 21242 e n. 30172/17, cit.).

3.1.- L’irretrattabilità dovuta al sopravvenire di decadenze emerge d’altronde anche dalla precedente giurisprudenza delle sezioni unite relativa all’emendabilità della dichiarazione dei redditi (Cass., sez. un., 25 ottobre 2002, n. 15063): vi si legge difatti che “è da puntualizzare che la portata della lettera della prima delle disposizioni citate – ossia del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1 – appare tale da far ritenere, senza ombra di dubbio, che la domanda recuperatoria in essa prevista possa essere esperita, ovviamente nel termine dalla norma stessa stabilito, per ottenere la restituzione anche del tributo diretto versato in autotassazione, e, perciò, anche delle imposte pagate in adempimento degli obblighi risultanti dalla dichiarazione sull’allegato presupposto dell’erroneità”.

3.2.- Principio, questo, confermato, da ultimo, anche con riguardo al credito iva, allorquando le sezioni unite (con sentenza 8 settembre 2016, n. 17757) hanno precisato che pur sempre occorre che la detrazione sia operata entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto (in termini, Cass., ord. 20 gennaio 2017, n. 1627, secondo cui anche nel regime governato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28, comma 4, occorre pur sempre che il diritto di detrazione sia esercitato entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui in diritto è sorto, nonchè ord. 11 agosto 2017, n. 20051).

3.3.- La sentenza impugnata, allora, là dove si sostiene l’irrilevanza della mancata indicazione del credito d’imposta nel quadro RU della dichiarazione perchè la spettanza del credito è stata “…già oggetto di valutazione e di concessione del Ministero dell’Industria” si rivela erronea; mentre è anapodittica l’affermazione, del tutto disancorata da elementi concreti, che il relativo decreto di concessione, del quale non emerge l’allegazione alla dichiarazione, fosse a conoscenza dell’Ufficio.

3.4.- Il motivo va in conseguenza accolto, con l’affermazione del seguente principio di diritto:

“Il credito d’imposta concesso, al fine di incentivare il commercio, dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 11, deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta nel corso del quale il beneficio è accordato. Poichè esso è riconosciuto a titolo di agevolazione fiscale, l’indicazione ha valore di atto negoziale, integrando una dichiarazione di volontà e non di scienza, con la conseguenza che la decadenza prevista in caso di omessa tempestiva indicazione è connaturata alla struttura e alla ratio dell’istituto e determina l’irretrattabilità della dichiarazione, alla quale, pertanto, è inapplicabile il principio della generale emendabilità delle dichiarazioni fiscali (salvo che il contribuente non dimostri l’essenzialità e obiettiva riconoscibilità dell’errore, ai sensi dell’art. 1427 c.c.e ss.)”.

4.- Quanto al secondo motivo di ricorso, col quale l’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, in relazione agli artt. 7, 8, 9, 5 e 16 della medesima legge, la Corte ha già più volte stabilito che la L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, nella parte in cui consente di definire una controversia evitando il pagamento di sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento dell’Iva, deve essere disapplicato per contrasto con la sesta direttiva n. 77/388/CEEdel Consiglio, del 17 maggio 1977, alla stregua dell’interpretazione adeguatrice imposta dalla citata sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C132/06 (tra varie, Cass. 19546/2011 e 13505/12).

4.1.- Nè la mancanza di deduzioni di parte osta a tali conclusioni: il principio di effettività comporta l’obbligo del giudice nazionale di applicare d’ufficio il diritto comunitario, senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali, o, nella specie, il carattere chiuso del giudizio di cassazione (v. in proposito, tra molte, Cass., sez. un., 18 dicembre 2006, n. 26948).

5.- Il ricorso va in conseguenza accolto e la sentenza va cassata.

Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, il giudizio va deciso nel merito, col rigetto del ricorso originariamente proposto, per quanto ancora d’interesse.

Il consolidamento recente della giurisprudenza di legittimità comporta la compensazione di tutte le voci di spesa concernenti le fasi di merito e l’irripetibilità di quelle inerenti al giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originariamente proposto per quanto ancora d’interesse. Compensa le voci di spesa riguardanti le fasi di merito e dichiara irripetibili quelle riguardanti il giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2018

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