Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6081 del 04/03/2020

Cassazione civile sez. II, 04/03/2020, (ud. 24/09/2019, dep. 04/03/2020), n.6081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7849/2018 R.G. proposto da:

F.G., c.f. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI, elettivamente

domiciliati in Roma, alla via Barnaba Tortolini, n. 30, presso lo

studio dell’avvocato Alessandro Ferrara che disgiuntamente e

congiuntamente all’avvocato Massimo Ferraro li rappresenta e difende

in virtù di procure speciali in calce al ricorso.

elettivamente domiciliati in Roma, alla via Barnaba Tortolini, n. 30,

presso lo studio dell’avvocato Alessandro Ferrara che disgiuntamente

e congiuntamente all’avvocato Massimo Ferraro li rappresenta e

difende in virtù di procure speciali in calce al ricorso.

– ricorrenti –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso il decreto dei 9.5.2016/8.9.2017 della corte d’appello di

Roma;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24 settembre 2019 dal Consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con separati ricorsi ex lege n. 89 del 2001 – poi riuniti – alla corte d’appello di Roma depositati a decorrere dal mese di gennaio 2011 i ricorrenti principali indicati in epigrafe si dolevano per l’eccessiva durata del fallimento della “(OMISSIS)” s.p.a. – alle cui dipendenze avevano lavorato – fallimento dichiarato dal tribunale di Napoli con sentenza del 6.10.1983 ed al cui passivo erano stati ammessi.

Chiedevano condannarsi il Ministero della Giustizia a corrisponder loro un equo indennizzo; con il favore delle spese di lite.

1.1. Resisteva il Ministero della Giustizia.

1.2. Con decreto dei 9.5.2016/8.9.2017 la corte d’appello di Roma così statuiva:

i crediti dei ricorrenti erano stati – per la maggior parte – ammessi al passivo in epoca compresa tra i mesi di aprile ed ottobre del 1984, sicchè tale periodo andava assunto quale dies a quo della ragionevole durata;

in considerazione dell’elevata complessità della procedura fallimentare la durata ragionevole doveva determinarsi in sette anni;

dalle relazioni del curatore si desumeva che erano stati eseguiti sei riparti, di cui cinque nel periodo compreso tra l’approvazione dello stato passivo – avvenuta con decreto 5.3.1985 – ed il 2008 (vedi decreto impugnato, pag. 3) ed il sesto effettuato nel giugno del 2008 (vedi decreto impugnato, pag. 11);

i ricorrenti C.M. ed “altri” (vedi decreto impugnato, pagg. 6 – 7) dovevano reputarsi integralmente soddisfatti in esecuzione del primo piano di riparto, intervenuto antecedentemente al compimento del termine di ragionevole durata, sicchè nulla ad essi spettava;

i ricorrenti Fe.Lu. ed “altri” (vedi decreto impugnato, pagg. 9 – 10) erano stati, sì, integralmente soddisfatti per i crediti residui, vantati all’esito dell’intervento del Fondo di Garanzia, in epoca successiva al decorso del periodo di ragionevole durata e nondimeno le ragioni di credito residuate erano del tutto irrisorie, siccome di ammontare inferiore ad Euro 100,00, sicchè doveva escludersi qualsivoglia forma di patema d’animo correlata al protrarsi della procedura “presupposta”; che dunque, parimenti, nulla ad essi spettava;

i ricorrenti F.G. ed “altri” (vedi decreto impugnato, pagg. 10 -11), titolari all’esito dell’intervento del Fondo di Garanzia di crediti residui non irrisori, erano stati integralmente soddisfatti in esecuzione del secondo piano di riparto, intervenuto nei mesi di marzo – aprile del 1996, sicchè per essi la durata irragionevole si specificava in cinque anni;

per tal ultimi ricorrenti l’equo indennizzo poteva computarsi nell’importo globale di Euro 500,00 limitatamente a coloro la cui ragione di credito era di importo compreso tra Euro 104,00 ed Euro 240,00; nell’importo globale di Euro 800,00 limitatamente a coloro la cui ragione di credito era di importo compreso tra Euro 250,00 ed Euro 500,00; nell’importo globale di Euro 1.200,00 limitatamente a coloro la cui ragione di credito era di importo compreso tra Euro 516,00 ed Euro 1.032,00;

tali creditori non avevano dimostrato di aver rappresentato agli organi della procedura fallimentare uno specifico interesse alla sua sollecita definizione.

