Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6092 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 24/02/2022, (ud. 10/02/2022, dep. 24/02/2022), n.6092

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21705/2017 R.G. proposto da:

SOCIETA’ PARTECIPAZIONI GENERALI IMPRESE SRL, (C.F. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa dall’Avv. SALVATORE CANTELLI in virtù di procura speciale a

margine del ricorso, elettivamente domiciliata presso il suo studio

in Roma Via Pietro della Valle, 1;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi,

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 1945/13/17, depositata in data 6 aprile 2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 febbraio

2022 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La società contribuente PARTECIPAZIONI GENERALI IMPRESE SRL ha impugnato un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2005, redatto a termini del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, con il quale venivano recuperate maggiori IRES, IRAP e IVA per complessivi Euro 1.464.161,00 e irrogate sanzioni per Euro 1.911.081,60. L’Ufficio contestava alla società contribuente, oltre all’omesso deposito dei bilanci di esercizio, anche la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, nonché l’inottemperanza all’invito a fornire documentazione contabile. L’Ufficio contestava, in particolare, la realizzazione di una plusvalenza patrimoniale D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 86, comma 1, lett. a) quale effetto di cessione di immobilizzazioni immateriali, la sussistenza di una sopravvenienza attiva conseguente all’insussistenza di passività iscritte in precedenti esercizi per debiti finanziari verso banche, alcune sopravvenienze passive per la sopravvenuta insussistenza di crediti e l’omessa contabilizzazione di ricavi.

2. La società contribuente ha contestato la fondatezza dell’accertamento deducendo di avere presentato denuncia-querela nei confronti del proprio consulente per non avere questi proceduto al deposito delle dichiarazioni.

3. La CTP di Roma ha dichiarato cessata la materia del contendere in relazione al rilievo avente ad oggetto la sopravvenienza attiva e ha rigettato nel resto il ricorso nel merito.

4. La CTR del Lazio, con sentenza in data 6 aprile 2017, ha rigettato l’appello della società contribuente ritenendolo infondato. Ha rigettato, in primo luogo, il ricorso quanto alle sanzioni D.Lgs. 18 dicembre 1992, n. 472, ex art. 6 rilevando l’omesso accertamento della responsabilità del terzo con sentenza penale irrevocabile, osservando anche la sussistenza della culpa in vigilando della società contribuente. Nel merito, il giudice di appello ha ritenuto che il contribuente non avrebbe fornito la prova dei propri assunti, ritenendo inutilizzabile la documentazione prodotta per non avere parte contribuente dato seguito alla richiesta di documentazione da parte dell’amministrazione.

5. Propone ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a cinque motivi, ulteriormente illustrato da memoria, cui resiste con controricorso l’Ufficio. Il ricorrente ha depositato istanza di sollecita fissazione dell’udienza e, con la memoria, anche istanza di trattazione in pubblica udienza.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per omesso rilievo del giudicato interno formatosi sulla sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto tempestivamente proposto il ricorso, essendosi l’Ufficio limitato a costituirsi senza proporre appello incidentale. Deduce parte ricorrente che il giudice di appello avrebbe rilevato la tardività del ricorso, laddove l’Ufficio non avrebbe proceduto a impugnare la statuizione del giudice del merito con cui aveva accertato la tempestività del ricorso. Osserva il ricorrente che il giudice di appello avrebbe dovuto rilevare la formazione del suddetto giudicato interno. Deduce, in via gradata, che le controdeduzioni dell’Ufficio non potrebbero essere equiparate a un appello incidentale per assenza di specificità. In via ulteriormente gradata il ricorrente censura tale punto di motivazione in quanto meramente apparente e procede sotto questo profilo analiticamente a ricostruire lo svolgimento del processo e i fatti rilevanti ai fini della decisione.

