Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6090 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 24/02/2022, (ud. 02/02/2022, dep. 24/02/2022), n.6090

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3706/2014 proposto da:

Dott. Schaer spa e Nutricia Italia spa, in persona dei rispettivi

legali rapp.nti pro tempore, rappresentati e difesi in giudizio

dagli avv.ti Federico Casa di Vicenza e Giuseppe Marini di Roma,

come da procura in atti, ivi el.dom.ti in Via di Villa Sacchetti n.

4;

– parte ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentato e difeso in giudizio dall’Avvocatura Generale dello

Stato presso la quale è ex lege domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– parte controricorrente –

Ricorso avverso sentenza Commissione Tributaria Regionale Lombardia

n. 97/05/13 del 14.6.2013;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2.2.2022 dal

Presidente Giacomo Maria Stalla.

 

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. Con il medesimo atto di impugnazione, Dr Schaer AG e Nutricia Italia spa propongono undici motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione in recupero di imposta proporzionale di registro su un’articolata operazione di dismissione di attività patrimoniali da Nutricia Italia ad alcune società del gruppo Schaer (atti di cessione 29.11.06 e 18.12.06); operazione, rilevata in sede ispettiva e di PVC, riqualificata dall’Agenzia delle Entrate, D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 20 in termini di unitaria cessione di ramo aziendale, e non di alienazione infragruppo di singoli assets.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha osservato che la riqualificazione operata dall’Ufficio trovava fondamento:

– nella integrazione tra i due atti negoziali del 29.11 e 20.12.06;

– in un accordo stipulato dalle società venditrici con Dr Schaer ed altre due società di diritto lussemburghese da quest’ultima controllate;

– nella corrispondenza intervenuta il 22 dicembre 2006 tra i responsabili delle varie società coinvolte circa l’estensione della cessione alle informazioni commerciali, strategiche e di clientela relative al business interessato;

– nelle fatture emesse da Nutricia Italia, nel corso dei primi quattro mesi del 2007, a società del gruppo fiscalmente residenti in Italia per la cessione dell’intero magazzino dei prodotti per celiaci;

– in altra fattura emessa per diversi oggetti alla Glutafin SA;

– nella relazione sulla gestione 29 marzo 2007 della società venditrice, richiamante i due accordi suddetti circa la commercializzazione dei prodotti senza glutine;

– nel fatto che la cessione, per quanto eseguita a favore di plurime società, sia italiane sia lussemburghesi, doveva intendersi realizzata a favore del gruppo Dr Schaer, e con oggetto non singoli beni ma un complesso di beni organizzati.

Tutto ciò aveva comportato, mediante il frazionamento artificioso delle operazioni di vendita, l’elusione delle imposte dovute sulla vendita di ramo d’azienda.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Le società hanno depositato memorie.

Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento.

Questa Corte ha disposto, con due successive ordinanze, il rinvio a nuovo ruolo della decisione, in attesa delle pronunce della Corte Costituzionale sull’attuale formulazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20.

p. 2. E’ fondato, con assorbimento degli altri motivi (come ricostruiti nell’ordinanza di questa Corte in data 11.12.2020, alla quale sul punto si rinvia), il terzo motivo di ricorso.

Con questa doglianza, in particolare, le società lamentano – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 22 nonché degli artt. 23 e 53 Cost.. Per avere i giudici regionali erroneamente ritenuto di poter considerare unitariamente, come se si trattasse di un unico atto complesso, l’intera operazione, nonostante che questa avesse riguardato società diverse (sia tra loro, sia dalla Dott.Schaer), avesse avuto riguardo a singoli beni, e dovesse essere riqualificata in base ai suoi effetti giuridici e non meramente economici.

p. 3. Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 norma sulla quale il potere accertativo si è basato, è stato fatto oggetto – nel corso del presente giudizio – di modificazioni di diretta e fondamentale incidenza sul caso in esame.

La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), (cd. legge di bilancio 2018) ne ha infatti modificato la previgente formulazione (“L’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”), la quale trova oggi una più circoscritta definizione normativa.

Ribadito il principio basilare di prevalenza della sostanza sulla forma, l’intervento legislativo di riforma – superando un opposto orientamento applicativo di legittimità – ha ristretto l’oggetto dell’interpretazione al solo atto presentato alla registrazione, ed agli elementi soltanto da quest’ultimo desumibili. Non rilevano quindi più, come espressamente indicato dal legislatore, gli elementi evincibili da atti eventualmente ad esso collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Successivamente a questa prima modificazione – ed anche in tal caso a seguito di un diverso avviso di legittimità – il legislatore è nuovamente intervenuto per affermare la natura interpretativa autentica, e dunque retroattiva, della nuova formulazione dell’art. 20, così come risultante dopo la cit. L. n. 205 del 2017.