2. Avverso tale decreto hanno proposto ricorso i ricorrenti indicati in epigrafe; ne hanno chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni conseguente provvedimento anche in ordine alle spese.

2.1. Il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale articolato in un unico motivo; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso ed accogliersi il ricorso incidentale con il favore delle spese.

2.2. I ricorrenti hanno depositato controricorso onde resistere all’avverso ricorso incidentale.

2.3. Il Ministero controricorrente ha depositato memoria.

3. Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 e art. 3, comma 5, art. 2729 c.c., degli artt. 115 e 738c.p.c., degli art. 24 e 111Cost. e art. 6, par. 1, e art. 13 della C.E.D.U..

Deducono che la corte di merito non ha inteso dar corso alle istanze istruttorie all’uopo formulate, non ha inteso avvalersi delle officiose prerogative istruttorie ed in spregio ai parametri – di gravità, precisione e concordanza – della prova presuntiva ha assunto che al primo piano parziale di riparto si è fatto luogo entro il termine di ragionevole durata della procedura fallimentare “presupposta” “e non invece negli anni successivi fino al 1996” (così ricorso principale, pag. 62).

Deducono ulteriormente che neppure soccorre a supporto dell’accertamento operato dalla corte distrettuale il “fatto notorio”.

4. Con il secondo motivo i ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 3, comma 5, dell’art. 738 c.p.c., artt. 24 e 111 Cost., art. 6, par. 1, artt. 13,19 e 53 della C.E.D.U..

Deducono che la corte territoriale, allorchè ha statuito nel senso che i ricorrenti Fe.Lu. ed “altri”, benchè “ripagati oltre i sette anni” (così decreto impugnato, pag. 9), non avevano sofferto alcun “patema d’animo” ed ha per costoro disconosciuto ogni forma di indennizzo, ha tuttavia opinato in maniera del tutto immotivata, viepiù che “lo stato di ansia e di stress per l’attesa della definizione del fallimento poteva e doveva logicamente presumersi” (così ricorso principale, pag. 68).

Deducono segnatamente che la corte di Roma non ha considerato nè la condizione soggettiva, socio – economica, dei ricorrenti, tutti lavoratori dipendenti, nè il carattere oggettivo, di natura alimentare, degli azionati crediti.

Deducono inoltre che la corte romana ha opinato per l’irrisorietà senza tener conto che i crediti residuati, siccome privilegiati, avevano prodotto interessi e si erano rivalutati pur in costanza di fallimento.

5. Con il terzo motivo i ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2,artt. 2056 e 2059 c.c., art. 24 e 111 Cost. e art. 6, par. 1, artt. 13,19 e 53 della C.E.D.U..

Deducono che la corte capitolina – limitatamente ai ricorrenti F.G. ed “altri” – ha quantificato, del tutto immotivatamente, l’equo indennizzo in modo difforme dai parametri elaborati dalla C.E.D.U., senza considerare l’importanza della “posta in gioco”, l’età dei ricorrenti, la natura alimentare dei crediti.

6. Con l’unico motivo il ricorrente incidentale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 4 e dell’art. 75 c.p.c..

Deduce che, allorquando hanno proposto, nel 2011, la domanda di equa riparazione, i ricorrenti principali erano stati tutti integralmente soddisfatti sin dal 1996 ovvero taluni, al più tardi, sin dal giugno 2008.

Deduce quindi che i ricorrenti principali hanno sin dall’epoca dell’integrale soddisfacimento delle rispettive ragioni perduto la qualità di parte della procedura fallimentare “presupposta”.

Deduce ulteriormente che da tal ultimo momento ha avuto inizio il decorso del termine semestrale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, cosicchè i ricorsi per equa riparazione sono stati proposti tardivamente.

7. Il ricorso incidentale ha senza dubbio rilievo, e logicamente e giuridicamente, preliminare. In ogni caso il ricorso incidentale è fondato e meritevole di accoglimento. Il suo buon esito assorbe e rende vana la delibazione dei motivi del ricorso principale.

