Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6093 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 24/02/2022, (ud. 10/02/2022, dep. 24/02/2022), n.6093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14998/2019 R.G. proposto da:

DUE.GI. SRL, IN LIQUIDAZIONE IN c.p. (C.F. (OMISSIS)), in persona del

liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. MAURIZIO

MARULLO, dall’Avv. GABRIELLA DE MATTIA e dall’Avv. CESARE PLACANICA

in virtù di procura speciale in calce al ricorso, elettivamente

domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Piazzale

Clodio, 32;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia-Romagna, n. 2648/3/18, depositata in data 6 novembre

2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 febbraio

2022 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La società contribuente DUE.GI. SRL IN LIQUIDAZIONE ha separatamente impugnato quattro avvisi di accertamento, relativi ai periodi di imposta 2005, 2006, 2007, 2008 con i quali, a seguito di PVC – innescato, a sua volta, da indagini penali a carico del terzo finanziatore I.P., quale usufruttuario delle quote sociali della società controllante della contribuente – venivano recuperate maggiori IRES, IRAP e IVA oltre sanzioni. Negli avvisi si evidenziava che il terzo si sarebbe indebitamente appropriato di somme, dapprima trasferite all’estero in violazione della disciplina del monitoraggio fiscale di cui al D.L. 28 giugno 1990, n. 167 e poi fatte rientrare in Italia, nella misura di Euro 8.855.000,00, sotto forma di finanziamento soci infruttifero diretto alla società contribuente. Detti finanziamenti si sarebbero dovuti qualificare quali proventi da attività illecita da assoggettare a tassazione a termini della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4, sul presupposto che le movimentazioni finanziarie rilevate integrassero il delitto di riciclaggio.

2. La società contribuente, oltre a contestare i presupposti per il raddoppio dei termini per l’accertamento a termini del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, ha contestato la sussistenza a monte del reato presupposto dell’appropriazione indebita al fine della configurazione del delitto di riciclaggio, nonché la natura dei finanziamenti eseguiti in termini di profitto dell’asserita attività di riciclaggio, deducendo trattarsi di proventi provenienti dall’attività imprenditoriale del finanziatore.

3. La CTP di Forlì ha rigettato i ricorsi riuniti.

4. La CTR dell’Emilia-Romagna, con sentenza in data 10 aprile 2018, ha rigettato l’appello della società contribuente. Ha ritenuto il giudice di appello – per quanto qui rileva – infondata l’eccezione di decadenza dal potere di accertamento, in quanto era stata la denuncia penale era stata effettivamente presentata in data 12 febbraio 2014, con conseguente applicazione dell’istituto del raddoppio dei termini per l’accertamento. Nel merito, il giudice di appello, dopo aver ritenuto irrilevanti gli esiti del giudizio penale, ha rilevato che le somme pervenute alla società contribuente erano detenute presso conti correnti di banche della Repubblica di San Marino intestati all’ I. e che si trattava di somme di provenienza illecita.

5. Propone ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a dieci motivi; l’Ufficio intimato si è costituito ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione. Il ricorrente ha presentato istanza di sollecita discussione.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62 nullità della sentenza per omessa motivazione, violazione dell’art. 111 Cost., comma 7, per avere la sentenza impugnata ritenuto nel merito fondata la pretesa dell’Ufficio. Il ricorrente considera apodittici il riferimento alla irrilevanza degli esiti del procedimento penale e alla sussistenza della provenienza illecita dei capitali e del delitto di riciclaggio.

1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 violazione e falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4, e art. 648-bis c.p., nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato la ripresa a tassazione di proventi illeciti. Osserva il ricorrente come difetterebbero i presupposti per il delitto di riciclaggio, che ricorre quando alcuno sostituisce o trasferisce beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ipotizzato per essersi il terzo finanziatore appropriato indebitamente di somme ai danni delle società del gruppo cui appartiene la società ricorrente. Osserva il ricorrente che – essendo stato il finanziamento infruttifero considerato quale provento illecito in quanto derivante dal delitto di riciclaggio – si rivelerebbe decisivo l’accertamento della provenienza delle somme ai fini dell’accertamento del delitto presupposto del riciclaggio, costituito dall’appropriazione indebita. A tal fine, il ricorrente contesta di non avere mai ammesso la consumazione dell’appropriazione illecita, laddove nella specie ricorrerebbe la mera detenzione all’estero di risorse finanziarie in violazione del monitoraggio fiscale, non costituente delitto non colposo.