Il 1 gennaio 2019, infatti, è entrato in vigore la L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, (bilancio di previsione per l’anno 2019), secondo cui: “La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1”.

Dal che si evince come la riformulazione in esame (nel senso della esclusione, dal processo di qualificazione dell’atto, degli elementi extratestuali e di collegamento negoziale) si renda applicabile – fermi i rapporti di registrazione ormai esauriti o coperti dal giudicato – anche agli atti negoziali posti in essere, come quello qui dedotto, prima del 1 gennaio 2018.

A completare la ricostruzione del travagliato quadro interpretativo, va detto che questa corte di legittimità, con l’ordinanza n. 23549/19, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in rapporto agli artt. 53 e 3 Cost., dell’art. 20 così come risultante dagli interventi apportati dalla L. n. 205 del 2017, citati art. 1, comma 87, (L. di bilancio 2018) e L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, (L. di bilancio 2019), “nella parte in cui dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, ‘prescindendo da quelli extra testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Richiamato il pregresso consolidato orientamento di legittimità sulla rilevanza qualificatoria della causa concreta del contratto e del collegamento negoziale, ed assodato che anche in base alla riforma del 2017 l’interpretazione dell’atto deve rispondere (indipendentemente da finalità antielusive) a criteri di sostanza e non puramente formali e nominali, si è in sintesi ritenuto che l’esclusione, dall’attività di qualificazione, degli elementi extra-testuali e di collegamento negoziale potesse fondatamente incidere sia sul principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), impedendo di cogliere il reale sostrato economico risultante dall’atto presentato alla registrazione (inteso non come documento ma quale complesso negoziale con causa unitaria); sia sul principio di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), sottraendo ad imposizione di registro manifestazioni di forza economica non razionalmente e coerentemente differenziabili sulla base del solo fatto esteriore che le parti abbiano stabilito di attuare il proprio assetto di interessi con un unico atto negoziale piuttosto che con più atti tra loro collegati.

Con la sentenza n. 158/2020 (GU 22/7/2020) la Corte Costituzionale ha tuttavia ritenuto non fondati i dubbi così sollevati, osservando che:

ferma restando l’insindacabilità da parte del giudice delle leggi sella interpretazione evolutiva attribuita dalla Corte di Cassazione, in funzione nomofilattica, all’art. 20 in parola, siccome riferita alla causa concreta dell’atto ed alla rilevanza del collegamento negoziale, non può dirsi, diversamente da quanto affermato dal giudice remittente, che tale interpretazione sia l’unica costituzionalmente necessitata, essendo infatti compatibili con la Costituzione anche nozioni diverse di “atto presentato alla registrazione” e di “effetti giuridici” in relazione alle quali considerare la capacità contributiva espressa;

la scelta del legislatore del 2017 di discrezionalmente escludere ogni rilevanza agli elementi extra-testuali ed ai negozi collegati (salvo che negli specifici casi desumibili da diverse disposizioni dello stesso TU Registro) deve ritenersi non arbitraria, ed anzi coerente con i principi ispiratori dell’imposta di registro e, in particolare, sia con la sua natura, storicamente riconosciuta, di ‘imposta d’attò, sia con la tipizzazione tariffaria e per effetti giuridici, non economici, degli atti imponibili;

la tesi dell’interpretazione dell’atto incentrata sulla nozione di causa reale non appare coerente con la sopravvenuta introduzione nell’ordinamento della L. n. 212 del 2000, art. 10 bis poiché “consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea)”.

La stessa questione di legittimità costituzionale già esaminata da C.Cost. 158/20 è stata sollevata, con ordinanza di rimessione 13 novembre 2019, anche dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna la quale ha altresì sottoposto al vaglio del giudice delle leggi, in via subordinata, la diversa ed ulteriore questione della legittimità costituzionale della L. 30 dicembre 2018, n. 145, cit. art. 1, comma 1084, in forza del quale la L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), “costituisce interpretazione autentica” del D.P.R. n. 131 del 1986, censurato art. 20.