8. Innegabilmente i creditori tutti, principali ricorrenti, sono stati, nell’ambito del fallimento “presupposto”, integralmente soddisfatti, al più tardi, entro l’anno 2008, ossia in epoca antecedente il semestre precedente il deposito – avvenuto in data 21.1.2011 (cfr. ricorso principale, pag. 28) – del primo (in ordine cronologico) dei ricorsi ex lege “Pinto” alla corte d’appello di Roma.

La surriferita circostanza, ovvero la circostanza dell’integrale soddisfacimento al più tardi entro l’anno 2008, del resto, non è stata in alcun modo disconosciuta dai principali ricorrenti, nè nel ricorso (si vedano in particolare le pagg. 33 e 45 del ricorso principale; a pag. 45 si legge testualmente: “solo con la seconda ripartizione i creditori ex art. 2751 bis c.c., n. 1, hanno ricevuto totale soddisfazione, ricevendo in pagamento la somma residua pari a Lire 1.083.913.367”) nè nel controricorso all’avverso ricorso incidentale, controricorso ove essenzialmente si adduce che il termine semestrale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, “non può che decorrere dal momento in cui, secondo la tipologia del procedimento presupposto di cui si tratti, la decisione interna diventi definitiva, ossia non più modificabile” (così controricorso al ricorso incidentale, pag. 29).

9. Su tale scorta questa Corte non può che ribadire il proprio insegnamento.

Ossia l’insegnamento per cui, con riferimento alle procedure fallimentari, “il dies ad quem (del termine di ragionevole durata coincide) con il momento in cui si verifica il soddisfacimento integrale del credito ammesso al passivo, oppure, nelle ipotesi di soddisfacimento parziale o di totale inadempimento, quando sia intervenuto il decreto di chiusura del fallimento (…) e tale decreto sia divenuto definitivo” (così in motivazione Cass. 17.1.2011, n. 950).

10. La circostanza dell’integrale soddisfacimento al più tardi entro l’anno 2008 delle ragioni di credito vantate nei confronti della “(OMISSIS)” s.p.a. dai principali ricorrenti e, parallelamente, l’identificazione con tale momento del dies ad quem del termine di ragionevole durata del fallimento “presupposto” importano una triplice conseguenza.

Inducono, per un verso, alla luce dell’insegnamento n. 950/2011, specificamente aderente, si badi, al caso di specie, ad individuare, quale dies a quo del termine semestrale di decadenza di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, la data, al più tardi, dell’1.1.2009 e quindi inducono a dar atto, nella fattispecie, della proposizione tardiva, id est allorchè il termine di decadenza semestrale era abbondantemente decorso, dei ricorsi ex lege “Pinto”.

Inducono, per altro verso, a reputar inoperante nel caso di specie l’elaborazione giurisprudenziale secondo cui, in tema di domanda di indennizzo ex lege n. 89/2001 per irragionevole durata della procedura fallimentare cui non siano applicabili le modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 5 del 2006 e con il D.Lgs. n. 169 del 2007 (è il caso del fallimento della “(OMISSIS)” s.p.a.), il termine semestrale di decadenza decorre dalla data di definitività del decreto di chiusura del fallimento, da individuarsi, qualora il provvedimento non sia stato comunicato, in quello di un anno dalla sua pubblicazione ai sensi dell’art. 327 c.p.c. (cfr. Cass. (ord.) 21.3.2019, n. 8088).

Inducono, per altro verso ancora, a reputar irrilevante nel caso di specie l’indicazione giurisprudenziale di cui a Cass. n. 221 del 9.1.2017, nella parte in cui si disconosce carattere di definitività alla mera dichiarazione di desistenza del creditore ammesso al passivo fallimentare, intervenuta nel corso della procedura, desistenza al cui deposito non può esser ricondotto, quale “dies a quo”, il decorso del termine della L. n. 89 del 2001, ex art. 4.

11. Va debitamente puntualizzato che il Ministero della Giustizia aveva di già nella fase di merito eccepito l’intervenuta decadenza della L. n. 89 del 2001, ex art. 4 (cfr. controricorso, pagg. 23 – 24).