1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 violazione o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7,L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3,D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 57 nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la società contribuente avrebbe confermato in atto di appello che le somme trasferite sarebbero di provenienza illecita. Osserva parte ricorrente che la mera detenzione di attività finanziarie all’estero non può costituire un reato presupposto tale da comportare la natura illecita del finanziamento soci quale provento del riciclaggio. Osserva il ricorrente che l’atto impositivo ha ipotizzato come reato presupposto del delitto di riciclaggio l’appropriazione indebita e non la detenzione di capitali all’estero.

1.4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 violazione o falsa applicazione della L. n. 537 del 1992, art. 14, comma 4, artt. 648-bis e 2697 c.c. nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato la pretesa impositiva senza accertare la fondatezza del presupposto degli avvisi di accertamento, costituito dall’attività di riciclaggio, a sua volta fondato sul delitto presupposto di appropriazione indebita.

Osserva, al riguardo, il ricorrente che la CTR avrebbe, invero, dovuto esaminare anche la sussistenza del reato presupposto.

1.5. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, nella parte in cui il giudice di appello, nell’esaminare nel merito l’atto impugnato, non ha esaminato alcuni fatti decisivi, ossia il fatto che il terzo I. fosse privo di partita iva e detentore di diverse cariche all’interno di diverse società, rilevanti ai fini dell’inesistenza del reato presupposto e dell’elemento soggettivo del reato di riciclaggio, nonché del fatto che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di appello, i capitali trasferiti alla contribuente deriverebbero dall’attività economica imprenditoriale svolta dal terzo.

1.6. Con il sesto motivo si deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza e omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il giudice di appello confermato la ripresa a tassazione omettendo di pronunciarsi sul motivo di appello secondo cui il finanziamento soci infruttifero nei confronti della contribuente non costituisce un provento a termini della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4, questione proposta in primo grado e riproposta in appello.

1.7. Con il settimo motivo si deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza e omessa motivazione in violazione dell’art. 111 Cost., comma 7, per gli stessi profili di cui al superiore motivo.

1.8. Con l’ottavo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 violazione o falsa applicazione della L. n. 537 del 1992, art. 14, comma 4, nella parte in cui il giudice di appello ha confermato la ripresa a tassazione, sebbene il finanziamento soci infruttifero nei confronti della contribuente non costituirebbe un provento a termini della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4. Osserva il ricorrente che il provento, per considerarsi soggetto a imposizione, dovrebbe essere produttivo di reddito in capo a chi lo riceve, con la conseguenza che ciò che è oggetto di imposizione è il profitto o il prezzo dell’attività illecita, laddove nel caso di specie il prestito infruttifero non rientrerebbe in tali categorie, potendosi assoggettare a tassazione solo i proventi che possiedono le caratteristiche atte a farli rientrare in una delle categorie reddituali previste dall’art. 6 TUIR.

1.9. Con il nono motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 violazione o falsa applicazione della L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, commi 131 e 132, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43 nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto di non esaminare le questioni relative al presupposto del raddoppio dei termini in quanto contenute tardivamente in una memoria depositata durante il giudizio di primo grado. Osserva il ricorrente che l’eccezione di decadenza è stata contenuta sin dal ricorso introduttivo e che il giudice di appello non ha valutato nel merito la “serietà” della denuncia, proposta al solo scopo di beneficiare del raddoppio dei termini, una volta che il reato fosse già prescritto. Osserva il ricorrente che, benché il D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 avesse salvaguardato la legittimità dell’istituto del raddoppio dei termini, la successiva L. n. 208 del 2015 ha abrogato del tutto tale disciplina, così rendendo illegittimo l’atto impositivo in oggetto.

1.10. Con il decimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 violazione o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43 nella parte in cui la CTR ha affermato la sussistenza dei presupposti del raddoppio dei termini in relazione all’IRAP degli accertamenti relativi ai periodi di imposta 2005, 2006 e 2007, laddove nel caso dell’omesso versamento IRAP non sussisterebbe in astratto una fattispecie delittuosa in grado di comportare il raddoppio dei termini.