A detta della CTP (che ha sollevato la questione ex artt. 3,81,97,101,102,108 e 24 Cost.) l’attribuzione testuale di carattere interpretativo autentico alla norma innovativa (escludente il collegamento negoziale dall’attività di qualificazione dell’atto ex art. 20) sarebbe unicamente finalizzata a sancire la retroattività della novella (effetto tipico, appunto, delle norme di interpretazione autentica), e ciò in presenza di tre profili di irragionevolezza:

la mancanza di un preesistente contrasto interpretativo, stante il consolidato orientamento di legittimità (poc’anzi riportato) secondo cui, al contrario, l’atto da registrare andrebbe qualificato anche in virtù del suo collegamento causale con atti ed elementi esterni;

la non prevedibilità da parte degli operatori della innovazione apportata, costituente una sorta di “forzatura” del legislatore rispetto ad un quadro interpretativo che, sebbene in senso opposto, doveva ritenersi del tutto certo e non necessitante di chiarimenti;

l’insussistenza di “motivi imperativi di interesse generale” giustificanti l’adozione eccezionale di una norma retroattiva, come tale destinata ad interferire anche sui procedimenti in corso e sulla “parità delle armi” tra i contendenti (art. 6 CEDU).

Ulteriori dubbi di legittimità sono poi stati dedotti sotto il profilo della menomazione delle ragioni di bilancio, della indebita ingerenza del legislatore nella sfera di autonomia del potere giudiziario, della violazione del diritto di difesa dell’amministrazione finanziaria nei giudizi da questa già radicati sulla base della precedente lettura dell’art. 20.

Orbene, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 39/21 (GU 17/3/21), ha richiamato – quanto alla legittimità in sé del nuovo testo dell’art. 20 – il convincimento di infondatezza della questione così come già emerso con la menzionata sentenza n. 158/20; ha quindi dichiarato inammissibili (artt. 24,81,97,101,102 e 108 Cost.), ovvero infondati (ex art. 3 Cost.), gli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale sulla retroattività “per interpretazione autentica” della nuova disciplina.

In ordine a quest’ultimo profilo, ha osservato la Corte che:

– non è irragionevole attribuire efficacia retroattiva ad un intervento che abbia carattere di sistema come quello inciso, posto che il legislatore ha in tal modo “certamente fissato uno dei contenuti normativi riconducibili, più che all’ambito semantico di una singola disposizione, a quello dell’intero “impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell’imposta di registro”, dove la sua origine storica di “imposta d’atto” “non risulta superata dal legislatore positivo” (sentenza n. 158 del 2020)”; nemmeno, l’intervento può dirsi irragionevole quando esso sia determinato “dall’intento di rimediare a un’opzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di legittimità) che si è sviluppata in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore (sentenza n. 402 del 1993)”, fermo restando che l’interpretazione di legittimità dell’art. 20 non risultava comunque del tutto monolitica, trovando anche forte dissenso nella dottrina;

non può dirsi che la modificazione legislativa fosse a tal punto ‘imprevedibile’ da palesarsi irragionevole (neppure nella sua attribuita efficacia retroattiva), ponendosi invece essa su un piano di rispettata “coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico”, secondo quanto già osservato con la sentenza 158/20; quanto alla asserita violazione del principio di uguaglianza, valgono i principi già evidenziati in quest’ultima pronuncia sul fatto che la disciplina del 2017 non leda l’art. 3 (e neppure l’art. 53 Cost.), dovendosi qui aggiungere (per quanto concerne lo specifico aspetto della retroattività) che “nella giurisprudenza sovranazionale si riconosce che le norme della CEDU sono volte a tutelare i diritti della persona “contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione” e non viceversa”.

p. 4. All’esito del complesso iter normativo e giurisprudenziale così riassunto, la sentenza della commissione tributaria regionale qui impugnata non può dunque trovare condivisione, perché confermativa di un avviso di liquidazione basato proprio su un’attività di riqualificazione in termini di unitaria cessione aziendale di una serie collegata ma esterna di altri atti ed operazioni negoziali o contabili (come su ricostruiti, anche nella loro sequenza cronologica: accordi del novembre e dicembre 2006; corrispondenza tra i responsabili; fatturazioni tra le società del gruppo; rapporti infragruppo; comunicazioni sociali).

Vale a dire, un’attività (rilevata “per estrinseco”) non più consentita dalla legge e dalla natura di “imposta d’atto” che, come osservato dalla Corte Costituzionale nella menzionata pronuncia, ancora oggi riveste l’imposta di registro.

Ne segue, in definitiva, la cassazione della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito, ex art. 384 c.p.c., mediante accoglimento del ricorso originario di parte contribuente ed annullamento dell’avviso di liquidazione opposto.

Attesi il sopravvenire in corso di causa dell’evoluzione normativa di cui si è dato conto ed il diverso orientamento interpretativo di legittimità sul quale questa evoluzione è intervenuta, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della parte contribuente;

compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, mediante collegamento da remoto, il 2 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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