1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 32 e art. 58, comma 2, dell’art. 153 c.p.c., comma 2, degli artt. 24,53,97 e 111 Cost. per avere la sentenza impugnata ritenuto inutilizzabile la documentazione prodotta nei gradi di merito ai fine della prova dell’infondatezza della ricostruzione induttiva del reddito. Deduce, inoltre, violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 e degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., artt. 24,53 e 111 Cost, nonché, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 dell’art, 6 CEDU, anche in relazione all’interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 assunta dalla sentenza impugnata. Osserva parte ricorrente che il giudice di appello avrebbe omesso di considerare che l’omessa presentazione della dichiarazione era dovuta al comportamento doloso o colposo del proprio consulente, che non ha inviato la dichiarazione e non ha proceduto a rispondere alla richiesta di chiarimenti dell’Ufficio. Osserva il ricorrente che la mancata risposta alla richiesta dell’Ufficio non può considerarsi volontaria e cosciente, stante il comportamento frapposto dal proprio consulente. Osserva, inoltre, parte ricorrente come sia mancato nella specie l’avvertimento al contribuente delle conseguenze della mancata produzione della documentazione richiesta. Osserva, sotto diverso profilo, che l’omessa produzione della dichiarazione sia dipesa da forza maggiore, stante il comportamento imputabile al proprio consulente infedele, affidatario dei libri e delle scritture contabili, il che impedirebbe che nel caso di specie sì possa configurare iI rifiuto di esibizione della documentazione richiesta. Ripropone anche sotto tale motivo la nullità della sentenza per motivazione apparente.

1.3. Con il terzo motivo si deducono una pluralità di censure. In primo luogo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 4, violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 32 e 58, motivazione contraddittoria e illogica nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di considerare la documentazione prodotta dal contribuente, al fine dell’accertamento che non vi sarebbe stata alcuna plusvalenza. Deduce, inoltre, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, art. 118 disp. att. c.p.c., art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, artt. 2727, 2729 e 2697 c.p.c., nonché – ancora – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 112, 115 e 116, omessa pronuncia sulla richiesta di CTU, violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7,36 e 61 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Il complesso corredo normativo induce il ricorrente a censurare la medesima parte della motivazione della sentenza che ha ritenuto inutilizzabile la documentazione prodotta in sede giudiziale, sia in relazione alla non configurabilità di un rifiuto di esibizione, sia in relazione al fatto che la preclusione della documentazione potrebbe riguardare, al più, solo quella indicata nell’invito e non l’ulteriore documentazione prodotta dal contribuente in giudizio. Censura, nuovamente, il mancato avvertimento da parte dell’Ufficio e assenza di motivazione, nonché censura la sentenza per non avere disposto CTU al fine di accertare l’esistenza di transazioni bancarie tali da determinare la plusvalenza accertata dall’Ufficio.

1.4. Con il quarto motivo si deduce, adducendosi il medesimo parametro normativo di cui al superiore motivo e sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione di legge e motivazione contraddittoria e illogica, nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di considerare che si sarebbero dovuti comunque considerare documenti relativi ad annualità diverse del 2005 o, comunque, non oggetto di richiesta con l’invito dell’Ufficio, riproponendosi anche in relazione a tale motivo la questione dell’omesso avvertimento al contribuente e dell’omesso espletamento di CTU.

1.5. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.(Lgs.) 18 dicembre 1997, n. 472, artt. 5 e 6 nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato la richiesta di non applicazione delle sanzioni per mancanza di un accertamento passato in giudicato della responsabilità penale del consulente infedele e per essere il ricorrente incorso in culpa in vigilando. Deduce il ricorrente che sarebbe sufficiente spiccare una denuncia nei confronti del consulente ai fini della non imputabilità delle sanzioni al contribuente. Evidenzia il ricorrente che il consulente, benché assolto dal reato di appropriazione indebita, avesse visto accertata la circostanza dell’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali, richiamando altro precedente del giudice di prossimità in cui era stata accolta la domanda di disapplicazione delle sanzioni, osservando che l’omessa dichiarazione è dipesa da circostanze non imputabili al contribuente. Contesta l’accertamento effettuato dalla CTR in relazione alla culpa in vigilando e, in via gradata, invoca il favor rei di cui al D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.