2. Il primo motivo è infondato, essendo il sindacato di legittimità sulla motivazione, per costante giurisprudenza di questa Corte, circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, in caso di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, di motivazione apparente, di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., VI, 25 settembre 2018, n. 22598). La decisione del giudice di appello, dopo avere ricostruito nelle premesse i contorni del procedimento penale di evasione fiscale internazionale in cui era coinvolto il finanziatore I.P., ha inteso confermare la legittimità dell’avviso sul presupposto che le somme pervenute alla società contribuente a titolo di finanziamento soci da conti correnti di banche della Repubblica di San Marino fossero di provenienza illecita in quanto provento di attività illecita da assoggettare a tassazione L. n. 537 del 1993, ex art. 4. La motivazione, pur succinta, si incentra sulla sussistenza dell’illecito penale del delitto di riciclaggio quale elemento fondante l’accertamento di cui alla L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4, che nella formulazione pro tempore richiede che tra i redditi possono essere ricompresi “i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo”.

3. I motivi dal secondo al quarto, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. L’avviso di accertamento ha dedotto la natura illecita del finanziamento infruttifero del socio I.P. come risulta dalla sentenza impugnata – dalla natura di illecito penale di tale finanziamento, in quanto disponibilità finanziarie del finanziatore provenienti da istituti di credito e società fiduciarie aventi sede nella Repubblica di San Marino, a loro volta sottratte a società residenti in Italia riconducibili al finanziatore della società ricorrente. La sentenza non dà conto di come si fosse creata la provvista finanziaria presso gli istituti di credito sammarinesi (salva l’indicazione che la costituzione di tale provvista fosse avvenuta “abusivamente”), dando invece contezza del fatto che la società contribuente avesse contestato l’insussistenza del delitto di riciclaggio per omesso accertamento del reato presupposto di appropriazione indebita, sostenendosi che le somme erano state accentrate presso le banche sammarinesi quali proventi extracontabili derivanti dall’attività imprenditoriale del gruppo nel quale operava il terzo finanziatore.

4. L’art. 648-bis c.p. colpisce l’attività di chi “sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. Il delitto colpisce le condotte di immissione di capitali di provenienza illecita considerate quale elemento di destabilizzazione dei mercati finanziari e della libera concorrenza. Il riciclaggio presuppone che le utilità siano provenienti dalla consumazione di un delitto non colposo che, nella specie, va ascritto all’appropriazione indebita del finanziatore nei confronti delle società del gruppo in cui egli operava, ricostruzione contrastata dal ricorrente che ritiene trattarsi di utilità “extracontabili”, come indicato in sentenza. L’accertamento di tale reato presupposto deve, tuttavia, ritenersi effettuato implicitamente dalla sentenza impugnata nell’avere ritenuto l’esistenza del delitto di riciclaggio. Ne’ occorre che la sussistenza del delitto presupposto sia accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato, essendo sufficiente che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza (Cass., Sez. II, 19 giugno 2019, n. 42052).

5. Il quinto motivo è infondato. La sentenza impugnata ha ritenuto sussistente il delitto di riciclaggio fondato (per implicito) sul reato presupposto di appropriazione indebita, a sua volta derivante dalle distrazioni operate dal finanziatore dalle disponibilità riconducibili alle società di cui il finanziatore della società contribuente era esponente di riferimento. Parte ricorrente ha dedotto di avere sollevato in grado di appello la questione che i capitali del finanziatore I. erano detenuti sul conto corrente 8862 presso la Cassa di Risparmio di San Marino e che originavano dall’attività economica dell’imprenditore. La circostanza, per quanto decisiva, come osservato dal ricorrente, al fine di ritenere insussistente l’appropriazione indebita, è stata, tuttavia, implicitamente esaminata dal giudice di appello, nella parte in cui ha ritenuto trattarsi di redditi extracontabili realizzati dal socio.

6. Il sesto e il settimo motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono analogamente infondati. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (ex multis, Cass., Sez. VI, 28 gennaio 2022, n. 2633; Cass., Sez. V, 13 luglio 2021, n. 19868; Cass., Sez. VI, 9 giugno 2021, n. 16054; Cass., Sez. VI, 7 aprile 2021, n. 9292; Cass., Sez. V, n. 9097; Cass., Sez. V, 3 febbraio 2021, n. 2416; Cass., Sez. V, 3 marzo 2020, n. 21988; Cass., Sez. V, 23 gennaio 2020, n. 1505; Cass., Sez. V, 18 dicembre 2019, n. 33595). Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta, difatti, la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, il che non si verifica quando la decisione adottata comporti implicitamente la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche in assenza di una specifica argomentazione, ove la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass., Sez. II, 4 ottobre 2011, n. 20311). Parimenti, come osservatosi nel primo motivo, la sentenza deve essere del tutto inidonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito dal giudice del merito. Nella specie la sentenza di appello, sia pur succintamente, ha ritenuto che le somme sottratte alle società italiane sono, poi, state fatte rientrare in Italia “proprio con lo scopo di far rientrare con legittimità solo formale capitali frutto di attività illecita”. Dunque, il provento del reato è stato individuato nei capitali rientrati in Italia.

