Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6091 del 09/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 09/03/2017, (ud. 02/12/2016, dep.09/03/2017),  n. 6091

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17931-2014 proposto da:

SMA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RIPETTA 142 (Studio

Legale Delfino e Associati, Willkie Farr & Gallagher LLP),

presso lo studio degli avvocati ANNARITA AMMIRATI, GIANLUCA CATTANI

che la rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.L., C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE MILAZZO, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2828/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 02/01/2014 R.G.N. 206/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2016 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito l’Avvocato FRANCESCA COLELLI per delega Avvocato ANNARITA

AMMIRATI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE MILAZZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2 gennaio 2014, la Corte d’Appello di Palermo, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Palermo, mentre confermava l’accoglimento della domanda proposta da M.L. nei confronti di SMA S.p.A. avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole per violazione dell’obbligo di fedeltà commisurava la condanna risarcitoria all’intera retribuzione mensilmente percepita ribadendone la debenza per il periodo compreso tra la data del licenziamento e quella dell’effettiva reintegra.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto non ravvisabile nella condotta addebitata alla lavoratrice quella situazione di conflitto di interessi contestata alla medesima ed insuscettibile di rilevare quale aliunde perceptum, in quanto compatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa a seguito del licenziamento, il reddito ricavato dall’attività medio tempore svolta.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, affidando l’impugnazione a due motivi cui resiste, con controricorso la M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2104, 2105 e 2106 c.c. e dell’art. 217 del CCNL per il settore Terziario, censura l’iter valutativo seguito dalla Corte territoriale in ordine alla ricorrenza dell’invocata giusta causa, imputandole di essersi discostata dai criteri sanciti da questa Corte ai fini dell’accertamento della violazione dell’obbligo di fedeltà, concretantesi nell’operare del dipendente in situazione di conflitto di interessi con il proprio datore, richiedendo, in modo ultroneo rispetto all’invalsa configurazione giuridica dell’obbligo, la necessità di dedurre e provare comportamenti che abbiano arrecato alla Società datrice un danno effettivo e trascurando la rilevanza ai fini in questione dell’assunzione da parte della dipendente del ruolo di socia accomandante della compagine sociale, nella quale figurava anche il figlio, che gestiva il supermercato ove si recava a svolgere la propria attività lavorativa.

Il secondo motivo, con il quale la Società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 2041 c.c., è inteso a censurare la statuizione della Corte territoriale volta ad escludere la rilevanza nella specie dell’aliunde perceptum, invocando la giurisprudenza di questa Corte che tale rilevanza attribuisce ai trattamenti economici, qualsiasi sia la loro natura, medio tempore percepiti.

Il primo motivo deve ritenersi infondato, atteso che la non riconducibilità della fattispecie concreta sottoposta al vaglio della Corte territoriale alla fattispecie astratta data dalla violazione dell’obbligo di fedeltà ed, in particolare, del divieto di operare in concorrenza con il datore di lavoro – che qui la Società ricorrente legge nei termini rigorosi per cui il lavoratore contravverrebbe a quel divieto ove il suo operare in concorrenza con il proprio datore rivestisse una mera potenzialità lesiva, prescindendosi così dalla ricorrenza di un effettivo danno che, dunque, non necessita di allegazione e prova, potenzialità lesiva desumibile dalla mera sovrapponibilità degli oggetti sociali della società datrice di lavoro con quella costituita o partecipata dal lavoratore, non richiedendosi neppure che la prestazione in essa di attività lavorativa attenga a mansioni idonee ad influire sulla gestione dell’una o dell’altra società – risulta nell’impugnata sentenza congruamente motivata sul piano logico e giuridico in termini tali da escludere che il comportamento tenuto dalla lavoratrice abbia esorbitato da quell’azione di supporto, prestata in forma sia di sostegno economico (dovendosi a ciò circoscrivere l’apporto del socio accomandante) che di collaborazione operativa nei limiti della disponibilità residua rispetto all’assolvimento degli obblighi contrattuali nei confronti del proprio datore di lavoro (presso il quale, si precisa, era impiegata a part-time) che il vincolo familiare verso il titolare dell’azienda sollecitava, non traducendosi, per il difetto di azioni pregiudizievoli della competitività sul mercato della Società datrice (quali lo sviamento della clientela o la partecipazione alla definizione delle strategie commerciali e dei prezzi) e della stessa possibilità che, anche per ragioni logistiche, un tale pregiudizio potesse determinarsi, in una attività svolta in concorrenza o, comunque, in situazione di conflitto di interessi con il proprio datore, suscettibile di integrare gli estremi della violazione dell’obbligo di fedeltà.

Parimenti infondato risulta il secondo motivo essendo la pronunzia della Corte territoriale conforme all’orientamento di questa Corte (cfr. Cass. 28.4.2010, n. 10164, citata in motivazione), secondo cui la detraibilità dell’aliunde percepium sull’importo dovuto a titolo di risarcimento del danno da licenziamento illegittimo non è consentita ove il reddito medio tempore percepito risulti, comunque, compatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa a seguito del licenziamento”.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2017

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