2. Va preliminarmente disattesa l’istanza di trattazione orale. Come questa Corte ha già ritenuto, “se è vero che nel giudizio di cassazione la rimessione di una causa alla pubblica udienza dall’adunanza camerale prevista nell’art. 380 bis.1 c.p.c. è ammissibile in applicazione analogica dell’art. 380 bis c.p.c., comma 3 rientrando la valutazione degli estremi per la trattazione del ricorso in pubblica udienza e, in particolare, della particolare rilevanza della questione di diritto coinvolta, nella discrezionalità del collegio giudicante e non del presidente della sezione (Cass. n. 5533/17 ord.), altrettanto indubbio è che il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di tale valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza “in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare al caso di specie” (Cass. SSUU n. 14437/18, ord.), ed allorquando non si verta di “decisioni aventi rilevanza nomofilattica, idonee a rivestire efficacia di precedente, orientando, con motivazione avente anche funzione extra processuale, il successivo percorso della giurisprudenza” (Cass. n. 19115/17)” (Cass., Sez. U., 23 aprile 2020, n. 8093; Cass., Sez. V, 25 gennaio 2022, n. 2047; Cass., Sez. V, 13 gennaio 2021, n. 392; Cass., Sez. V, 20 novembre 2020, n. 26480); il che è quanto accade, per quanto si andrà ad esporre, nel caso in esame.

3. Il primo motivo è inammissibile nella parte in cui censura la statuizione della sentenza impugnata, secondo cui il giudice di appello avrebbe rilevato la tardività del ricorso. Tale statuizione non costituisce, propriamente, ratio decidendi, tanto che il giudice di appello si è pronunciato sul merito del ricorso, in quanto la formulazione della statuizione lascia chiaramente intendere essersi trattato di un obiter dictum (“al di là della riproposta eccezione di tardività del ricorso introduttivo”). E’, pertanto, assorbita la censura di motivazione apparente, contenuta in via gradata nel medesimo motivo (pagg. 31 – 59 ricorso).

4. I motivi secondo, terzo e quarto, i quali possono essere esaminati congiuntamente in quanto investono i medesimi profili, sono fondati nei termini di cui in motivazione. Fondati sono, in primo luogo, i motivi in cui si deduce il profilo del mancato avvertimento da parte dell’Ufficio circa le conseguenze della mancata risposta ai questionari. Per quanto emerga dagli atti che tale deduzione non sia stata formulata tempestivamente con il ricorso introduttivo, bensì nel solo giudizio di appello (pag. 24 ricorso), tale contestazione deve considerarsi ritualmente acquisita agli atti del giudizio. Si osserva, in primo luogo, che tale allegazione non attiene all’atto impositivo impugnato, alle pretese dell’Amministrazione finanziaria e ai relativi presupposti di fatto e di diritto, bensì alle ricadute processuali di un comportamento tenuto dal contribuente nella precedente fase amministrativa. La norma in oggetto sanziona la mancata produzione dei documenti nella fase amministrativa con l’inutilizzabilità della relativa documentazione prodotta nel successivo giudizio, associando una preclusione processuale al comportamento del contribuente di inadempimento a un obbligo di collaborazione con l’Ufficio (Cass., Sez. V, 24 novembre 2020, n. 26646; Cass., Sez. V, 31 gennaio 2022, n. 2847).

5. La pervasività della norma (che introduce una decadenza processuale in forza di una violazione di un obbligo di cooperazione verificatasi. nella precedente fase amministrativa) ha portato questa Corte a ritenere che tale decadenza, oltre alla salvezza dei comportamenti non imputabili (su cui si tornerà infra), vada circoscritta ai casi in cui vi sia stato formalmente l’esplicito avvertimento al contribuente delle conseguenze (ex lege) dell’inadempimento. Si e’, pertanto, ritenuto che costituisce condizione per l’operatività della sanzione processuale l’invio di un avvertimento (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 4: “di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta”) che risulti specifico e puntuale (Cass., Sez. V, 4 maggio 2018, n. 10670; Cass., Sez. VI, 27 dicembre 2016, n. 27069), nonché corredato da un congruo termine minimo per consentire l’adempimento richiesto (Cass., Sez. V, 27 settembre 2013, n. 22126); in assenza di tali elementi la norma non opera, in quanto disposizione derogatoria dei principi di cui agli artt. 24 e 53 Cost. che “deve essere applicata in modo da non comprimere il diritto alla difesa e di non obbligare il contribuente a pagamenti non dovuti” (Cass., Sez. VI, 26 maggio 2014, n. 11765; Cass., Sez. V, 6 settembre 2013, n. 20487; Cass., Sez. U., 25 febbraio 2000, n. 45).