7. L’ottavo motivo è infondato in relazione ad entrambi i profili dedotti. Questa Corte ha affermato il principio, al quale deve darsi continuità, secondo cui i proventi derivanti da fatti illeciti, qualora non siano classificabili nelle categorie reddituali di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 1, vanno, comunque, considerati come redditi diversi, in base a quanto espressamente stabilito dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 34-bis, norma quest’ultima avente efficacia retroattiva, in quanto interpretazione autentica della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4, (Cass., Sez. V, 7 agosto 2009, n. 18111; Cass., Sez. V, 28 dicembre 2017, n. 31026). Non e’, pertanto, necessario che il provento possieda le caratteristiche atto a farlo rientrare in una delle categorie reddituali tipiche di cui all’art. 6 TUIR.

8. Quanto al secondo profilo, si osserva che il provento costituente reddito ai fini di quanto prevede la L. n. 537 del 2000, art. 14, comma 4, è il provento del delitto di riciclaggio, consistente nei capitali sottratti alle società residenti e allocati presso le banche sammarinesi, successivamente fatti rientrare in Italia. Non e’, pertanto, la circostanza che tali capitali siano stati allocati come prestito infruttifero nella società contribuente a costituire la cifra normativa del provento, bensì l’astratta ascrivibilità delle somme alla menzionata provenienza delittuosa.

9. Il nono motivo è infondato, essendo ferma questa Corte nel ritenere che in tema di accertamento tributario, i termini sono raddoppiati D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, comma 3, e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, in presenza di seri indizi, con conseguente obbligo di denuncia penale (Cass., Sez. V, 28 aprile 2021, n. 11156), non essendo necessaria anche la sua effettiva presentazione, secondo quanto indicato nella sentenza della Corte costituzionale n. 247/2011 (Cass., Sez. V, 2 luglio 2020, n. 13481), denuncia, peraltro, effettivamente presentata nel caso di specie in data 12 febbraio 2014, come accertato dal giudice di appello. Il giudice di appello ha, effettivamente, accertato la sussistenza di tali seri indizi ritenendo integrato il delitto di riciclaggio. Ne’ può farsi applicazione della disciplina sopravvenuta (come invece deduce parte ricorrente), in virtù delle apposite clausole di salvaguardia previste dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 2, comma 3, (“sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie.e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto”) e dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 132, (“Le disposizioni di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, commi 1 e 2, e al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, commi 1 e 2, come sostituiti dai commi 130 e 131 del presente articolo, si applicano agli avvisi relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi”), che sanciscono l’irretroattività della disciplina sopravvenuta.

10. Il decimo motivo è fondato, essendo il raddoppio dei termini di accertamento inoperante in tema di IRAP, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (Cass., Sez. V, 8 giugno 2021, n. 15922; Cass., Sez. V, 13 gennaio 2021, n. 341; Cass., Sez. VI, 20 maggio 2020, n. 6668; Cass., Sez. VI, 9 marzo 2020, n. 6668; Cass., Sez. VI, 24 febbraio 2020, n. 4742; Cass., Sez. VI, 3 maggio 2018, n. 10483).

11. Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione al decimo motivo e, non essendovi ulteriori accertamenti in fatto da eseguirsi, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., accogliendosi l’originario ricorso quanto all’accertamento relativo all’IRAP. Le spese del doppio grado di merito, stante l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità e la reciproca soccombenza, sono integralmente compensate tra le parti, così come sono irripetibili per il giudizio di legittimità, stante l’assenza di attività difensiva da parte dell’Amministrazione finanziaria in questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta i motivi dal primo al nono, accoglie il decimo motivo, cassa “in parte qua” la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso in relazione all’IRAP; dichiara compensate le spese del doppio grado del giudizio di merito.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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