11.1. In ogni caso questa Corte spiega che l’intervenuta decadenza dalla possibilità di proporre l’azione indennitaria, per mancato rispetto del termine semestrale della L. n. 89 del 2001, ex art. 4, è rilevabile d’ufficio, anche in sede di legittimità, costituendo la definizione del processo presupposto entro detto termine una componente indefettibile del giudizio di equa riparazione, sia in negativo, quale causa preclusiva di una pronunzia sul merito della pretesa, sia in positivo, quale condizione di proponibilità della domanda, il cui rispetto va dimostrato dalla parte interessata a trarne beneficio (cfr. Cass. 27.10.2016, n. 21777; Cass. 7.6.2006, n. 13287, secondo cui, quando si produca la causa di decadenza per il mancato rispetto del termine semestrale per la proposizione della domanda di equa riparazione, di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, il giudice è tenuto a rilevarla, anche d’ufficio e in sede di legittimità, ed a dichiarare l’improponibilità dell’azione, in quanto, mentre il diritto all’equa riparazione spettante al privato ricorrente in base alla citata legge è disponibile, non lo è, invece, la posizione del soggetto passivo rispetto a tale diritto, cioè dell’amministrazione pubblica chiamata a corrispondere il richiesto indennizzo, non potendo detta amministrazione, soggetta alle norme sulla contabilità pubblica ed agli specifici vincoli di bilancio richiamati dall’art. 7 della stessa legge, rinunciare alla decadenza, avuto riguardo agli interessi pubblici che presiedono alla erogazione delle spese gravanti sui pubblici bilanci; pertanto, in tale ipotesi, non opera il limite che non consente di prospettare, con il motivo di ricorso, questioni nuove in sede di legittimità, giacchè tale preclusione non vale allorchè si tratti di questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo).

12. L’identificazione del “dies a quo” del termine semestrale di decadenza di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, con il momento in cui si verifica il soddisfacimento integrale dei crediti ammessi al passivo, si giustifica viepiù se si tiene conto che ai sensi della L. Fall., art. 114, nella formulazione applicabile ratione temporis (la formulazione vigente è comunque sostanzialmente analoga), “nei casi previsti dall’art. 102 i creditori che hanno partecipato a qualche ripartizione devono restituire le somme riscosse con gli interessi”.

Più esattamente alla restituzione si fa luogo in ipotesi di utile proposizione di istanza di revocazione – ora di cui alla L. Fall., art. 98, comma 4 – contro i crediti ammessi.

13. In accoglimento del ricorso incidentale il decreto dei 9.5.2016/8.9.2017 della corte d’appello di Roma va cassato.

Nulla osta, giacchè non si prospetta la necessità di ulteriori accertamenti di fatto, a che la causa, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., sia decisa nel merito e quindi a che siano rigettati i ricorsi ex lege n. 89 del 2001 proposti il “21/01/2011; 28/01/2011; 01/02/2011 e 21/03/2011” (così ricorso principale, pag. 28) dai ricorrenti principali indicati in epigrafe.

14. La condizione soggettiva di lavoratori subordinati – ovvero di eredi di lavoratori subordinati – dei ricorrenti principali, id est la condizione di soggetti “deboli”, giustifica, viepiù all’insegna del valore costituzionale della “solidarietà”, l’integrale compensazione delle spese tutte dell’intero giudizio.

Tanto si puntualizza in rapporto al parametro normativo delle “gravi ed eccezionali ragioni”, da indicare esplicitamente nella motivazione, di cui dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nella formulazione applicabile ratione temporis.

15. Non è soggetto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 10, a contributo unificato il giudizio ex lege “Pinto”. E’ perciò inapplicabile l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. cit..

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso incidentale, assorbita la disamina dei motivi tutti del ricorso principale; cassa in relazione e nei limiti dell’accolto motivo del ricorso incidentale il decreto dei 9.5.2016/8.9.2017 della corte d’appello di Roma e, decidendo nel merito, rigetta i ricorsi ex lege n. 89 del 2001, proposti dai ricorrenti principali indicati in epigrafe; compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2020

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