6. Si osserva, inoltre, sotto il profilo processuale che la deduzione della mancanza dell’avvertimento – la quale non attiene, come si è visto, al contenuto dell’atto impositivo ma alle conseguenze processuali del comportamento tenuto dal contribuente nella precedente fase amministrativa – consegue alla formulazione dell’eccezione da parte dell’Ufficio che opponga al contribuente l’inutilizzabilità della documentazione quale effetto della violazione del dovere di collaborazione. Solo nel momento in cui l’amministrazione, a fronte della produzione della documentazione da parte del contribuente, opponga la decadenza conseguente all’inottemperanza all’invito, questi può dedurre l’inconferenza dell’invito, in quanto non contenente l’avvertimento delle conseguenze dell’inottemperanza all’invito. Tale difesa del contribuente non deriva se non dall’esame e dalle contestazioni relative al contenuto del documento, di provenienza dell’Amministrazione finanziaria. Ne consegue che tale difesa può essere articolata anche successivamente dal contribuente, in quanto volta a negare i presupposti del verificarsi di un effetto processuale favorevole all’Ufficio; trattandosi, pertanto, di mera difesa la stessa, al pari delle contestazioni della valenza probatoria della documentazione avversa (Cass., Sez. VI, 22 maggio 2018, n. 12614), non è soggetta a preclusione processuale e può essere formulata per la prima volta in appello non incorrendo nel divieto di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, (Cass., Sez. VI, 21 marzo 2019, n. 8073; Cass., Sez. V, 29 ottobre 2020, n. 23862). Così come è consentito alla parte produrre in appello ogni documento, ancorché nuovo (Cass., Sez. V, 4 aprile 2018, n. 8313).

7. Nella specie, risulta dagli atti che l’invito dell’Ufficio e allegato al presente ricorso è stato prodotto per la prima volta in appello dalla società contribuente (doc. 34 ricorrente), così come in appello è stata formulata tale difesa da parte del contribuente, deduzione ammissibile e rituale quale mera difesa. Esaminandosi, pertanto, tale documento, si evince dallo stesso come detto documento sia privo dell’avvertimento dell’Amministrazione finanziaria delle conseguenze della mancata ottemperanza all’invito, con conseguente inoperatività della preclusione processuale (Cass., Sez. V, 10 gennaio 2013, n. 453).

8. Fondate sono, inoltre, le censure per violazione di legge relative all’ambito entro il quale può essere invocata l’inutilizzabilità da parte dell’Ufficio della documentazione prodotta in sede giudiziale. Dovendo l’invio del questionario assolvere alla funzione di assicurare un dialogo preventivo tra fisco e contribuente (Cass. n. 2847/2022, cit.), esso diviene rilevante nella misura in cui sia strumentale a dare effettività all’obbligo di collaborazione sollecitato dall’Ufficio. Laddove la documentazione prodotta non riguardi quella oggetto di richiesta inevasa, la sanzione non si applica e il contribuente può liberamente produrre ogni documento, diverso da quelli oggetto di richiesta da parte dell’amministrazione (Cass., Sez. V, 11 febbraio 2021, n. 3442).

9. Fondate sono, ulteriormente, le censure, nella parte in cui deducono la nullità della sentenza, nella parte in cui ha escluso che il comportamento del consulente possa equipararsi a un rifiuto di produrre i documenti effettivamente richiesti dall’Amministrazione finanziaria, anziché qualificarsi come causa di forza maggiore, con soluzione di continuità tra comportamento del contribuente e omessa produzione dei documenti richiesti. La sentenza si e’, difatti, limitata a statuire che “la mancata risposta al preventivo contraddittorio (…) rende inutilizzabile la documentazione probatoria eseguita in sede contenziosa”, senza accertare se tale evento comporti la non imputabilità del comportamento al contribuente.

10. Inammissibile e’, invece, la censura relativa all’omesso espletamento della CTU, essendo tale strumento istruttorio affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, nel cui potere discrezionale rientra la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario (Cass., Sez. V, 9 ottobre 2019, n. 25253).

11. E’ assorbito, in questa sede, l’esame del quinto motivo relativo alle sanzioni, essendo questione rimessa al giudice del rinvio, anche in relazione all’applicazione dello ius superveniens. Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione al secondo, terzo e quarto motivo, cassandosi la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR a quo, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie i motivi dal secondo al quarto, per quanto in motivazione, dichiara assorbito il quinto motivo; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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